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Mi è capitato questa settimana di assistere a un incontro che, molto in teoria, era nato per avvicinare i giovani al mondo del melodramma e di averne tratte alcune conclusioni che voglio condividere.
Facciamo un passo indietro come nei romanzi d’appendice.Un anno fa invitata da un gruppo di giovani in un circolo operaio avevo accettato di presentare il mio primo libro di memorie musicali, per spiegarmi meglio mi ero portata dietro un paio di DVD e avevo inserito nella mia breve chiacchierata qualche brano della Tosca e di Carmen, raccontandone anche le storie. Devo dire che avevo giocato sporco perché sia la Tosca che la Carmen erano con Kaufmann, il che rendeva abbastanza credibili le vicende e questo era stato fonte di notevole successo. Alla fine del mio racconto i ragazzi presenti, attenti e molto presi dai racconti, mi avevano anche pregato di tornare presto a raccontare altre opere. Uno poi mi aveva anche detto, ma io questa canzone (sic!) la conosco, la cantava anche mio nonno… Per varie ragioni il secondo incontro non è più avvenuto ma mi è rimasta la sensazione che con un po’ di entusiasmo il racconto di un dramma in musica condito con un po’ di agganci anche storici e di belle immagini potesse fare ancora presa su persone molto giovani.
Fu così che feci la proposta di ripetere questa esperienza attraverso un’associazione di cui faccio parte e che è intitolata al Teatro delle Muse. Il mio progetto, troppo banale, fu bocciato e al suo posto fu chiamato un giovane critico musicale, musicofilo, colto e soprattutto amante di cantanti morti da un pezzo. Le conferenze, dagli ampollosi titoli accompagnati da tristissime slides di testi con foto di cantanti d’antan richiamano il solito pubblico dei frequentatori di conferenze, quelli per intenderci che avendo ormai l’età della pensione vanno a tutti gli incontri possibili che la piccola città di provincia offre. Qualche raro giovane universitario intrufolato per caso, forse perché fuori fa ancora freddo, durante gli inserti cantati giocava col telefonino…
Ma io che sono una inguaribile ottimista sono convinta che la lirica non è morta e che con un po’ di pazienza e di fantasia si possa ancora, attraverso le giuste modalità, regalare ai giovani un piacere che non conoscono e pensano anche di non riuscire ad apprezzare semplicemente perché ancora non è stato dato loro il modo di conoscerne il fascino sottile e da questo poi di cominciare ad amare quello che considerano qualcosa di morto e sepolto ed invece è parte fondamentale, come una sorta di imprinting nel DNA, della nostra storia.
Ecco, hai detto bene, ai giovani manca l’imprinting. ….ma chi dovrebbe darglielo?.
Credo che toccherebbe ai piu’ grandi…..intesa la scuola fatta bene , la famiglia, idem…insomma a voi. E anche a me per quel poco che mi sara’ ancora consentito.
da insegnante ci provaiii con un rigoletto , un nozze, un cosi fan…, un hoffmann in preparazione a spettacoli nel teatro cittadino…..,sì il risultato fu sufficiente…….ma poi uno stato come in vostro/nostro ha fatto il …resto!
Infatti , il discorso e’ piu’ vasto . Ma io non mollo , anche perche’ il
nemico e’ anche quella parte di melomani alla Grisi che si sente elitariamente depositaria di un Verbo …defunto .
Siamo accerchiati……da una parte uno stato ignorante e dall’altra i vecchi melomani che non amano un modo nuovo di fare e sentire l’opera.
L’opera non muore mai, quelle composizioni magnifiche e immortali sono una chiave che apre il cuore e l’anima, di tutti noi e anche dei piu’ giovani
Si , ma a teatro siamo sempre piu’ vecchi…….