Le otto montagne

Un film diverso dai tanti che circolano sui nostri schermi e che nonostante affronti un tema universale quale l’amicizia non lo si può considerare un film semplicemente educativo in senso classico.

Sta diventando un film molto premiato  perché dopo avere vinto il Grand Prix del Festival di  Cannes in questi giorni ha ottenuto anche il premio David di Donatello come miglior film italiano .

Basato sulla solida base dell’omonimo  romanzo  di Paolo Cognetti che a sorpresa di molti vinse nel 2017 il premio Strega   ( non l’ho ancora letto ma mi ripropongo di metterlo in testa alle mie letture estive) , è anche un film strano nella forma : girato in 4:3  all’inizio avevo pensato che la formula fosse relativa alla prima parte del film , quella del ricordo per poi arrivare a spiazzare largamente sui bellissimi paesaggi montani in cui il film è girato.

Poi ho capito che la scelta non era strumentale a una sola parte del racconto ma serviva a mantenere viva l’attenzione sui personaggi ; la montagna , bellissima , sempre parte integrante del racconto , ma sullo sfondo , non diventa mai protagonista e anche l’uso del drone è limitato ad una sola lunghissima inquadratura verso  il finale , quando senti che fisicamente i due amici si allontanano per sempre.

Due registi  belgi : Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeerch, una cooproduzione belga e francese ma il film è a tutti gli effetti un film italiano magistralmente interpretato da due tra più talentuosi giovani attori del nostro cinema : Luca Marinelli e Alessandro Borghi e non saprei dire quale dei due sia l’uno più bravo dell’altro .

Amici anche nella vita i due si sono ritrovati in questa storia dopo avere avuto la prima affermazione insieme nel film Non essere cattivo nel 2015 del compianto regista Claudio Caligari.

La storia ad un tempo semplice e poetica si basa sul rapporto di fratellanza e di   amicizia maschile  e si snoda verso i diversi destini , dalla nuda montagna valdostana fino all’Himalaya ed è totalmente autentica , infatti io  credo  che sia uno dei motivi della grande presa che la storia  ( non la voglio raccontare ) di due uomini in cammino attraverso la vita , ciascuno ricercando la propria storia attraverso la capacità di ritrovare se stesso.

Anche le figure di contorno , un merito speciale a Filippo Timi e Elena Lietti , tutti contribuiscono a ricreare un mondo molto reale  e semplice mentre la storia cammina , attraverso la voce dell’io narrante , anche se devo dire che è usata con molta parsimonia.

Otto mesi di riprese , i registi e gli attori hanno realmente costruito la casa in cui si svolgono gran parte delle riprese e a anche le scene che potevano sembrare documentaristiche sullo sfondo esotico del Tibet riescono a mantenere vivo il racconto lineare e di una semplicità artistica encomiabile.

Mi associo a chi ha voluto premiare questo film raro e prezioso , poi se oltre a tutto si ama la montagna c’è anche da godere dei paesaggi volutamente sempre sullo sfiondo ma che profumano del senso del vento e della neve.