La tournée è finita , Diana Damrau riporrà i suoi quattro scialli , Jonas girerà la pagina dell’amato tablet e Helmuth Deutch metterà lo spartito nel cassetto.
Le moltissime vestali dello startenor che niente sapevano di Hugo Wolf torneranno alle loro case felici di avere visto da vicino il loro beniamino , consolate dal fatto che sarà fatto un CD ( ma tutte , dico tutte avrebbero preferito un Dvd ) ovviamente.
Tirate le somme è consolante avere visto tante sale piene di fans
( di lui , non illudiamoci altrimenti ) vivere un evento raro dal punto di vista musicale che però via via che si susseguivano le tappe mi ha posto qualche problema di interpretazione del successo non del tutto scontato all’inizio.
Annegata letteralmente dalle foto del bis e dei saluti finali ho cercato di leggere soprattutto le recensioni “vere” dell’evento che diligentemente venivano postate a corredo del trionfo.
Fiumi di recensioni taglia e incolla , copiate dai vari programmi di sala con ben poca analisi vera di cosa abbia rappresentato questo canto del cigno di un liederista quasi scomparso dalle sale da concerto.
Con rare e luminose eccezioni ( soprattutto francesi) poco si è tentato di approfondire della scelta di manomettere l’ordine di composizione dei brani , poco si è parlato della tradizione italiana dei “rispetti” filtrata da ben due passaggi , la traduzione in primis e la rilettura in chiave post romantica fino a far divenire l’intero ciclo lontanissimo dalla materia da cui l’autore è partito.
L’amore per l’Italia che sicuramente muoveva Wolf filtra e si trasforma in qualcosa di tipicamente viennese , i suoi Lieder hanno il sapore del ricordo , come di una cipria che impolvera e sfuma annebbiando le immagini.
In qualche modo mi ha riportato alle tante riletture germaniche dell’Italia vista come immagine del sé, al rimpianto personale del sole lontano , ad un paese tanto idealizzato da essere solo un paese dell’anima.
L’operazione che ha fatto Deutch , pare sia sua l’idea della divisione in capitoli tematici , non cambia l’emozione di fondo; questo autore di cui tanto leggevo ,ma di cui quasi niente rimaneva nei progranmmi delle sale da concerto è ritornato a noi con il suo ultimo ciclo ,testamento di un’anima infelice .
Come Mahler , di cui era amico e compagno , veniva dalla periferia dell’Impero , come Mahler viveva la musica del suo tempo proiettato verso un domani non ben definito e come Mahler si è ispirato a poeti antichi e lontani.
La sua produzione , quasi esclusivamente liederistica ( se si esclude un solo exursus operistico :il Corregidor ) partiva da un wagnerismo di fondo anche se alcuni Lieder hanno l’eleganza viennese che prelude le birichinerie del Rosenkavalier.
Dobbiamo essere grati al terzetto che ha proposto questa riscoperta e anche se si è trattato di un’ottima operazione d’immagine il risultato è andato ben aldilà delle aspettative.
Cancellata la delusione iniziale di chi sperava uno strano replay del cd Dolce vita o di quel delizioso spezzone operettistico del duo Damrau Kaufmann al Couvillier Theatre , via via che le repliche si succedevano ( e si mettevano a punto preparazione e sintonia ), nell’alternanza delle sale a volte troppo grandi e dispersive il pregievole progetto è arrivato alla fine nel bellissimo Palau de la Musica a Barcelona.
Spero che in futuro questo tipo di esperienze non vada perduto : rimessi i panni consueti dei Cavaradossi e degli Chenier resti nel cuore del grande artista la voglia di regalare al vasto pubblico anche raffinate esperienze attraverso percorsi meno facili , del resto lo ha anche dichiarato lui stesso : vedo molti Lieder nel mio domani.