La classe operaia

L’inizio dei Campionati del mondo di calcio in Quatar non ha per me interesse alcuno , lo confesso e non solo perché l’Italia non gioca , cosa che francamente non mi procura turbamenti.

Ma un articolo su Repubblica  di oggi  segnala un  fenomeno legato allo sfruttamento dei lavoratori stranieri che hanno lavorato alla costruzione degli stadi e di tutte le strutture relative allo svolgimento della manifestazione.

Mi è così tornato alla memoria un ricordo che mi aveva molto colpito l’unica volta che , visto che costava poco e che era una sulla carta una piacevole crociera in pieno inverno, era andata con una amica a Dubai e dintorni  incuriosita dalle foto degli strabilianti grattacieli che sortivano dalla sabbia.

Premetto che non rimasi affascinata dal viaggio in sé , né dalle  meraviglie promesse dai  depliants.

Però come sempre imparai qualcosa della geografia di quei paesi allineati nel Golfo e se mi rimase la voglia di tornarci fu solo in Fujera , l’unico emirato ancora genuino e con bei panorami che purtroppo vidi solo di sfuggita.

Ma la cosa che mi colpì in maniera forte fu l’enorme differenza tra i biancovestiti , ricchissimi abitanti degli Emirati e la moltitudine di operai , come povere formiche silenziose che lavoravano intorno alle faraoniche costruzioni.

Erano tutti in tute blu , anche dal colore degli abiti li riconoscevi nettamente : egiziani , indiani , cingalesi , tutti confusi a mangiare velocemente nelle rigorosamente veloci pause pranzo.

Volli vedere dove dormivano e capii che esistevano  intere baraccopoli di lamiera ai margini del deserto, dove , come formiche operose si ritiravano la notte ammassati e sfiniti dalla stanchezza.

La mia amica non aveva avuto lo stesso mio senso di repulsione , lei guardava ammirata i  lussuosissimi alberghi , le fontane zampillanti , la bellezza scintillante dei grattacieli di cristallo e di luce.

Leggendo oggi un articolo che mi confermava quello che avevo intravisto in una modestissima crociera una diecina di anni fa sono andata a ricercare la foto che , sfidando il divieto della guida biancovestita avevo fatta agli operai in Bahrain , mangiavano di nascosto su uno scoglio dietro il meraviglioso teatro dell’Opera che stavano costruendo.

La mia testimonianza di “ cronista” a conferma di quello che ho letto anche oggi.

Un ascolto

Un caro amico gentile mi manda il link e in un piovoso pomeriggio di novembre ho ascoltato il concerto inaugurale della stagione della Scala : la Terza di Mahler diretta da Daniele Gatti.

Certamente non era la prima volta che l’ascoltavo , amo talmente il compositore ,ne ho anche tutti i Cd delle sinfonie , ma sarà stato il tempo così intimamente triste di questo mese ,forse il mio particolare stato d’animo , forse una specie di raccoglimento dell’anima che sempre la musica mahleriana mi procura succede che questo particolare ascolto mi ha riportato indietro , ai ricordi familiari , ai concerti ascoltati con la mamma , a mia sorella che amava Mahler ma ne trovava faticoso l’ascolto perché la faceva soffrire con quel suo accavallarsi di temi spezzati , il rincorrersi di temi e pensieri musicali.

Allora ho pensato alle parole di un filosofo lette qualche giorno fa e che cerco di riportare a memoria perché mi avevano tanto colpita :

Siamo fatti di tutti i nostri morti e le morti della nostra vita , cioè di tutte le separazioni e le lacerazioni , dei pezzi di noi che ci siamo persi in ogni perdita subita.

Forse solo in questa musica difficile e faticosa nella quale rincorriamo attraverso i nostri pensieri tutte le nostre lacerazioni , le nostre memorie mancanti ci possiamo ritrovare interamente.

Non sono le indicazioni  che avrebbero dovuto scandire il senso dei movimenti ( e che poi Mahler aveva cancellato dal programma ) ad accompagnarci .

E’ quel senso grandioso del creato che ci accompagna fino al Lied di Nietzche e che poi si    conclude nel festoso scampanio infantile  a darci la dimensione di un senso compiuto alla nostra esistenza cosicché il pacato Largo finale mi ha riportato ad una pace faticosamente ritrovata .

La voce della commentatrice racconta dell’apparizione di Elina Garança apparsa dietro le arpe biancovestita e pareva che avesse le ali.

La sua voce e la bacchetta di Gatti mi hanno davvero portata lontano , il miracolo della musica sta tutto lì , nell’essermi sentita in un piovoso pomeriggio di novembre ,una piccola parte del Tutto .