Ieri sul sito del Met tornava il Werther del 2014 , non avevo messo in programma di rivederlo ,ma il link messo generosamente sul web da un caro amico ha fatto si che ci abbia cliccato sopra , quasi meccanicamente.
Così sono rientrata dell’atmosfera straziante e fascinosa della storia del giovane infelice così mirabilmente raccontata da Goethe e poi per uno strano connubbio perfettamente musicata dal francese Massenet .
Tanti nomi gloriosi della lirica hanno impersonato l’infelice romantico , inizialmente addirittura scritto per la vocalità baritonale , passato poi attraverso la voce di Alfredo Kraus addirittura al tenore leggero.
Ma è con Jonas Kaufmann che Wether trova la personificazione ideale , soprattutto grazie alla stupenda e bergmaniana edizione parigina di Benoit Jacquot del 2010 che tanti cuori femminili fece palpitare .
Il mio tra quelli e quando dopo tre anni l’0pera fu ripresa al Met presi letteralmente il volo per andare a sentirla dal vivo.
La versione americana non aveva la raffinata eleganza di quella francese , in parte ne restai delusa anche se nel crescendo dell’opera la potente interpretazione di Kaufmann trovava accenti drammatici anche più forti e più tragici.
Ricordo un paio di momenti durante la rappresentazione : il suo apparire come uno spetttro alla porta della casa di Charlotte nel quarto atto , questo momento si perde nella ripresa streaming e quel disperato urlo silenzioso davanti alla porta chiusa della su amata fuggita dopo il momento di follia amorosa che segue la lettura dei versi di Ossian.
Il finale poi , mutuato chiaramente dalla versione parigina , fortissimo e crudele con quella piccola stanza che si avvvicina al proscenio, inquadra il gesto suicida con feroce realismo.
Così ho ricordato nella visione in ottima qualità HD trasmessa ieri tanti momenti che avevo forse un po’ scordato e mi sono di nuovo trovata a soffrire e a commuovermi come tanti anni fa.
Alcune osservazioni sull’ascolto rinnovato : intanto la bellissima direzione di Antinoglu, possente e senza le dolcezze di Planchon perchè spesso i direttori francesi non sono i migliori con il loro repertorio e soprattutto la mirabile rappresentazione in crescendo di Kaufmann , in un momento particolare della sua vita di artista e di uomo.
Non era al massimo della gioia e della serenità in quel periodo , la sua magrezza e il suo humor nascondevano un vero travaglio personale e questo , col senno di poi , lo si coglie appieno durante la sua esibizione.
In questo momento in cui non abbiamo tanto da raccontare di nuovo , solo sperare che piano piano questo virus che ci chiude nelle case e nei nostri confini ci consenta di evadere e di potere tornare a godere della grande musica nel resto di Europa , mi accontento di ri-guardare e di ri-commentare le passate emozioni vissute.
J’aime beaucoup lire tes impressions, Adriana. Mille baci.
Merci bien ma chère,: on se verra j’spere quelque jour…