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Devo cominciare facendo ammenda su quanto avevo scritto a proposito del Cd di Kaufmann Du bist die Welt für mich.
In realtà quel sentore di pre-nazismo che ci avevo colto c’era tutto , ma non avevo capito il senso dell’operazione nostalgia che lo permeava.
Inoltre cercavo una scusa per comprare anche il documentario che accompagna il concerto di Berlino perché in ultima analisi volevo rendermi conto se una banale operazione commerciale non contenesse anche una motivazione culturale, ipotesi di cui in effetti ho trovato conferma.
Il documentario ci racconta di una ricerca attenta, di un filo conduttore che ci porta attraverso le immagini della bellissima Kineteka di Berlino passando per l’archivio della Rundfunk, la radio tedesca, con la dolce e garbata voce fuori campo di Jonas Kaufmann in un percorso che parte dalla seconda metà degli anni ‘20 del secolo scorso fino a quel fatidico 1933, l’anno dell’avvento del nazismo.
Così mi spiego meglio quell’avere messo la bellissima aria di Die tote Stadt verso la fine, come momento di chiusura di un’era come aveva intuito un mio raffinato amico che me lo aveva anche scritto.
Quando Kaufmann ci dice della diaspora di tutti quegli autori e di quei cantanti perché erano quasi tutti ebrei il suo volto serio si intravede dietro una vetrata quasi a rappresentare l’ interrogativo di un giovane nato dopo quella grande colpa del suo paese e che cerca, attraverso un bellissimo finale in cui tutti i protagonisti di quella era vengono raccontati seguendone i diversi destini, di trovare una ragione di tutto ciò.
Dal tragico destino di Joseph Schmidt a quelli dei più fortunati emigranti di Hollywood. Tutti però dispersi da quel tremendo giro della storia della Germania che è stato l’avvento del nazismo.
Un documentario sulle canzoni, ma non solo.
Dietro, e ne ho avuto conferma, c’è un’analisi storica molto rigorosa.