Molti anni fa con il Centro teatrale che dirigevo misi in scena un testo classico che non era in realtà scritto per la scena ma era tanto interessante da essere stato comunque di ispirazione per varie forme sceniche compreso un film poco visto , ma molto interessante.
Era il De Reditu suo di Claudio Rutilio Namaziano , un poemetto incompiuto tardo latino e mio marito lo teneva sul comodino perché tra le tante immagini che poteva ispirare era anche la storia di una navigazione , quasi un diario di bordo incompiuto che non poteva non piacere ad un marinaio abituato alla lenta navigazione a vela.
Lo spettacolo che ne venne fuori fu un raro esempio di collaborazione felice con i ragazzi che ne fecero parte e resta ancora uno dei ricordi più belli della mia attività di un tempo.
Ma ieri un ricordo particolare me lo ha riportato fortemente alla memoria.
Durante i momenti vuoti delle prove , noiose incombenze pratiche anche perché eravamo fuori sede ( nell’aula magna dell’Università) chiesi ai ragazzi di scrivere qualcosa di personale che avesse a che vedere con quello che stavano rappresentando.
Raccolsi poi gli elaborati , molti scritti su fogli di quaderno , altri addirittura su carte raccattate qua e la per l’occasione e mi misi a sfogliarli con poca attenzione.
Un racconto più lungo , scritto con cura , mi colpì stranamente .
Lo aveva scritto una ragazza dal cognome strano che ogni volta correggeva a chi ne sbagliava l’accento , come se quella accentazione contenesse anche una forte dose di identità diversa.
Cominciava con il racconto della madre in camicia da notte , una casa sottosopra , le valigie fatte in fretta , la fuga notturna , la nave , l’esilio.
Era la drammatica testimonianza di una bambina , profuga istriana che mai ci aveva raccontato la sua origine .
La sua affinità con la fuga di Rutilio , la fine di una identità paragonata alla fine di un impero , tutto questo veniva fuori da quel raccontino drammatico scritto su un foglio strappato da un quaderno mi è tornato in mente adesso , nel giorno in cui si ricorda l’esodo degli italiani d’Istria .
Arrivarono ad Ancona su una nave che si chiamava Toscana e non furono bene accolti , appartenevano ad un mondo diverso da quell’Italia che si era liberata dal fascismo e loro in grandissima parte erano nostalgici di un’Italia che li aveva protetti dalla violenza jugoslava.
La studentessa del Liceo di Ancona dal cognome diversamente accentato adesso è una mamma serena che incontro sui social , ma il ricordo di quel piccolo capolavoro che fu il suo scritto lo tengo tra le cose preziose di una esperienza lontana che mi fece conoscere in un modo più intimo la realtà di tanti giovani che avevano condiviso con me la particolare esperienza del teatro , proprio di quel teatro che tanto mi manca nel momento in cui tutte le scene hanno il sipario abbassato.