Dal 1896 , dal giorno della prima che avvenne proprio alla Scala, l’opera di Umberto Giordano ha camminato per tutti teatri del mondo con periodi di trionfale presenza ad altri in cui sembrava passata di moda .
Ci aveva visto giusto l’editore Sonzogno quando commissionò al giovane allievo del Conservatorio di Napoli questa sua prima e felicissima opera verista.
La scrittura è un po’ grezza , forse , e non ha le sottigliezze orchestrali di un Cilea o del primo Mascagni ma il plot narrativo ben amalgamato dalla penna di luigi Illica risultò un perfetto meccanismo teatrale . Soprattutto furono le grandi arie a garantire all’opera il grande favore popolare e Giordano si permise pure di inserire il Tristan-accord nel momento di amore-morte che accompagna la sentenza del Tribunale del popolo.
Opera amata , tantissimo , e poi odiata dai puristi finché qualche anno fa trovò nell’accoppiata Pappano/ Kafumann un nuovo periodo di gloria.
Forse qualche forzatura orchestrale non ha reso perfettamente i molti passaggi melodici degni di migliore ascolto , forse la bella Sonya Yoncheva qualche momento ha un vibrato di troppo nella voce , forse l’applauditissimo baritono mongolo non ha dato tutto lo spessore necessario al super-classico Nemico della patria , ma quando si hanno in palcoscenico autentici mostri come Carlo Bosi (l’Incredibile ) o la gloria eterna di Elena Zilio (come vecchia Madelon ) viene da dirsi : avercene di serate così.
Anche se il mio adorato Jonas aveva i vestiti che gli pendevano addosso restava di lui sempre intatto il carisma di chi quando entra in scena praticamente non ce n’è per nessun altro e questo ci deve bastare.
A mente fresca ho pensato che valesse la pena tornarci sopra e poi la seconda parte l’ ho vista da una prospettiva fantastica , ero in barcaccia e la Scala vista da lì è un ulteriore spettacolo nello spettacolo.