Quando un Festival come quello di Aix en Provence mette in cartellone un must popolare come Tosca sicuramente non lo fa in modo banale , il risultato è sicuramente stimolante , in parte anche riuscito , ma ci pone alcune domande di fondo sulle quali mi piace riflettere.
In reltà la Tosca di Aix è una sorta di documentario sul mito popolare ,su cosa è nella mente dei molti che all’opera non ci vanno mai, di quelli che la Tosca è “vissi d’arte” e poco più.
Quegli stessi che magari hanno un vago ricordo dell’unico spezzone tv della Divina per eccellenza : Maria Callas e del suo mitico abito rosso Impero.
Curiosamente ad interpretare il mito si sceglie una che diva non fu se non per essere stata la protagonista di un evento cinematografico girato a Roma : quella “Tosca nei luoghi di Tosca” che fu una operazione brillante e molto popolare.
Oggi Catherine Malfitano interpreta la Prima donna ossessionata dai ricordi , persa nella sua vita di ex cantante , circondata dai suoi cimeli e forse anche dai suoi rimpianti.
Come riuscire a mettere in scena questa Tosca sul mito di Tosca? Il regista Christophe Honoré immagina un primo atto ( forse il meno riuscito) in cui nel bel salone della cantante arrivano i cantanti e anche i bambini ( quelli proprio lei non li vorrebbe ) e la Master class comincia .
Ovviamente la Tosca è giovane e abbastanza immatura , Cavaradossi invece è stagionato , tanto da usare anche galanterie per la vecchia cantante e,Scarpia senza ghigni e birignao, è forse il meglio riuscito.
Nel secondo atto , con la scena divisa in sezioni , si gioca meglio il momento clou del dramma , anche se con discutibili eccessi di volgarità come la cattiva digestione di Cavaradossi che ne giustifica il malessere o l’abbinamento sessuale tra la violenza di Scarpia e l’amore mercenario di Tosca.
In questo contesto la sfilata di immagini di Divine sul “vissi d’arte” della giovine cantante è la chiave di tutto.
Il terzo atto , scenicamente è forse il più riuscito : tutto si ricompone . L’opera in forma di concerto , l’orchestra sul palco e il l”Lucean le stelle” dedicato alla Tosca spettatrice privilegiata in veli rossi sul palcoscenico.
L’ovvio e a questo punto banale finale vede la Diva uccidersi , perduto ormai il suo ruolo cede il campo all’avvenire della giovine che la sostituirà nel futuro.
A questo punto mi pongo le domande : serviva tutto questo per raccontarci una Tosca non convenzionale ?
e soprattutto può essere questa una strada per riavvicinare i giovani , o meglio tutti coloro che all’opera non ci vanno perché la considerano un’espressione d’arte superata?
Credo proprio di no : Tosca è un capolavoro perfetto musicalmente e scenicamente e per questo è ancora uno dei titoli più frequenti nei cartelloni di tutto il mondo.
La compagnia di canto è di buon livello : Algel Blue è ancora acerba , come vuole il copione , Joseph Callejia se la cava , anche se notoriamente non è mai un grande interprete e i suoi acuti sono molto strillati , il migliore è Alexey Maikov , uno Scarpia convincente e ben calato nel gioco interpretativo.
La Malfitano , che pure canta la “canzone del pastorello” , con i suoi grandi occhi sgranati buca letteralmente lo schermo, ovviamente tanto abusato da diventare un leitmotiv banale delle attuali messe in scena.
Ora va di moda , come lo furono i cappottoni qualche anno fa.
Gli operatori in scena che salterellano qua e là cominciano francamente a stufare.
Mi è piaciuta la direzione intelligente di Daniele Rustioni , coraggiosamente a capo di un ‘ottima orchesta di Lione , virtuosamente coinvolto a dirigere in maniera anticonformista .
Devo dire , a onor del vero , che a mettere in scena la Tosca- Diva ci aveva già pensato con ben altro risultato e con ben altri interpreti Robert Carsen una quindicina di anni fa a Zurigo.