Come faccio abitualmente non voglio arrivare troppo preparata ad ascoltare una cosa nuova, così ho fatto per il Kroll Roger che ha inaugurato la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia.
Per la verità qualcosa ne sapevo e avevo sentito quando Sir Tony lo aveva diretto alla ROH e soprattutto avevo raccolto in un backstage a Monaco il desiderio di un famoso baritono che di quella edizione era stato protagonista:
mi piacerebbe cantarlo a Palermo, mi aveva detto.
Quando ieri sera ho cominciato a sentire le note sconvolgenti del bellissimo inno iniziale mentre sul maxischermo si vedevano i mosaici dorati della cattedrale siciliana eseguite dal mirabile coro delle voci bianche ho capito il perché di quel desiderio e ho anche immaginato l’emozione di Karol Szimanowsky quando è arrivato in Sicilia.
Difficile spiegare tutta la serie di sollecitazioni che questa opera –non opera provoca all’ascolto .
Si stratificano i pensieri e le emozioni : i tre asciuittissimi atti corrono veloci,un solo ascolto non basta.
C’è tanta cultura del Novecento in questo capolavoro e non sarò io a spiegare tutte le implicazioni culturali e i rimandi che suscita.
Per questo c’è il prezioso e ricchissimo programma di sala al quale attingeranno i cultori dei siti specializzati ma un breve “taglia e incolla”me lo concedo pure io:
Scrive Gianandrea Gavazzeni”…l’ambiente per noi italiani è carico di riferimenti..fusioni di miti ,gli ori di estremi riflessi alessandrini arditamente congiunti ai richiami gregoriani che sorgono nei canti chiesastici del primo atto….una Sicilia evocata,un panico desiderio solare e marino…
Mentre uno strano Dioniso che ha in sé vaghi accenni ad un sotteso cristianesimo appare nelle vesti del misterioso Pastore ripensavo a questa creatura incantevole nata dalla coscia di Zeus che veniva dalla lontana Asia portando questa sua fascinosa trama di voluttà mi ritornavano in mente i versi di Euripide quando nelle Baccanti le Menadi chiamano il Dio dello strepito invocando questa creatura misteriosa che sconvolge e fa sì che si perdano anche i potenti.
Là Penteo, qui Ruggero che resterà solo nel bellissimo monologo che chiude l’opera.
Ruggero alter ego di Szimanowsky?
Certo che al raffinato compositore polacco quel sole , quel mare e quelle pietre suscitarono sicuramente una forma di perdizione che riuscì a tradurre nel suo capolavoro.
Tante le sollecitazioni musicali : Rossana sicuramente parente di Elektra/Ariadne e azzardo anche una lontana parentela con Isotta nel suo mirabile canto rappresenta il sogno del momento più lirico e cantabile dell’opera mentre il canto del Pastore ha in nuce nebbie lontane ,fascinazioni di un Oriente filtrato da una cultura molto impressionistica e molto mitteleuropea.
La raffinata forma semi-scenica ( sirTony per l’occasione ha ripreso in mano la bacchetta) ha messo in evidenza la grande qualità della pregevole compagine orchestrale e la qualità altissima dei cori diretti da Ciro Visco.
Nomino tutti i cantanti perché veramente si sono sottoposti ad una prova di alta professionalità .
Il Re Ruggero di Lukasz Golinski, il fascinoso Pastore Edgaras Montvidas, l’Arcivescovo di Marco Spotti e l’Edrisi di Kurt Rasker sono la componente maschile del cast che ha nella Rossana di Lauren Fagan e nella Diaconessa di Helena Rasker il completamento di una compagine perfetta.
Un discorso a parte, molto mio e probabilmente discutibile è l’apporto della regia “in presa diretta” delle immagini dei Masbedo.Mi hanno distratto , anche quel loro armeggiare alla consolle mi portava a seguirli (purtroppo li vedevo troppo bene) e non sempre a mio avviso le loro immagini servivano veramente a commentare la stupenda musica.
Comunque in definitiva una serata culturalmente memorabile , peccato non abitare a Roma , sarei ritornata a sentirlo volentieri.