Jenufa

Con ritmo ossessivo scorre l’acqua del mulino , uno spazio chiuso, le donne in nero , le culle appese , ma forse sono luci che illuminano le mani che sbucciano le patate , poi le sagome scure degli abiti appesi diventano uomini che vanno al lavoro.

Si apre così lo sfolgorante spettacolo della Jenufa , creato per la ROH e meritatamente ripreso dal Teatro dell’Opera di Roma.

Una storia straziante , una colpa diffusa nella crudele indifferenza di un villaggio moravo , la storia crudele di un infanticidio e una musica così sconvolgente in cui la linea melodica si interrompe continuamente lacerandosi nel canto.

Janaçech , autore di libretto e musica scrive alla fine dell’Ottocento una storia  modernissima dove non esiste un confine tra il bene e il male , dove tutti sono vittime e colpevoli, dove solo nell’accettazione di un tristissimo destino si apre uno spiraglio di pace nel finale senza felicità.

Lo stupendo spettacolo di Claus Guth , formalmente elegante , coniuga la fedeltà intrinseca alla musica con una cura perfetta di ogni gesto dei tanti superbi interpreti su cui spiccano fra tutti una Karita Mattila che ha la potenza recitativa di una eroina classica e la ieratica presenza delle rigida “vecchia” di Manuela Custer.

Tutti bravissimi , credo nessuno di madrelingua ceca e sotto la bacchetta di un ispirato Juraj Valhcuha ci hanno regalato una indimenticabile rappresentazione con un unico rammarico , i troppi vuoti in teatro, laddove un simile spettacolo semmai giustificava addirittura un secondo ascolto per meglio entrare in un universo musicale ricchissimo in cui si possono ritrovare preziosi echi pucciniani e non solo.

Ci si incanta nella bellezza formale del primo atto , si piange e si ascolta col cuore stretto il secondo atto mirabile come un colpo al cuore e ci si placa nel finale dove l’amarezza di una pace conquistata nel dolore si ferma nell’immagine di Jenufa che svuotata di ogni speranza prende la mano del suo compagno.

La vita , nella semplice amara verità è anche questo.

Diffidenze etniche

Non si finisce mai di stupirsi nella vita e qualche volta lo stupore rasenta il grottesco.

Da qualche mese ho una nuova collaboratrice domestica , una bella donna romena che ha il solo vizio di essere troppo fissata con le pulizie : inghiotte prodotti d’uso domestico come fossero leccornie prelibate e il suo grido di guerra è candeggina! La metterebbe dappertutto o in alternativa lo sgrassatore che per lei è oggetto di culto.

Vive in Italia da molti anni e anche se il suo linguaggio non è ricco ci intendiamo a meraviglia su tutto.

Ma  da qualche giorno ci sono in casa degli operai che fanno dei piccoli lavori di ripristino sui danni provocati dall’avere edificato una nuova mega villa accanto a casa mia , questi operai gentilissimi parlano tra di loro in una lingua che non conosco e allora io che sono sempre aperta e curiosa di tutto ho chiesto da dove venissero.

Orgogliosamente il capo mi ha detto di essere albanese ,ma con     fierezza poi ha chiarito di esser cittadino italiano , è arrivato qua nei lontani anni novanta , al tempo della loro venuta in massa nel nostro paese.

Allora io , credendo di fare cosa gradita ho cercato di presentare i miei due occasionali ospiti :la signora è romena ,e a lei :loro sono albanesi.

Ho capito subito che non correva buon sangue tra di loro , la diffidenza e la sottile freddezza davanti a quella che credevo essere una presentazione tra stranieri accumunati da un uguale destino di sradicati in un paese altrui si è rivelata nella sua disarmante crudeltà.

In realtà erano diffidenti gli uni e l’altra , come animali che si rinchiudono nel loro guscio identitario , come lumache che rientrano ciascuno nella  loro casetta.

Eppure avevo letto tanto sui Balcani , ma evidentemente la realtà ravvicinata colpisce di più che non facciano tante ponderose letture storiche.

Aida perduta

Adesso che sono terminate le repliche dell’Aida di Monaco nell’allestimento che fu visto nella stagione del 2022/23 senza suscitare il clamore attuale mi permetto di fare alcune osservazioni in merito all’attuale ripresa.

Il BSO aveva trasmesso l’opera durante la stagione del primo allestimento e rimasi particolarmente colpita da quella marcia trionfale dei reduci di una guerra che mostrava le ferite e le mutilazioni dei soldati al ritorno in patria.

Ugualmente apprezzai la cenere che cadeva sul destino degli infelici amanti , una cascata grigia che finiva per essere una piramide , citazione affatto scontata della tragedia di una delle tante guerre che insanguinano le terre africane.

Il regista Michieletto non è nuovo a rivisitazioni che hanno un senso , possono piacere o meno ma sicuramente il filo conduttore reggeva bene la scelta di fondo : una messinscena a dichiaratamente “ a tema “ il cui risultato finale si poteva dire riuscito , ben altrimenti che l’infelice tentativo parigino che ha sfiorato il ridicolo attraverso l’uso delle marionette , oltre tutto di difficile realizzazione pratica-

Solo un professionista del calibro di Kaufmann era  riuscito a rendere , se non dico credibile , perlomeno accettabile la scena finale nella quale fu costretto a cantare con un pupazzo tirato da tre persone.

Nell’allestimento visto sul canale bavarese il ruolo di Radames era interpretato da un ottimo tenore italiano , Riccardo Massi , dal bel portamento fisico anche se ovviamente è difficile rivaleggiare con un extraterrestre come Kaufmann , il cui valore aggiunto non sta solo nel diminuendo del Celeste Aida , ma nelle sottili impercettibili mosse  delle controscene : un guizzo rapido nel guardarsi intorno intorno prima di abbracciare Aida di nascosto , il giocherellare meditabondo su una palla abbandonata in palestra che lo fanno una sorta di Amleto col teschio di Yorik.

Se non fosse esorbitante il costo di un volo di un’ora , la Lufthansa chiede 700 euro per a/r Ancona Falconara , avrei volentieri fatto la follia per rivedere un’ennesima Aida nella mia vita.

Mi sono dovuta accontentare delle tante foto dei saluti finali che hanno inondato il mio telefono e sorridere alla visione di Kaufmann caduto nella giacca che sicuramente non era stata ristretta alla sua , peraltro non esigua , attuale corporatura.

La musica del caso

E’ un titolo bellissimo di uno dei tanti romanzi di Paul Auster che hanno accompagnato i miei anni di lettore.

Lo cerco invano in libreria , probabilmente l’ho prestato in anni lontani ,  ma trovo diligentemente in fila oltre alla citatissima Trilogia newyorchese altri titoli e soprattutto in queste ore ripenso a Smoke , quel film straordinario che raccontava con la camera fissa quell’angolo di Brookling e quella tabaccheria  “ombellico del mondo”.

Ne era seguito Blue in the face, forse meno bello ma che fedelmente andai a vedere , anche perché ne aveva addirittura curato la regia.

Auster raccontava l’America che amavamo , la sua bella faccia di intellettuale occhieggiava dalle copertine e te lo faceva sentire amico , un amico americano che ti raccontava con amore la sua città , il suo mondo.

Forse quel mondo di contraddizioni , di storie minori conteneva una immagine forte e quando si arrivava a New York , attraverso i suoi racconti ci sembrava di essere anche noi a casa , di essere parte di quella Grande mela e ci si illudeva che quella fosse l’America.

E’ sempre tanto triste quando muore uno scrittore importante , se ne va una voce forte e affascinante che avrebbe forse potuto raccontare qualcosa di diverso in questo attuale nostro divenire.

Forse con lui si chiude l’immagine amata della nostra america immaginata , mi fa paura l’immagine dell’america futura  , quella grande democrazia in balia di due vecchi che si contenderanno il potere in  una situazione che forse molti di noi non avrebbero mai immaginato diventasse possibile.

Un rischio reale

Un cittadino europeo mediamente acculturato , con sistematica abitudine alla lettura di un paio  di quotidiani fino a poco tempo fa poteva illudersi di avere una informazione equilibrata ma da un po’ di tempo questa sicurezza è crollata.

La netta sensazione che ogni notizia possa essere manipolata , che ogni foto racconti solo quello che si vuole fare vedere sta minando le basi della fiducia che il semplice cittadino riponeva nella propria capacità di decodificare il falso possibile dal falso sistematico nel quale siamo immersi da ogni tipo di informazione.

Se un cittadino/a che si credeva abbastanza capace di decodificare il vero dal falso cade nella trappola cosa può succedere ai tanti che  meno preparati credendo di informarsi  ricevano attraverso i mille canali oggi disponibili una realtà simulata  mostrata da parziali angolazioni , visioni distorte , informazioni manipolate cosi che la realtà non esiste più , esiste solo quello che i mezzi di informazione vogliono fare arrivare all’utente?

Non parliamo più di fake news , parliamo di realtà sottilmente aggirata e senza fare ricorso ad apocalittiche interferenze basate sull’intelligenza artificiale basta la distorta informazione generalizzata a provocare una confusione di informazioni che porta inevitabilmente alla sfiducia e di conseguenza alla incapacità di selezionare quanto di vero esiste in una notizia .

Basta una omissione verbale , un “si dice” da sconfessare a giro di posta , una foto da un angolo invece che da un altro e la realtà obbiettiva diventi un riscontro impossibile.

Tra due mesi si vota per il rinnovo del Parlamento europeo  e mi fa paura pensare che siamo nelle mani di chi ci dirà tutto e il contrario di tutto fino a fare di ogni elettore il terminale di bugie generalizzate il che provocherà sicuramente un disincanto e una sensazione di inutilità che porterà gli ex più acculturati a disertare le urne e questo sarà il risultato che potrà portare ad una nuova Europa minoritaria nel consenso ma non nei pericolosi risultati che potrebbero avverarsi.

Ragazzi in piazza

Colpisce la foga con cui i giovani studenti ,dalle superiori alle università ,si riversino sulle piazze sventolando bandiere palestinesi e magari indossando la kefià anche se non ne sanno il valore.

Furore pacifista che porta anche alla violenza e sono le ragazze le più arrabbiate ,in nome di un popolo di cui poco sanno e niente hanno studiato.

Ovviamente il nemico è Israele con la sua violenta risposta all’infame eccidio del 7 ottobre ed è pericoloso aggirarsi con la Kippà in testa con questi chiari di luna.

Il ceto docente sotto tutte le latitudini però dovrebbe interrogarsi di più sulla colpevole mancanza di informazioni storiche e per l’Indifferenza con  cui hanno  liquidato gli eventi anche nel recente passato.

Corrono ai ripari i senati accademici condannando le manifestazioni studentesche , ma quanti degli illustri professori avevano dedicato il loro tempo a spiegare la storia di due popoli  destinati a convivere sotto lo stesso cielo , a rubarsi gli spazi di vita in cui la convivenza avrebbe potuto essere possibile?

C’è un pericoloso vuoto culturale nel furore giovanile “contro Israele” e mi sembra troppo tardi per cercare di recuperare il raziocinio che serve a spiegare le motivazioni storiche di una realtà che , almeno adesso , sarà molto difficile riportare alla serena convivenza.

Spiegare la differenza tra sionismo ed ebraismo : raccontare il perché di una difficile piccola nazione democratica circondata da tutti popoli che la democrazia non solo non l’hanno mai praticata ma nemmeno conosciuta nelle sue più elementari forme avrebbe dovuto essere un dovere della classe dirigente delle democrazie radicate sia nella vecchia Europa che nel nuovo mondo che dall’Europa nacque.

La violenta risposta israeliana all’eccidio di Hamas è frutto di un governo che era in crisi , contestato da gran parte dei suoi stessi cittadini , un governo distratto dalla ribellione interna che non si è saputo difendere in un momento di chiara debolezza.

La risposta è terribile , la striscia di Gaza con i suoi due milioni di civili ammassati al limite della sopravvivenza  dimostra che due sono stati i nemici di quel disgraziato popolo : il governo israeliano in cerca di una vendetta e Hamas che si è servita della massa di un popolo ammassato facendolo vivere sopra una rete di cunicoli  a ragnatela di esplosivi che lo ha fatto diventare quel  popolo in fuga dentro una gabbia , anime perse nella polvere delle loro case , schiacciati tra il deserto e il mare . 

I ragazzi che sventolano le bandiere si danno risposte elementari ad una tragedia che di elementare non ha proprio  niente , nel più evidente dei casi serve solo a far ritornare l’antisemitismo laddove neppure la tragedia della Shoa era riuscita a debellare.

Un post privato

Cambio di canale per caso : un illustre medico e scienziato parla di una malattia terribile :la leucemia mieloide acuta infantile che fino a ieri era considerata incurabile.

Mi scoppia in testa la notizia che finalmente sia  stata trovata una nuova possibilità per combatterla : non capisco niente delle cellule killer, non capisco niente di una speranza nuova ma con il cuore stretto guardo un disegno sul muro : ritrae una bambina che nel 1969 mi diceva : vedrai mamma che troveranno  la medicina che mi guarirà.

Sono passati cinquanta anni e forse ci sono arrivati davvero.

Guardo emozionata il disegno e le parlo : vedi che avevi ragione , ci sono arrivati davvero!

Lei non c’è più da tanto tempo ormai e la ferita della sua perdita è di quelle che non si rimarginano mai ,mi basta una emozione come quella di ieri sera per sentirmi dentro tutto il peso di una perdita che nessun nuovo affetto , nessuna grande gioia che il fluire della vita mi ha regalato mi sia servita per sanare quella piaga lontana.

Forse ha ragione il mio coetaneo Woody Allen che bisognerebbe nascere vecchi per poi finalmente morire infanti , rovesciando il peso della vita si vivrebbe con più logica tutto quello che di illogico la vita ci riserba.

Comunque la notizia è vera , si apre una nuova speranza per i genitori che vivono oggi la tragedia assurda di vedere crescere i figli sapendo che il destino non concederà loro la possibilità di vederli diventare grandi .

Ci inondano di tutte le pubblicità che invitano a contribuire versando fondi per la ricerca , le voci patetiche di chi ringrazia innanzitempo , è tutta un’insalata di richieste che finisce per creare una specie di corazza di indifferenza.

Ma la notizia vera e concreta che l’illustre medico ha raccontato in un programma molto  popolare mi spinge a scrivere questo post privato : rompiamo la corazza , aiutiamo davvero i ricercatori che combattono , di tempo ne è passato davvero tanto da quando quella bambina mi diceva “ vedrai che la troveranno la medicina che mi guarirà”, ma se quel tempo è venuto  oggi io sento il dovere di aggiungere la mia voce all’appello .

Sono solo canzonette

Da tempo su un quotidiano  che leggo abitudinariamente appare un invito a dichiarare quale per i lettori sia la più bella canzone della propria vita  o almeno quella che ha un forte significato per ciascuno di noi.

Sembra un gioco ma ci si accorge che non lo è appena si comincia a pensare alle tante canzoni che hanno punteggiato i nostri ricordi .

Me ne venivano in mente tante mentre selezionavo nella memoria i momenti in cui anche un brano breve , le canzoni durano mediamente tre minuti , avesse per me un significato più importante rispetto ad altre , magari bellissime musiche che non avevano lo stesso impatto emotivo .

Mentre passavo in rassegna autori , cantanti , voci che uscivano dal cuore mi sono accorta di stare canticchiando qualcosa di inconscio e ho capito che la mia mente aveva scelto da sola : stavo cantando Gracias a la vida di Violeta Parra , la musica del cuore si era scelta da sola.

Poi l’elenco delle mie preferenze era comunque abbastanza lungo e mi sono resa conto che è cambiato col passare degli anni anche se certi momenti restano legati nei colori del tempo con il sottofondo musicale che ha scandito la vita e le vicende che l’hanno accompagnata .

Chissà perché un motivo riesce a riaprire una porta del tempo senza che ce ne accorgiamo consapevolmente?

In questo elenco lungo e filtrato dalla memoria comunque ne resta uno sopra tutti gli altri ed è una canzone di Luigi Tenco , un autore particolarmente caro ai miei ricordi e si intitola Lontano lontano .

Pare che piacesse pure a Frank Sinatra.

Un centenario

“Addio  Giovanni Castorp onesto beniamino della vita ….” Cominciava così la domanda che chiude quella che nella vecchia traduzione si chiamava La montagna incantata.

Forse non ebbi mai altro libro di formazione che questo immenso romanzo e ricordo esattamente il mio gesto di chiudere l’ultima pagina con religiosa commozione.

Queste parole le ho sempre recitate come un mantra e ancora adesso sono in grado di ricordale perfettamente anche se ormai so che il titolo del libro è più correttamente tradotto come  La montagna magica.

E’ passato un secolo esatto dalla sua pubblicazione e a Davos ci sono andata in religioso pellegrinaggio per osservare quell’edificio elegante che racchiudeva il sanatorio dove capitò quasi per caso l’antieroico protagonista del romanzo.

Quante colte ho pensato a madame Chauchat e a quel suo gesto veloce di raccogliere i capelli e al lamentoso “ tous les deux” della madre angosciata dei figli malati.

Ricordo  la fatica di leggere i dotti duelli verbali di Naphta e Settembrini , ero giovane e faticavo un po’ a entrare nelle loro argomentazioni filosofiche .

Solo recentemente , ho scoperto , riprendendolo tra le mani che un amatissimo Lead della Winterreiese ha un suo ruolo nel libro.

Tuos se tiens…si vive nell’accumolo di tante emozioni e penso con tristezza che forse certe emozioni antiche possano mancare alla gran parte dei giovani d’oggi.

Certamente però è colpa mia , ad ogni tempo la sua formazione culturale , quella è stata la mia , spero solo che i miei tanti nipoti possano avere altrettante forti emozioni dall’apprendimento delle loro attuali letture.

Gioconda ripensata

Con l’ultima replica si è chiuso trionfalmente il ciclo napoletano di Gioconda , capitolo chiuso.

Ho passato giorni a replicare agli innumerevoli detrattori di Kaufmann che sembravano scatenati circa la fine definitiva della carriera del tenore , ma un divertente siparietto di Jonas su Instagram di ieri mi ha fatto capire che in realtà l’umore ( e la salute) del sullodato sono ottimi e che finalmente aveva anche trovato la chiave di lettura del personaggio di Enzo.

Ho così pensato di tornare sopra a quanto già pensato dell’opera che , se la moda del tempo ne fosse stata matura , avrebbe dovuto intitolarsi Barnaba o meglio La spia.

Mi sono così divertita a pensare un ipotetico allestimento  che contenga  già un perfetto sceneggiato cinematografico : una torbida storia di acque putride , di gloria e splendori veneziani e di cupe atmosfere lagunari.

Dallo splendore marmoreo di Palazzo ducale con la grande Bocca del Leone in primo piano ( il ricordo della Venezia di cartapesta di una lontana recita maceratese!) al misterioso approdo all’isola della Giudecca con i suoi miasmi dei “morti canali” in cui galleggiano   cadaveri degli annegati , tutto nell’opera ci racconta di acque adriatiche.

Un marinaio “dalmata” , in realtà un nobile genovese che arriva nella città ricca e corrotta con i suoi mefitici miasmi lagunari , un mistero , un ballo , le barche che dondolano sulle briccole , l’attesa dell’amata in fuga che arriva anche lei su una barca …

Tutta la storia si svolge sull’acqua e anche la fuga finale dei due amanti si perde nelle nebbie mattutine dei vapori lagunari mentre i due sconfitti protagonisti del male si distruggono nella morte e nella crudeltà le loro misere vite .

Mentre lo sfarzo nobiliare resta nei grandi palazzi la povera cantatrice e l’ignobile spia vestono modeste vesti dagli sbiaditi colori dell’usura.

Una storiaccia criminale con crudeli omicidi , col veleno e i suoi antidoti , con i marinai che scivolano nell’ombra portando cadaveri finti e con cadaveri veri che galleggiano nelle acque morte.

Che bell’allestimento sarebbe ! e come piacerebbe cantarlo a chi so io!

Ne era così convinto quando ne abbiamo parlato in pizzeria citando l’entusiasmo di sir Tony per il recupero culturale in atto.

C’era  voluto Claus Guth per fare di Calaf un vero eroe, purtroppo è mancato il tempo a Kaufmann per farne uno anche con Enzo Grimaldo, prence di Santafiore.

Paragoni

Inevitabile paragone tra la messinscena di  Salisburgo e quella di Napoli : se fosse una partita di calcia direi uno a zero , vince nettamente Napoli.

Ma con quali motivazioni ? Cercherò di esaminarne alcune , con serenità.

Salta all’occhio la diversa scelta di base : là un tentativo di attualizzare la storia , qua una serena e semplice accettazione del plot narrativo che rispecchia un gusto molto datato .

Siamo alla fine dell’Ottocento , Arrigo Boito scrive , compone  ; è un eclettico protagonista del gusto del suo tempo e i suoi testi lo rispecchiano.

Amilcare Ponchielli ha sentito molta grand-opera , è influenzato da tanta musica che scorre attorno a lui ma non è un genio.

Riuscirà col suo massimo impegno a creare un’operona di successo, questa Gioconda , cantatrice di strada che diventerà il cavallo di battaglia di grandi dive fino alla sublime Maria.

Poi calò il silenzio  e oggi dobbiamo riascoltare l’opera con lo spirito di un recupero storico.

La strada di Salisburgo era sbagliata , questa di Napoli è onesta e quasi didascalica .

Ci potrebbe essere una terza via ? Occorrerebbe molta cultura e forse un guizzo di genio in più ma nell’insieme ci possiamo accontentare.

Scena semplice , di giusto telo dipinto , costumi bellissimi ed eleganti ; una pacchia per cantanti che se ne sentono gratificati , luci ed effetti quanto basta , fumo , fuoco e fiamme e siamo a posto.

Intelligente anche l’uso delle maschere della commedie dell’arte e felicemente storici anche i costumi del coro.

A Salisburgo una grande bacchetta e una grande orchestra, a Napoli tutto meno eclatante ma onesto e pulito , lo stesso si può dire per il coro ed i balletti.

Il discorso del cast è un po’ più complesso : grandissimi nomi , quasi tutti gli stessi, forse una chance di più a Napoli , ahimè tutti un po’ provati dal caldo improvviso e dalla fatica , nessuno è al massimo delle proprie possibilità.

Ma il divismo ha i sui perché e per i fans della diva e dei divi il successo è assicurato.

Passato il raffreddore è probabile che tutti brillino ancora della luce che ha illuminato le loro strepitose carriere.

Ci possiamo domandare se vale la pena questo recupero che sono certa provocherà altre riprese  ; mi piacerebbe che provassero l’impresa dei giovani cantanti ; in questo senso mi è sembrata positiva l’esibizione del giovane basso dello spettacolo napoletano ; i grandi nomi che abbiamo amato e che amiamo ancora ascoltare lascino questo titolo a imprese più confacenti al loro attuale momento delle rispettive carriere.

Ci potranno dare ancora molto , ne sono convinta.

LUBO

Si nascondono nelle pieghe della Storia eventi terribili e assurdi che qualche volta sembrano addirittura impossibili da immaginare . 

E’ quello che è successo nella vicinissima e civile Svizzera nel secolo scorso , quando migliaia di bambini furono sottratti alle loro famiglie per un perverso senso di civiltà e per rieducarli secondo i modelli di quella che pareva essere la cultura vincente –

I bambini delle famiglie zingare di etnia jenisch, I cosiddetti zingari bianchi, furono vittime di questa tragica vicenda e ci ha pensato Giorgio Diritti , un cineasta straordinario , il cui cinema civile seguo ormai con ammirazione da molti anni a raccontare la vicenda.

Il film è intitolato Lubo e narra una storia vera , avvenuta lontano dal clamore dell’Olocausto , ma che ne ha a tratti la stessa crudele assurdità.

Il cinema di Diritti , lo scoprii anni fa attraverso il suo bellissimo “ Il vento fa il suo giro “ nel quale si raccontava il razzismo segreto e minore di cui è vittima una famiglia francese che tenta un inserimento in un territorio piemontese in cui si parla ancora occitano , poi ho visto il suo straordinario “L’uomo che verrà” che apre uno spiraglio di speranza raccontando un eccidio feroce sull’Appennino emiliano.

Altri film , altro impegno : questo Ludo , un artista di strada che vede la sua famiglia disperdersi nelle assurdità di regole feroci è una storia vera ed è raccontata con il solito rigore e la solita pulizia formale alla quale ci ha abituati lo straordinario uomo di cinema che vive appartato dal clamore dello showbusinnes e ci regala film di grande contenuto storico e sociale.

Non è un film perfetto , ispirato in parte ad un romanzo intitolato Il seminatore , ha qualche lungaggine che lo appesantisce , ma i suoi minuti finali meritato un applauso a scena aperta , presentato al festival di Venezia è adesso presente su una piattaforma.

Interpretato da un grandissimo attore tedesco , cui basterebbe la voce per rendere la rudezza e la realtà del suo personaggio segnalo la visione a tutti coloro che vogliono sapere di più su quello che nel secolo scorso è successo anche in paesi civili e spesso considerati solo come rifugio per emigrati politici e per la forza del danaro delle proprie  banche.