Kaufmann versus Kaufmann

 

 

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Dopo avere letto centinaia di rendiconti entusiasti della Fanciulla del Met , specialmente da parte di fedeli ammiratrici dello stratenor Kaufmann  ,tutte inneggianti alla splendida forma fisica e vocale del Nostro ho pensato bene di studiare un po’ di più il raffronto con l’opera di Vienna del 2013.

Innanzitutto devo dire che quella  l’avevo vista in teatro, il che è comunque un gran vantaggio , sempre.

Purtroppo non posso dire lo stesso di NewYork , anche se alla luce di quello che ho visto al cinema mi sono rafforzata nella convinzione che proprio non valeva la pena di traversare l’Atlantico per una ripresa vecchia in tutti i sensi e senza interessi particolari .

Non avevo neanche bisogno di vedere confermata la forma vocale di JK , l’avevo appena sentito nel mirabile concerto di Milano e prima a Gstad e prima ancora a Caserta e Monaco .

Tutto questo entusiasmo per il feeling con la Westbroeck poi non mi pareva determinante : sono colleghi , ogni tanto si incontrano sui palcoscenici del mondo e lei  ultimamente ha pure la voce un po’ usurata e svuotata nei toni centrali.

Lucic recita tutto allo stesso modo , ad un certo punto ho pure pensato : che ci fa Gerard nella Fanciulla?

Il migliore in assoluto , l’ho già scritto nel precedente blog sull’argomento è lo strepitoso Nick di Carlo Bosi , una vera perla italiana.

 

Ho letto e riletto uno spartito vecchio di anni e di memorie casalinghe e mi sono ancora una volta stupita della precisione con cui Puccini  ( perchè sappiamo che in ultima stesura era lui che decideva anche le battute) sviluppa la psicologia dei personaggi.

 

Basta seguire le indicazioni , c’è già tutto lì. Cominciamo dalla  Girl ( non giovanissima , lo dice nella perorazione finale ricordando di avere dedicato  la sua gioventù a vivere con i minatori ) e quindi la Stemme era giusta anche come differenza di età con il bandito ragazzo, il quale era veramente perfetto , dieci chili fa , nel ruolo di bel tenebroso.

A Vienna la elegante direzione era portata a sottolineare le ascendenze musicali mitteleuropee, sorvolava sugli effetti plateali caricando invece di sfumature  (vedi il primo duetto) il coté innovativo dell’opera .

A NewYork i cantanti hanno buttato via , si dice così a teatro , alcune battute splendide .Per esempio “Non so neanche io chi sono” tanto per citarne una, oppure la smorfia di Minnie nel mettersi le scarpe strette e il suo ironico  “quante volte voi siete morto? “dopo la sparata spavalda dell’uomo sul desiderare una donna per un’ora sola e poi morire..

A teatro funzionava anche la mongolfiera finale, scendeva quel cesto con il pallone e ironicamente , letteralmente  faceva volare via la coppia mentre con un effetto straordinario scendevano i minatori verso il basso , una trovata bellissima.

Me la sono voluta riguardare proprio per confrontare le diverse emozioni che non ho provato al cinema.

Comunque Kaufmann è sempre Kaufmann e senza grandi sforzi il suo Ramerrez esce lo stesso dallo stereotipo del tenore che canta solo per arrivare alla grande aria finale , quella che conoscono tutti .

Il suo bandito un po’ cialtrone e un po’ vecchio playboy è sempre anni luce superiore alla media dei cantanti che ahimè, nella mia lunga vita ,ho visto nello stesso ruolo , compreso un Mario Del Monaco con cravattino alla Turiddu che mi aveva fatto molto ridere quando da ragazzina i western li andavo a vedere al cinema.

Forse quella volta avrei anche apprezzato il realistico West del Metropolitan .

 

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Una Fanciulla americana

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 Dimentichiamo Vienna e la raffinata direzione di Weltzer Möst piena di accenni che si rifanno alla grande musica dell’inizio del secolo : Puccini era un attento ascoltatore e accontentiamoci dell’onesta e un po’ semplice  direzione di Armilliato , un  buon professionista.

Dimentichiamo Vienna e la stupenda  interpretazione di Kaufmann nel pieno del fascino e della straordinaria capacità del suo recitar-cantando immedesimato nel ruolo di bandito gentiluomo .

Siamo a Broadway, ragazzi , e in ultima analisi La fanciulla è stata pensata per questo pubblico che la vuole così , realistica e ingenua che più non si può.

Allora tiriamo un filo su tutto il sottinteso di un’opera apparentemente allegra,  scordiamoci la tristezza degli emigranti della Lucchesia, il saluto amaro finale dei minatori ,” quell’addio mia California “che non significa , forse , neppure un happy end forse solo un segno di nostalgia per un sogno non realizzato.

Siamo in un western classico che non ha ancora recepito la rilettura degli spaghetti western tanto cara a Tarantino .

 Ci sono andata al cinema grazie a due amici gentilissimi fino a Pisa ,uno straordinario cinema con una programmazione incredibilmente vasta e sono contenta di avere visto questa Fanciulla americana un pò deludente sul piano artistico .

Eva Maria Westbroeck ha dalla sua solo il fisico giusto , la sua emissione di voce potente e addirittura con tendenze pericolose di intonazione non sa proprio dove stia di casa quell’intermittenza del cuore di Minnie , Zelico Lucic canta tutto uguale , il personaggio non conta e anche il mio amato superdivo infagottato nel cappottone nero da cattivo non suo inizialmente non mi è  sembrato neppure al massimo della forma.

Come sempre via via che  l’opera avanza nella sua trama migliora sia il suo canto che il suo immedesimarsi nel personaggio , il secondo e il terzo atto sono un ottimo crescendo, la sua aria di punta “quel ch’ella mi  creda” ( l’aria aggiunta per accontentare Caruso), in realtà un cavallo di battaglia per tenore lirico spinto è resa come da manuale , non serve impegno particolare per un tenore della vocalità incredibile quale quella di cui dispone Kaufmann attualmente.

 Purtroppo la massa di  comprimari di cui è formato il cast ha dizione non sempre perfetta e fra tutti brilla per la qualità e la professionalità il mio amato Carlo Bosi , una garanzia di qualità italiana e di musicalità perfetta.

Cori abbondanti e sovraccarichi , ma potrebbe essere stato un cattivo bilanciamento acustico della sala , coprono spesso le voci dei singoli , in Europa siamo spesso abituati a masse corali di ben diverso livello.

 

Leggo commenti entusiasti , kaufmanane in delirio , commosse fino alle lacrime . Un po’ le invidio , troppe Fancuille ho visto e sentito per partecipare così intensamente di una storîa che  conosco dalla mia infanzia  da  quando la mia mamma me la raccontava facendomi notare alcune stupende intuizioni cinematografiche di Puccini come la macchina del vento o il clamoroso battito del cuore durante la partita di poker.

Magari , con più misura , il cuore avrebbe potuto battere con meno vistosità , non c’è bisogno di farlo sentire  come un effetto bandistico!

Armilliato si vanta di dirigere senza spartito , magari gli desse un‘occhiata ogni tanto non sarebbe poi tanto male , ma ripeto “ questa è l’America miei cari”, il prodotto finale è finalizzato a quel pubblico e va bene così.

Persone come me fanno meglio a restare nella vecchia  Europa , magari anche senza paraocchi e paraorecchi.

 

 

 

 

Un ragazzo gentile

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Negli anni passati in estate passava sulla spiaggia di Portonovo , tra gli altri “vu cumprà” un ragazzo senegalese , alto e sottile , gravato da decine e decine di borse contraffatte .

Non era invadente , chiedeva con un sorriso se mi interessava qualche cosa e siccome io parlo volentieri in francese ci facevamo anche qualche piccola conversazione .

In generale non compravo niente , però  gli dicevo che la sua mercanzia era bella e lui era contento.

Poi verso la fine della stagione finivo per comprargli qualcosa e ne facevo anche regali a persone a me vicine .

Questo mio gesto aveva anche provocato una reazione di rimprovero nei miei confronti da parte di una signora tedesca di Amburgo , proprietaria di una casa all’interno della baia .

Mi aveva detto che il mio complice comportamento provocava un danno all’economia delle fabbriche di borse che venivano illegalmente copiate e che con il mio atteggiamento ne rovinavo reputazione e guadagni .

Mi aveva fatto sorridere e forse anche riflettere sulla integrità prussiana della mia amica tedesca .

In effetti ero colpevole anch’io anche se mi pareva esagerata  l’idea di avere danneggiato case famose anche perché forse non avrei comprato quelle borse a prezzo pieno .

Una volta poi , scandalizzando le vicine d’ombrellone ,avevo dato anche un passaggio in macchina al mio amico nero: in realtà lui era stato felice di fare poche centinaia di metri con me , si era sentito gratificato dal mio gesto , poi era sceso alla fermata dell’autobus : gli era bastato il gesto.

Quest’anno non è arrivato , le nuove norme restrittive nei confronti dei venditori sulle spiaggie , la paura di vedere sequestrata la merce che non era totalmente povera come quella dei venditori di collanine e pareo, probabilmente gli aveva fatto cambiare strada.

Dove è andato a finire il mio amico delle borse ? Da una strada modestamente illegale sarà passato a qualche cosa di legalmente più grave e pericoloso?

Non sempre una buona noma genera buoni effetti , ci sto pensando da un po’ di tempo .Se positivo era il combattere l’abusivismo sulle spiaggie ( ma il fastidio e la petulanza di tanti venditori di stracci è rimasta tale e quale) forse non tutta questa caccia all’ambulante ha sortito gli effetti sperati .

C’è la forte probabilità che molti di questi ragazzi svelti siano stati spinti a cercare in commerci diversamente illegali e più pericolosi una via di guadagno .

Siamo sicuri che le buone norme producano sempre buoni risultati?

Mi piacerebbe sapere che il mio amico gentile non sia diventato un puscher , lo preferivo illegale venditore di false Vuitton.

Una regia straordinaria

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Qualche volta può capitare che anche la visione di un DVD possa emozionare e regalare una straordinaria lettura di un grande capolavoro come è il  Tristan und Isolde.

Il filmato passa su Sky segnalato male , la banda ci dice che si tratta di una edizione di Bayreuth del 1995 con interpreti con non riconosco , invece poi leggendo alla fine i titoli in coda scopro che è un’edizione del 1983 con la regia di Jean Pierre Ponnelle : Tristan Renè Kollo , Matti Salminen Marke , direttore Barenboim ( quello era giusto anche nel sottopancia!), non faccio in tempo a memorizzare tutti i nomi , soprattutto Isolde , unico neo che indica il trascorrere degli anni e dei costumi , essendo la povera gravata da una improbabile parrucca dorata.

Se ne scrivo è perchè la visione dell’opera mi ha decisamente emozionato , ma ho dovuto vederla due volte ( grato sacrificio per chi ama così tanto Wagner) per riuscire a capire la meraviglia del finale.

 

La trovata registica di Pannelle consiste in realtà in una sola inquadratura , dopo un buio e il silenzio della musica .

Tristan si era praticamente accasciato tra le braccia di Kurnevald quando si ode la voce di Isolde che arriva , arrivano poi Il re Marke , Melot e Brangäne e c’è tutta la spiegazione del filtro , il perdono del re , il duello , la morte dei contendenti e infine la sublime pagina della morte di Isolde con Tristan vivo che le sta praticamente seduto alle ginocchia.

Tutto è intercalato da stupendi primi piani di Tristan ,magistralmente resi da Renè Kollo : i suoi grandi occhi chiari che guardano verso un lontano orizzonte perduto .

Sulle ultime note del quadro in cui si stagliano illuminati Isotta bianca di luce e Tristan ai suoi piedi si spengono le luci.

Pausa , buio totale e poi , solo per un attimo le luci si riaccendono sull’inquadratura di Tristan morto tra le braccia di Kurnevald , di nuovo buio.

 

Allora capisco tutto : quello che ho visto nell’ultimo quarto d’ora è il sogno di Tristan morente , forse a Ponnelle non piaceva quel finale didascalico pensato da Wagner che  si è permesso un lusso blasfemo e dalla resa bellissima.

Quando una regia colta e intelligente nel cambiare aggiunge emozione a emozione ! Bellissimo: lo si può recuperare su YouTube , ho controllato ed è facilmente rintracciabile , ne vale la pena.

 

 

Inizio settimana

 

 

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Lettura social del mattino di lunedì : un grezzo vomitorio penta/leghista , frasi volgari e spesso anche sgrammaticate di un popolo  che attraverso una tastiera  sfoga istinti repressi , incapacità di analisi ponderate , conclusioni piene di livore . In definintiva il peggio che si possa pensare di un paese che consideravo civile e accolturato .

Mi sbagliavo : attraverso questa lettura si confermano i gesti terribili che costellano la nostra vita sociale , come se si fosse aperto un vaso di Pandora che autorizza comportamenti ritenuti fino a poco tempo fa inqualificabili e ineducati.

Si dice a un ragazzo di colore di andarsi a sedere in fondo ad un pulmann, si dichiara in tv che è bene che i negri si portino il panino da casa , le brave mamme non amano che i loro figli frequentino compagni di colore e poi si arriva a sparare al vicino rumoroso , ad arrestare un sindaco ingenuo e pieno di utopia , si offende e si minaccia una sorella coraggiosa che seguita a combattere per vedere riconosciuta una morte ingiusta per un fratello borderline.

Tutte queste vicende sono , ovviamente non in ordine di gravità, frutto di una pericolosa china che non è solo xenofoba : è qualcosa di più e più grave , una licenza al vivere civile che credevamo nostro patrimonio.

 

Ci sono anche le notizie “buone” , qua e là sembra che si stia ridestando una coscienza sociale e non solo a casa nostra ,qua e là la vecchia Europa ci da segni che forse non tutto è perduto , ma sono ancora segnali minoritari , sono però segni che appartengono a quel ceto medio rinunciatario e impaurito , che ha tollerato molte infamie rinunciando ad esprimersi nel voto anche perché spesso la prima cosa che ha perduta è la speranza di vedersi degnamente rappresentati .

Una colpevole distrazione di massa  che ha permesso questa calata dei barbari nel mondo civillizzato : dall’America di Trump, alla Gran Bretagna della Brexit , all’accentuarsi delle svolte destrorse in Austria e in generale in tutti i paesi dell’Est europeo , forse troppo presto e generosamente fatti entrare a pieno titolo nell’Unione europea.

 

Ritornando a casa nostra si passa dal nemico d’estate : i migranti al nemico d’inverno : le  banche e i mercati finanziari .

Non si spara più di tanto sull’Europa  perché a primavera si vota e anche i beoti hanno cominciato a capire che uscire dall’euro non conviene a nessuno , quando si tocca il risparmio e il gruzzolo personale anche i più accaniti nemici della ragione si fanno più cauti.

Io seguito a vivere e a leggere tra amici che la pensano come me , una specie di oasi/nicchia dove ancora non si sbagliano i congiuntivi ma a cosa serviamo se seguitiamo a leggerci tra di noi ?

Credo sia il caso di ritornare sulla piazza , anche su quella virtuale . Per mesi e mesi ho scritto e cancellato molte volte il mio pensiero : ho deciso che non lo farò più.

Mi rimetto in piazza sfidando offese e contumelie , perlomeno non mi sentirò del tutto estromessa e in colpa per quello che sta succedendo .

I giovani sui social non ci stanno neppure più, loro ormai navigano per immagini effimere su quel gioco cretino che si chiama Instagram, recuperarli sarà molto difficile.

Questo di oggi è un appello alla ragione , non mi interessa per chi andrete a votare , ma andateci maggioranza grigia e perduta di gente perbene , per parte mia comincio a intravedere delle linee di rinnovamento tra i giovani preparati , quelli che sanno le lingue , che si sentono più europei che italiani , quelli che non si scordano di rimettere al centro della politica i problemi legati all’enorme tema dell’ambiente . In Baviera ci hanno già indicato una strada possibile.

 

Vengo da Sacramento

 

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Un personaggio doppio , un po’ cialtrone , un po’ vigliacco , non a caso due nomi, occorre entrarci bene  per interpretarlo a dovere .

Jonas Kaufmman a Vienna c’era riuscito : mirabile la sua entrata e lo stupore di trovarci “ la ragazza di Monterey.”

“ non so nemmeno io chi sono “   e la bellissima aria che segue quando i due si scoprono reciprocamente nel rimpianto .

Grandissimo poi il fare ambiguo nel non raccontarsi e negare di conoscere la equivoca Micheltorena , fantastico nella confessione “or son sei mesi…”.

Poi povero cristo aggrappato ad una Minnie eroina che lo difende dalla forca .

Di nuovo il povero cialtrone che ringrazia tutti e scappa con la ragazza : “addio mia California “ …
Puccini aveva creato un personaggio alla Pinkerton , lui amava le sue fanciulle e questa in modo particolare .

Regalò a Caruso le due arie perché sennò non lo avrebbe fatto contento.

 

Sono passati un po’ di anni e Kaufmann è arrivato a NewYork per cantare una Fanciulla vecchia di allestimento e di regia , addirittura quasi un secondo cast.

Si è divertito ad andare a cavallo nel Bronx e non l’ha presa assolutamente sul serio , direi che abbia cantato “avec la main gauche”.

Ma il temibilissimo critico del NewYork Times Anthony Tommasini non l’ha fregato , quello che è attento  a riconoscere meriti ed eleganze nel canto si è accorto della poca prise du role dello startenor e ci è andato giù pesante.

Inutile dire che si è trattato di un complotto all’italiana , molto offensivo da parte delle Kaufmaniane beote , ogni tanto una critica fa bene a tutti , anche ai divi osannati e glorificati.

 

Avevo già scritto , torna a casa Jonas ! Lo ripeto aggiungendo che può essere molto pericoloso rischiare la routine , anche per un grande professionista come lui.

Salvare l’Opera –atto secondo

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L’avevo detto e mantengo la promessa di parlare di tutti i comportamenti negativi di chi oggi va all’Opera e non sa le regole elementari di educazione.

Capitolo primo : non si va in sala con la bottiglia di acqua vistosamente in mano e nelle capaci borse , tipo modello mercato rionale .

Poi non si beve di nascosto ma come se si fosse nel deserto del Sahara ,platealmente e senza pudore .

Mi è capitato durante un lunghissimo Götterdammerung di dover prendere una piccola pillola  in orario operistico .Avevo una mini bottiglina nascosta e mi sono molto vergognata ad abbeverarmi, infatti in seguito ho imparato a inghiottire sez’acqua.

 

Capitolo due: l’abbigliamento. Ci sono luoghi che meriterebbero un certo rispetto e uno di questi è il teatro , vi si celebra una sorta di rito , qualsiasi cosa venga rappresentata.

Oggi si vedono persone a teatro vestite come neanche andassero a lavorare in un cantiere edile, non pretenderei le toilettes d’un tempo , ma la decenza perlomeno si. Abolirei canotte , pance di fuori , improbabili accozaglie di maglioni e magliette ma  tutto questo probabilmente risale ad una eredità sessantottina quando la ribellione giovanile fece piazza pulita di antiche convenzioni borghesi. Ma il risultato attuale meriterebbe una revisione al rialzo.

 

Capitolo tre : la fuga al termine dello spettacolo , ormai non è un vizio solo dei teatri di provincia.

Si alzano di scatto torme di giapponesi anche al Musiverein , ma direi che l’Oscar va all’Accademia di Santa Cecilia a Roma , disinvoltamente gli spettatori fuggono neanche aspettando l’uscita degli orchestrali , generalmente poi partendo dalle prime file . Sospetto giustificazione nell’incontinenza senile , ma anche i giovani , rari , non scherzano . Grandi falcate per gudagnare l’uscita indifferenti al fatto che comunque era buona norma un tempo applaudire comunque , se non altro per il rispetto del lavoro svolto da quei poveretti che si sono adoperati per divertire il pubblico.

Se cerco nella  memoria però mi ricordo che la riduzione in quattro atti del Don Carlos a Parigi era dovuta principalmente al fatto che gli spettatori altrimenti avrebbero perso l’ultimo treno per tornare a casa .

Ogni tempo ha le sue ragioni e allora ce ne faremo una anche noi.

 

Ultimo capitolo : il campo delle lucciole , ovvero gli smartphone silenziati ma accesi per spettatori annoiati o semplicemente per restare sempre connessi , visto mai che stia per scoppiare una rivoluzione nei paraggi.

Il campo delle lucciole è particolarmente goduto dai palchi , dalla platea si hanno invece gli incontri ravvicinati che infastidiscono i vicini  e distraggono non poco dalle luci dello spettacolo.

Una volta , col mio garbo da vecchia megera , chiesi ad uno spettatore vicino di chiudere l’infernale lucetta , al chè lui serafico mi disse: ma io leggo la trama!  e mi lasciò senza parole….era La traviata.

 

 

Salvare l’opera

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Forse perché un fastidioso attacco di sciatica ma fa stare più tempo davanti al computer , forse perché non mi ha attirato attraversare l’Oceano per vedere una vecchia naturalistica Fanciulla pucciniana per la quale pare occorra prendere lezioni di equitazione (!) , forse perché mi sono trovata a misurarmi recentemente con un pubblico senza consuetudine operistica o forse per tutti questi motivi ed anche molti altri mi sono trovata a riflettere su alcuni problemi di fondo che riguardano la sopravvivenza della lirica nel nostro paese.

 

Il primo problema lo ho riscontrato leggendo millanta commenti retrò su siti dedicati e gestiti da persone che pensano ai cantanti solamente in termini di memorie lontane . tradotto “se non sono morti non ci piacciono”.

C’è addirittura un signore a mio avviso un po’ necroforo che ogni giorno ci ricorda che in quella data l’illustre cantante , qualche volta illustre solo per chi ha superato gli ottanta anni,ha lasciato questa valle di lacrime in cui orrore orrore non ci sono  più le belle voci di una volta eccetera eccetera.

Non importa che le belle voci di una volta per lo più abitassero in corpi estremamente imponenti rendendo improbabili le interpretazioni di giovinette malate o di cavalieri avvenenti.

 

Il secondo problema riguarda  invece tutti coloro e anche  questi sono tanti che all’Opera non ci vanno quasi più e quando ci vanno si trovano spiazzati da regie moderne , da interpretazioni personalissime delle storie che poco o niente hanno a che vedere con quello che sta scritto sul libretto.

Anche in questo caso ne sorte una forma di distacco e pure questo pubblico anche se  per ragioni diametralmente opposte rischia di perdere quell’esile filo che ancora legava le masse dal frequentare le sale dei teatri.

Un pubblico vecchio di età e di conoscenza di quanto di nuovo e di diverso è accaduto diciamo dagli anni novanta del secolo scorso ad oggi .

Un pubblico però che non ha ricambio essendo i giovani digiuni della tradizione e nel contempo non facilitati dall’apprezzare il nuovo che comunque , specialmente nella testa di molti registi d’oggi fa sì che non si riesca a rendere comprensibile quello che i loro nonni sapevano a memoria e che quindi non avevano bisogno di filologiche interpretazioni.

 

Ma salvo rari casi i due atteggiamenti : il rifiuto del nuovo e il non essere attrezzati per apprezzarlo si sommano e i teatri sono sempre meno frequentati.

Oggi si hanno molte opere realizzate dalla coda : il flashback imperante spesso funziona , ma bisogna essere molto svelti e acculturati per capirlo e ancor più per apprezzarlo.

Parimenti lo spostamentto temporale del plot narrativo è prassi consolidata : si risparmia sulla scenografia e sui costumi ma qualche volta si fa pure fatica a calarsi nelle storia che ha il suo fascino anche nell’alone di fiaba che la  circorda .

Poi ci sono i doppi in scena ,mimi e ballerini ci raccontano storie parallele,

qualche volta svolazzando pure fastidiosamente intorno ai cantanti che così se ne stanno più comodamente fermi ,ma la confusione in scena è sicuramente garantita.

 

Il catalogo delle contaminazioni è lungo e tutto sommato a me spesso pure estremamente gradito , ma io non faccio testo , a teatro ci vado tanto e fra tanti problemi sicuramente non ho quello di faticare a capire il perché di certe scelte che anzi spesso sono anche molto apprezzabili.

Resta però il problema inconciliabile fra le due tipologie di spettatori al quali si aggiunge il quasi assoluto ricambio generazionale , anche se questo massimamente è un problema molto italiano.

Mi si domanda come riportare i giovani ad amare la lirica : direi operazione impossibile ,ogni epoca ha i suoi miti e la musica classica e massimamente l’operistica hanno perso il contatto con le giovani generazioni .

Colpa della scuola? sicuramente .

Generazioni e generazioni avvilite dalla pratica del flauto dolce , perdita totale della tradizione del Coro scolastico , nessun aggancio tra la storia , la storia dell’arte e la storia della musica , fra l’altro tutte materie che felicemente rischiano di sparire dai nostri programmi scolastici.Resta la famiglia  intesa come nonni , ma nonni moderni abbastanza da sapere supplire alle regie demenziali , al superamento delle politiche economicamente respingenti di quasi tutti i teatri d’opera , al poco , pochissimo spingere i ragazzi ad andare al cinema a vedere le opere anche perché  da noi non riesce a sfondare neanche l’altrove più difffuso uso dello streaming in diretta dai massimi teatri del globo di eventi comunque pregevoli.

 

Per oggi mi fermo , il dibattito è aperto , si accettano provocazioni , proposte anche contumelie e critiche di ogni sorta.Purchè l’opera viva ancora per la gioia e la gratificazione di chi saprà ancora apprezzarla.

Ps: la prossima volta parlerò del pubblico con la bottiglietta dell’acqua minerale in sala , dell’abbigliamento casual imperante e soprattutto dell’uso incivile di lasciare la sala senza neanche aspettare il doveroso applauso finale alla compagnia.Tacendo dei telefonini accesi per il controllo delle vicende del mondo…..

La santa Cenerentola

 

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Con il secondo titolo in cartellone si chiude la piccola stagione lirica della Fondazione  Teatro delle Muse di Ancona , un capolavoro assoluto : La Cenerentola di Gioacchino Rossini.

Ha del miracoloso riuscire a produrre due opere di così pregevole livello ( la prima era stata un bel Ballo in maschera di cui avevo parlato precedentemente) con il piccolo budegt della Fondazione e il miracolo si rinnova ogni volta grazie alla intelligenza del nostro direttore artistico Vincenzo De Vivo che riesce ad  aggregare tante competenze ed energie  anche con  alla proficua collaborazione  di Marche Teatro che gestisce l’intera struttura del teatro.

Così avviene che nelle scelte ci si avvalga della collaborazione di tutti , che si crei una piacevole aria di laboratorio , che infine si producano spettacoli che niente hanno da invidiare a più paludati teatri con altre ben più importanti risorse.

Questa Cenerentola rossiniana parte da un’idea registica un po’ particolare : quella di rifarsi al mito decisamente crudele in cui la povera fanciulla nascosta nella cenere di una triste cucina vive miseramente  tiranneggiata da un patrigno cattivo e da due sorellastre che in realtà poi si riveleranno più sceme che cattive.

Il mito è antico e si ritrova in molte culture , infatti Cenerentola ha molti nomi nelle varie storie in cui la  ritroviamo .

La fiaba , qui è  inutile cercare la storia alla Disney ,ci racconta attraverso la preziosa partitura rossiniana l’antica storia garbatamente  rielaborata nella ricchezza ed ironia del testo di Jacopo Ferretti  attraversata dalla musica di un Rossini straordinariamente pre-romantico e come scrive Alberto Zedda nelle preziose pagine del programma di sala :” la Cenerentola è  opera chiave per mettere a fuoco le peculiarità espressive della musica di Rossini , la sua inesauribile capacità di adattarsi a situazioni disparate”.

 

La rappresentazione di Ancona si avvale della preziosa collaborazione con l’Accademia di canto rossiniana di Pesaro , tutti i giovanissimi cantanti vengono  da lì e ben sappiamo quanto sia importante il rigoroso apporto vocale alla tecnica particolare del canto.

Ugualmente interessante è stata la scelta di creare ad hoc un Ensamble Vocale generosamente diretto da Mirca Rosciani che ha radunato per l’occasione un coro composto da cantanti di varia estrazione facendone un intelligente elemento di qualità necessario alla riuscita del risultato finale.

 

I cantanti ,  giovani o addirittura giovanissimi ,sono tutti di buon livello e alcuni non nuovi all’intepretazione dei ruoli : mi pare giusto nominarli tutti  a cominciare dalla Cenerentola di Martiniana Antonie , eroica alla Prima  per una indisposizione che non le ha impedito di portare fino in fondo la prova , il principe Ramiro di Pietro Adaini che si è pure permesso di largheggiare nell’aria del secondo atto suscitando un’autentica ovazione in sala.

Meritano la citazione il Don Magnifico di Pablo Ruiz, il Dandini di Clemente Antonio Dagliotti e nel difficile ruolo di Alidoro Daniele Antonangeli.

Divertenti e affiatate le sorellastre Clorinda Giorgia Paci e la spiritosa Tisbe di Adriana Di Paola , oltetutto agghindate in divertenti costumi di Bruno Fanalot che ha firmato con fantasia la realizzazione di tutto lo spettacolo .

Qualche piccola , ma molto piccola notarella negativa , la riserbo alla regia comunque piena di ritmo di Francesca Lattuada : c’è un po’ di spreco di fumo , a mio avviso non sempre necessario durante la rappresentazione , un po’ tanto tristi i movimenti del coro , peraltro preziosissimo vocalmente e soprattutto spiazza il pubblico . ahimè tanto poco preparato, il divertente finale con notevole  “coup de téatre” che chiude lo spettacolo.

La scelta culturale di rifarsi al mito antico viene portata alle estreme conseguenze e l’apparizione finale  dal vago sapore barocco ( citazione nella citazione?) è comunque molto divertente .

Chi , come me è abituato alle regie non convenzionali , ne ha comunque apprezzato la ..provocazione.

Buona la prova dell’orchestra Sinfonica Gioacchino Rossini diretta con bacchetta sicura da Giuseppe Finzi .

Con l’ultima replica domenicale si chiude la stagione che ha anche avuto il raro pregio di riempire alla generale le gallerie del grande teatro con tanti bambini : urlanti e vocianti fino all’alzarsi della bacchetta ,poi preziosamente silenti e attenti durante tutto lo spettacolo per chiudere nel boato di applausi nel finale che hanno evidentemente molto apprezzato .

Portare i bambini a teatro è una strada vera per creare quelli che saranno gli spettatori del domani . La lirica , in terra di Marca classica non deve assolutamente morire !

 

 

Ciao Montserrat

 

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E anche la Caballè ci ha lasciati. La notizia in apertura stamattina su tutti i siti operistici e non solo. Succede che ciascuno di noi che l’hanno sentita mille volte cerchi nella memoria qualche serata eccezionale , qualche brivido in più che quella voce d’angelo ci ha regalato.

Curiosamente però sui social viene fuori solo quella sua ironica Barcelona con Freddie Mercury, i ragazzi conoscono forse solo quella di lei.

A me invece è venuta in mente quella sua ironica comparsa all’Opera di Vienna nella sublime caricatura della zia nella Fille du reggiment , gioiello di messinscena con la Dessy che faceva la ruota uscendo e cantando e con i nove do di petto di un giovanissimo Juan Diego Florez. Poi arrivava lei e il teatro era tutto in piedi , si scusava del ritardo in quel tedesco morbido da spagnola e diceva che in fondo arrivare tardi o non arrivare a lei poteva succedere spesso. Una padronanza della scena che solo i grandi si possono permettere .

Poi invece penso con vera nostalgia alla sua Vergine degli angeli , lei già grande con un giovane Josè Carreras allo Sferisterio di  Macerata , la sua voce purissima riempiva l’arena ed entrava nei nostri cuori .

Poi , poi ..tante altre volte nella mia vita , in tanti teatri , in tanti ruoli: la sua Selva opaca del Tell per esempio , molte volte risentita anche a confronto per capire come si poteva e doveva cantare Rossini.

In realtà mi è successo quello che era successo qualche giorno fa appena con la notizia della morte di Charles Aznavour : ci sono artisti che appartengono alla memoria collettiva dalla quale ne discende le mia memoria personale , ormai sono tanto avanti nella vita che la somma delle memorie è così grande da confondere anche chi c’è ancora e chi non c’è più. Ma poi la notizia “vera” quando arriva ti segna dentro , ti scava un nuovo vuoto e si capisce quanto è stato bello potere avere memorie così preziose.

Oggi farò come tanti , religiosamente mi metterò ad ascoltare le sue preziose ed amate registrazioni, piccolo omaggio postumo di ringraziamento a chi ci ha dato momenti preziosi di vita.

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Pensieri musicali

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Non so se succede anche ad altri ma a me dopo una serata come quella della Scala mi ci vogliono un po’ di giorni per rientrare in equilibrio spirituale.

I social , come echi di emozioni, servono in questi casi a non entrare in una spirale di nostalgia

Succede così che anche l’ammirazione per il bellissimo teatro di Wiesbaden rientri nella magra consolazione di sapere che il miracolo si è ripetuto anche un’altra volta e fortunate le persone che si sono permesse il lusso di seguire la tournée in varie piazze.

Particolarmente una brava fotografa ( devo dire per me anche più brava che non nei  suoi amorevoli dipinti) la quale riesce a cogliere tutta una gamma straordinaria di espressioni di Jonas nel suo “raccontare” le sfumature di ogni Lieder.

 

Si leggono invece fiumi di cretinate da parte di persone che non lo hanno mai visto dal vivo e soprattutto sentito veramente che seguitano a dirsi tra di loro quanto era bravo Pavarotti.

Mi fanno tenerezza , è difficile far cambiare idea a chi confonde il proprio passato di emozioni con la bravura di chi arriva dopo..

A questo proposito mi sono trovata a riflettere anche sul diverso modo di mettere in scena un capolavoro assoluto come il Parsifal.

Passa da una settimana su Classica un Parsifal del ’92 da Bayereuth, un cast di tutto rispetto ,la musica è sempre quella magnifica ma  la messa in scena produce un effetto ridicolo per il gusto odierno, fino anche a falsare il significato spirituale dell’opera.

Quei cavaleri del Graal-birilli tutti a marciare a tempo in girotondo con calici in mano oggi fanno un po’ ridere e Kingstor tra fumi d’artificio a cascata che fa la faccia feroce nel manto da Mago fa capire che il gusto del pubblico cambia con la velocità della luce in certi ambiti.

L’operazione filologica di Classica ( certi passaggi di video comunque costano sicuramente meno) è comunque utile , non mi ricordavo quanto fossero buffi i Tannhauser delle mia adolescenza , forse per questo ci ho messo tanto ad apprezzare Wagner , infatti il mio primo  vero innamoramento fu un Rienzi in forma di concerto a Dresda.

 

Lascio le riflessioni sull’operazione nostalgia e sul cambiamento del gusto anche in ambito musicale per ritornare al mio amatissimo tenore pensando però che la Callas non è mai passata di moda , né nei pochi preziosi suoi video ,né nel mio ricordo di ragazzina.

Kaufmann  tra i moltissimo pregi ha anche quello di rendere credibili tutti i personaggi che fa suoi , così è facile che giovani , magari un po’ più acculturati delle masse , riescano a trovare nelle sue vicende operistiche quel soffio di verità che necessita per non vederne solo il plot narrativo e il parlato desueto.

Recitar cantando …e non è il solo oggi :c’è una nuova generazione di cantanti che studia , che sa di avere anche le telecamere addosso , che magari fa qualche sacrificio per la linea tanto è dimostrato che non sono i  chili in più che fanno crescere la voce.

Nella mia breve visita a Milano ho incontrato ancora una volta mio cugino Angelo Loforese . Parlando del segreto della sua longevità artistica mi ha detto serio serio : non ho mai smesso di studiare .

Studiare , non  chiudersi nel repertorio , rinnovarsi e rischiare ogni volta , il segreto di un miracolo, il segreto vero dei grandi e  Jonas Kaufmann è uno di questi.