Un grido di poesia

Non è facile leggere la poesia di David Grossman pubblicata oggi accanto alla lunga intervista che il grande scrittore israeliano ha rilasciato a Repubblica .

Avevo scritto il 26 gennaio sul mio blog un pensiero angoscioso circa il futuro molto incerto di quella parte tormentata di Medio Oriente e finivo con un interrogativo al quale sicuramente non da risposta il grido poetico di Grossman , anzi in qualche modo  ne accentua la drammaticità.

Dice lo scrittore all’intervistatrice che dopo il 7 ottobre e soprattutto dopo che ne è seguita tutta la pesantissima tragedia del popolo di Gaza lui non è stato più capace di scrivere , sul suo pensiero è sceso un silenzio che è riuscito a rompere solo dopo tanto tempo attraverso una lunga , tragica forma poetica .

Ho letto e riletto molte volte la poesia , stranamente nella sua reiterazione poetica mi ha ricordato una poesia di Celan ma soprattutto ho capito che ci sono dei momenti nella vita in cui l’unica forma di scrittura possibile sia la poesia.

E’ come se solo attraverso un grido si riuscisse a riconnettere il pensiero tragicamente annullato dalla storia anche si si è speso tutta la vita per trasmettere un sentimento di pace e di speranza .

Grossman  ha pagato un duro prezzo personale alle guerre che hanno insanguinato Israele , ha perso un figlio nell’ultimo giorno dell’ultima guerra contro il Libano e anche una mia cara amica che vive a Tel Aviv ha conosciuto lo stesso straziante dolore .

Ogni dolore per la perdita di un figlio è uguale in tutte le latitudini e non esistono dolori più nobili o più accettabili.

Leggo che adesso  in Israele questa  poesia sia  diventata quasi un rap per come si è diffusa nella popolazione smarrita e disillusa , ritornano gli ostaggi e la conta dei morti è molto lunga .

Pure , nel bellissimo testo alla fine c’è come un filo di speranza : è il bambino che indica al padre l’unica possibile ultima occasione per risollevarsi dalla disperazione .

Ho letto e riletto molte volte il grido dello scrittore nel quale ho ritrovato quello che avevo scritto anch’io nel mio modesto pensiero che  sicuramente con minore forza creativa conteneva la  stessa flebile prospettiva che chiude il messaggio.

Il Concerto di Colonia

Non amo il jazz , non lo capisco , anzi non riesco ad ascoltarlo.

Ero perentoria su questa affermazione , poi un giorno per caso , non mi ricordo da quale radio o mangianastri uscissero quelle note bellissime e fluide , una cascata che usciva dal pianoforte come un fiume e domandai al ragazzo che stava sentendo : mi rispose stupito con lo conoscessi : è il Concerto di Colonia di Keith Jarrett.

Qualche giorno fa in macchina ho acceso la radio e quelle note cristalline mi hanno riempito l’abitacolo.

Ho sorriso perché lo riconosco subito quel Köln concert . il secondo disco jazz più venduto al mondo dagli anni Settanta , cioè da quando per una magica serie di concause venne registrato quel magico evento .

Per quanto mi riguarda ,da quel giorno lontano , quando nel calore meridiano di un’isola greca  sentii per la prima volta quel concerto non ho più detto di non amare il jazz , anzi quel casuale incontro musicale mi aveva fatto capire che la musica , qualunque musica se nasce dalla pura creazione sonora è di per sé un miracolo che entra nell’anima.

Molto si è scritto sulle circostanze di quell’evento : il pianoforte non accordato , il pianista con il mal di schiena e si è molto lavorato sul mito , di sicuro c’è  che quelle note le riconosco all’istante , mi basta ascoltare libera da pregiudizi è il miracolo si ripete .

Sempre- E non è più vero che non amo il jazz.

Le mappe del mondo

Un giorno lontano si pensò che la geografia a scuola fosse  una materia inutile , in effetti per come veniva studiata negli ultimi anni un cui potei vedere nei libri scolastici un arruffato sistema di informazioni  socio-politiche di un paese : metri quadrati di estensione , prodotti , sistema di governo e via via tante verbose informazioni che si potevano trovare su qualsiasi piattaforma a disposizione, pensai che forse era stato migliore il metodo dell’antiquato ricordo delle nozioni a memoria : le regioni , i fiumi , i nomi delle montagne : tutte cose buttate nel cestino dell’antiquariato scolastico.

Il risultato è stato drammatico : oggi nessuno sa più niente del mondo che lo circonda  : non sa dove piazzare i Balcani e pensa che la  Germania sia nel Nord Europa.

Questo meditavo guardando un banale quiz per famiglie nel pomeriggio di un giorno d’inverno , persone mediamente acculturate traballano vistosamente davanti a semplici domande di geografia.

Ho ripensato ai miei lontani studi durante i quali la geografia non era certamente la mia materia preferita ,però in seguito ho sempre detto di conoscere un po’ il mondo perché per mia fortuna ho viaggiato tanto ed è attraverso la visione dei paesi che ho imparato qualcosa del pianeta nel quale viviamo.

E qui veniamo all’importanza delle mappe ; da sempre l’uomo per impossessarsi di un luogo ne ha fatto la mappa , ne ha descritto il cammino per arrivarci , da Pollicino a Marco Polo , la conoscenza del territorio è sempre stata segnata dalle mappe, del resto anche l’Isola del tesoro la trovi solo se sai dove sta!

Passaggio successivo è dare un nome ai territori , così piano piano li riconosciamo e anche se qualche pazzo platinato pensa che cambiando il nome al Golfo del Messico quello diventi americano fa una fatica inutile , le navi lo percorreranno sempre nello stesso modo con le stessa mappe nautiche fatte nei secoli.

Oggi chi crede che cliccare su Google Maps sia sufficiente per capire le differenze dei popoli , le contraddizioni della storia , le conquiste sbagliate e soprattutto che le informazioni generiche che indicano il modo di andare “da la a qua”  siano sufficienti per conoscere il mondo apra un vecchio Atlante e ricominci a elencare i nomi dei fiumi e delle montagne  .  

Tutto sommato credo che sia urgente ricominciare a studiare la geografia come si faceva un tempo oppure si disponga di tanta curiosità da spingerci fuori dell’uscio di casa , non servono tanto i soldi quanto la molla della curiosità , ma questa i giovani ce l’hanno già , perlomeno a giudicare dai miei numerosissimi  nipoti.