Firenze, inaugurazione del Maggio Musicale fiorentino.
Bene ha fatto il Sovrintendente Chiarot a proporre per questa inaugurazione uno spettacolo particolarmente colto e affascinante ripreso dalla edizione parigina di due anni fa.
Lear di Aribert Reimann non è soltanto un evento culturale , è l’avere portato a Firenze uno spettacolo che sotto molti punti di vista porta un valore di novità nella piatta produzione degli enti lirici italiani in generale.
Grazie anche alla felice e importante regia di Calixto Bieito questa versione della tragedia scespiriana resterà a lungo nella memoria degli spettatori fiorentini , non a caso alla terza e ultima replica alla quale ho avuto occasione di assistere molti erano gli abbonati che tornavano per vedere lo spettacolo.
Tratto dalla immensa tragedia di Shakespeare quest’opera affascina e seduce anche ad un primo ascolto , ma resta nello spettatore la voglia di apprezzarla di più , magari attraverso una seconda lettura .
L’idea di mettere in musica la tragica storia del vecchio re di Britannia aveva affascinato anche Verdi , ne aveva scritto molto , poi il progetto fu accantonato anche se poi ne troveremo tracce importanti laddove non si penserebbe davvero : nel finale del Rigoletto.
Anche Reimann lo ha colto , con una specie di scatola cinese il pianto di Lear sul corpo di Cordila ci riporta come un omaggio all’altro grande pianto su una figlia morta.
Quando Dietrich Fischer Dieskau chiese a Reimann di lavorare a questo progetto si rivolse ad un musicista di solida preparazione ,non a caso era stato anche suo accompagnatore nei concerti di liederistica.
L’opera fu poi commissionata e vide la luce nel 1978 dall’Opera di Stato della Baviera con Fischer Dieskau nel ruolo del protagonista e da quel momento praticamente è entrata , specie nei paesi di lingua germanica , ormai stabilmente nel repertorio.
Aiutata dalle preziose note del programma curate da Enrico Girardi si entra in questo gioco di suoni in cui inizialmente si resta forse leggermente spiazzati per poi entrare lentamente nella storia che diventerà diversa nel proseguire del racconto , senza mai sovrastare le voci , senza mai perdere il filo conduttore che riporta a specchio le storie dei figli buoni Cordelia e Edgard nella strada contorta e doppia della trama con due vicende intrecciate , motivo non ultimo della rinuncia verdiana a cimentarsi nell’ardua impresa, perché in effetti si racconta la tragedia di due padri: Lear da un lato e Gloster dall’altro.
Certo , per una impresa del genere occorrono grandi cantanti- attori e qui ci sono veramente tutti , su cui primeggia la figura carismatica di Bo Skovhus nel ruolo del titolo che aggiunge nel tragico finale della follia del vecchio re momenti di una intensità straordinaria.
Brilla accanto a lui la prestazione di Andrew Watts cui si richiede di cantare nei due registri di tenore e controtenore quando nel proseguo della vicenda il personaggio si trasforma in povero vagabondo , per poi ritornare al registro di tenore nei momenti di passaggio da un ruolo all’altro.
Momenti di memorabile tensione musicale si susseguono nella scarna ed efficace scenografia che si trasforma in foresta nella quale vagano i personaggi tragicamente inseguiti dal loro crudele destino.
Si occhieggia giustamente al teatro della crudeltà di artoniana memoria , ci si perde nella selva di suoni che vanno dal grande uso delle percussioni ai momenti lirici in cui si riaffaccia addirittura un senso di abbandono e di pace al limite del melodico.
Senza mai coprire le voci , senza mai sovrapporre inutili effetti brilla la direzione scarna e perfetta di Fabio Luisi , è evidente che si trova nel suo habitat e bene lo seguono la ottima orchestra del Maggio e i cori maschili guidati da Lorenzo Fratini.
Alcuni momenti della tragedia vedono la sovrapposizione di scene ,i cantanti tutti perfetti nei rispettivi ruoli aiutano la non facile lettura del testo , inutile citarli tutti , sono di una bravura straordinaria : da Goneril a Regan fino alla dolce Cordelia , poi Gloster , il già citato Edgard , il viscido Edmond , il Matto e Kent , tuuti formati alla grande scuola di canto germanica.
Personalmente ho un solo rimpianto , non aver potuto vedere una replica , penso di avere bisogno di una rilettura .
L’occasione l’avrò a Parigi , nella ripresa autunnale all’Opera Garnier.
Che bella recensione! Mi fa venire l’aquolina in bocca.
Avrei voluto scrivere tanto di più…non bisogna mai chiudresi al nuovo