La lunga e interessantissima intervista di Vincenzo De Vivo a Opera Click mi ha dato l’occasione per trattare di un’esperienza relativamente recente di cui volevo parlare e non sapevo se avrebbe potuto interessare in tempi così lontani da ogni interesse che non sia quello tristissimo della nostra sopravvivenza al Covid19.
De Vivo fa un’acuta osservazione circa il teatro di regia e sul ruolo gerarchico che dovrebbero avere nell’ordine : il direttore d’orchestra e il regista , mettendo in rilievo il ruolo di straordinario coordinamento affidato alla figura del direttore artistico .
Ebbene , nonostante il periodo di grande magra nello scorso mese di marzo ho putoto assistere ad una attesissima messa in scena del Fidelio a Londra e , pochi giorni dopo , in streaming alla visione di un Fidelio dal Theater an der Wien di Vienna.
Mentre a Londra c’era un regista :Tobia Kratzer molto considerato recentemente per le sue realizzazioni ( vedi ad es: il Tahannauser di Bayreuth) a Vienna ci si è affidati ad un attore teatrale di cui non conoscevo le qualità registiche ( Christoph Waltz ) e devo dire che il risultato viennese è di gran lunga superiore nella fedeltà al pensiero beethoveniano di quanto lo sia stata la seppur complessa e stimolante ricerca interpretativa dell’illustre collega , anche lui di origine germanica ( a parte che Waltz è austriaco ..e questo può voler dire molte più cose di quanto si immagini).
All’An der Wien i mezzi erano sicuramente inferiori , il cast molto meno importante e non tutto lo spettacolo mi ha così emozionato fino alla fine come avevo sperato , ma nell’insieme mi sono trovata di fronte a qualcosa di veramente emblematico in relazione a quanto afferma De Vivo nella interessante intervista.
Quel vecchio teatro viennese ha sicuramente dalla sua la ricerca qualitativa senza notevoli mezzi ( ci ho ascoltato recentemente una Clemenza di Tito impreziosita dalla presenza di ben due controtenori di notevole spessore) e i risultati , sicuramente meno clamorosi ,sono di altissimo interesse.
Per ritornare ai due Fidelio : a Vienna l’Ouverture era la Leonora tre e già questo per me è un punto a favore , a Londra , chissà perché si è preferito la “prima stesura “ e la Leonora tre mi è mancata proprio .
A Londra un terribile stacco tra il primo atto e il secondo , a Vienna un unicum omogeneo , per quanto la musica ( e il testo ) possano permetterlo .
Semmai a Vienna mi è mancata la chiusa con il meraviglioso coro finale , ma ho capito che ad un attore di teatro non interessasse tanto quel finale staccato , con le complicazioni relative alla povera Marceline , ma la bellissima preghiera del Governatore , quella sì non me la doveva tagliare .
Ma come diceva un altro grande viennese: Billy Wilder “ Nobody is perfect”.
Lo dice una che rischiando ( più di quanto avessi capito ) letteralmente la vita ero andata a Londra perché oltre al mio amatissimo Jonas Kaufmann , il suo Florestan non ha attualmete rivali su tutti i palcoscenici del mondo c’era anche un altro mio grande amore : sir Tony Pappano alla bacchetta.
In questo momento non ho la possibilità di scambiare due parole né con l’uno né con l’altro , ma mi piacerebbe capire quale ruolo importante di coordinamento abbia avuto alla ROH la figura del direttore artistico e quanto ne abbia condizionato le scelte diciamo così, commerciali, circa la resa di immagine dell’allestimento.
Purtoppo è finita male , anzi è finita prima di finire e non ne abbiamo neppure lo streaming che era programmato per la metà del mese scorso.