Un capolavoro indimenticabile

 

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Era bello Billy Budd , gabbiere di parrocchetto, solare e buono , felice della sua vita di trovatello che “amava cantare con gli uccelli”.

Ma aveva un difetto , quando si emozionava balbettava di brutto e non solo , con animo candido aveva salutato con slancio la nave da cui era stato prelevato : vi saluto Diritti dell’uomo!

Frase pericolosa , nella Marina di Sua Maestà nel 1797 , quando venti di rivoluzione soffiavano dalla odiata e nemica Francia.

Parte da qui la storia terribile e tragica raccontata nello stupendo ultimo racconto di Hermann Melville , poi divenuta un capolavoro musicale attraverso la musica di Benjamin Britten con la pregievole e importante collaborazione al libretto di Edward  M.Foster.

 

L’opera di Roma , guidata dal raffinato direttore musicale Alessio Vlad , l’ha messa in scena in questo scorcio di stagione facendone , a mio avviso l’evento più bello dell’anno e non solo per l’Opera di Roma.

 

Un universo virile ,la nave da guerra della Marina britannica con l’incubo della “floating republic” e la parola sussurrata dagli ufficiali sottovoce  “mutiny”.

Il capitano Vere è un bravo ufficiale , un uomo colto che ama ragionare di greci e romani , che vive dignitosamente il suo ruolo , amato quanto basta dalla ciurma , in gran parte arruolata forzatamente dati i tempi storici difficili.

Un “capitano d’armi “ Claggart ,anima livida e perduta che incrocia l’innocenza di Billy e così si compirà il tragico destino di entrambi.

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La messa in scena preziosa: si sente l’odore del cordame ed è fatta di sartie , drizze e  scotte issate in una luce diffusa che esalta i corpi seminudi dei marinai come   la nebbia che cala sull’inseguimento della nave francese.  Tutto è raccontato dalla musica straordinaria di Britten nella perfetta esecuzione di James Conlon.

Imperdibile spettacolo , ed è particolarmente pregievole l’idea che la regia sia di una donna : Deborah Warner che è riuscita con una rara sensibilità molto anglosassone a raccontare questa terribile storia con una cura preziosa ad ogni particolare della suggestiva rappresentazione.

Mirabile in modo particolare la scena in sottocoperta con le amache dondolandi che accolgono i corpi stanchi dei marinai addormentati.

Anche le luci sono perfette  e l’ascesa al pennone di maestra del povero Billy ci lascia nel cuore il gesto di pietà che il povero trovatello riesce a donare all’incapace capitano Vere .

 

La compagnia di canto perfetta :a cominciare dal Billy Budd di Phillip Addis , che ha sostituito perfettamente il  più titolato Jaques Imbrailo , al capitano Vere di Toby Spence ( nel ruolo creato da Britten per Peter Pears) ,a John Releya nell’ingrato ruolo di Claggart  ,sono tutti bravissimi .

Da citare anche il Novizio di  Keith Jameson e il Donald di Jonathan  Michie.

Ma sono bravissimi tutti , anche i ragazzini di coperta !

Un grandissimo elogio per i cori stupendi , così importanti per l’atmosfera della nave , magistralmente preparati da Roberto Gabbiani.

Forse , se proprio devo cercare il pelo nell’uovo, mi sono un po’  mancati i costumi da “Master and Commander “, oltretutto necessari per i precisi riferimenti storici e il fatto che pur bravissimo e scattante il protagonista non sia biondo: lo sventurato gabbiere di parrocchetto , io l’avevo sempre immaginato così!

 

 

 

 

 

 

 

Aimez vous Mahler?

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Sono arrivata ad amarlo pienamente , incondizionatamente attraverso un lento cammino di conoscenza e probabilmente anche di maturazione personale.

All’Accademia di Santa Cecialia sir Tony Pappano ci ha regalato una esecuzione vibrante , preziosa e fragile della Nona Sinfonia.

Siamo nell’ultimo Mahler , il musicista provato dalla morte della figlioletta , dalla paura della perdita di Alma , dalla consapevolezza che il suo tempo sta per finire.

Tutto questo lo infonde nella sua musica disperata , composta nella piccola capanna del bosco di Dobbiaco , tra le montagne tanto amate.

Con tutto l’amore per la terra , per la vita che se ne va , alternando lo strazio dell’Abschied in un Lebewohl che chiude inesorabilmente , implacabilmente ogni speranza.

Ma riesce ad essere sempre amaramente ironico e compone una strana sinfonia che apre e chiude nell’angoscia e nel silenzio ed insieme ci racconta ancora la verità della vita umana con i due tempi intermedi pervasi di ironica conoscenza della vita banale che lo circonda.

Non si può raccontare il mare di musica mahleriana se non si conosce lo strazio di questa vita : ebreo tra i cristiani , boemo tra i tedeschi , straniero fra tutti ,  come ha sempre detto di sé stesso.

In questa sua quasi estrema sinfonia troviamo tracce di Das Lied von der Erde, si ritrova “Ich bin der welt abhanden gekommen” , in ogni nota l’autore ci parla della sua vita , della sua fragilità.

E’ il  suo addio di quella intraducibile Sehnsucht che è insieme ricerca di una patria mai trovata , una Heimat dell’anima che ci coinvolge tutti.

Grazie a Pappano questa mirabile pagina è entrata ancora una volta con violenza nel mio cuore , con una grande orchestra di cui essere orgogliosi , una volta tanto , anche a casa nostra.

Roma brucia

 

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Anche chi non conosce molto bene Roma sa che Via del Tritone è proprio nel centro della città e vederci la foto di un pulmann di linea in fiamme , tipo effetti speciali da film apocalittico ,fa effettivamente impressione.

Siamo ahimè abituati allle immagini terribili di attentati terroristici , soprattutto in paesi tanto lontani da noi e anche in Europa purtroppo assistiamo a momenti di terrore , di stragi , di follia collettiva.

Ma un’immagine così emblematica e ad un tempo così simbolica come un bus di linea che brucia nel cuore della città non lo avevamo ancora visto .

Riflettiamo bene ; non è successo per terrorismo , per follia individuale , no è successo per incuria , per abbandono della gestione ordinata di una grande cittè europea che anche se sembra essere sempre più una città del Terzo mondo è pur sempre la capitale di un grande paese europeo.

 

A Roma qualche giorno fa , ci ero andata per un concerto , mi avevano colpito le strade sporche con la spazzatura abbandonata tra le macchine , a un passso da San Pietro per giunta.

Ho pensato cercando di sdrammatizzare che veramente è molto difficile tenere pulita una città così grande e caotica , così piena di turisti , cosi male amministrata da decenni .

Ma l’immagine del bus che brucia in pieno centro supera ogni apocalittica fantasia letteraria.

Roma brucia , letteralmente.

In fondo niente di nuovo , Nerone suonava la lira mentre Roma bruciava , praticamente rinnoviamo la tradizione storica .

Intanto siamo tranquillamente senza un qualsivoglia governo decente , l’Europa ci guarda con apprensione nell’indifferenza degli italiani che pensano comunque alle vacanze e sperano vivamente non siano rovinate dall’ipotesi di un inutile ritorno al voto.

Stiamo ballando sull’orlo di un abisso o forse sarebbe meglio dire siamo come quei signori che ballavano al suono dell’orchestrina mentre il Titanic affondava.

 

Addio a Olmi

 

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Ormai mi sto abituando . Quelli della mia generazione vedono piano piano sparire tutti i grandi registi , gli attori amati .

Qualche volta faccio prima a domandarmi se qualcuno è ancora vivo…..

E’ di oggi la notizia della morte di Ermanno Olmi , e questa mi ha fatto particolarmente male perché Olmi lo avevo amato già tantissimi anni fa , quando vidi un film sulla storia di un modesto impiegato nella Milano del boom economico.

il film si intitolava Il posto , in un rigoroso bianco e nero e lo amai come si amano le scoperte personali che in  qualche modo diventano anche parte della propria vita.

Poi ci fu l’Albero degli zoccoli , un film di una poesia incredibile , rigorosamente ( e coraggiosamente) recitato in dialetto , con i sottotitoli in italiano.

Non mi fu difficile entrare nella storia , era universale il racconto della vita di una famiglia di contadini ambientato nella campagna bergamasca .

Poi , per me il suo film più bello : Il mestiere delle armi : un film in costume che raccontava di un Rinascimento duro , povero e senza retorica.

C’era sempre , al fondo di ogni suo film , una profonda carità cristiana , un senso di comunione con i fratelli che mi lasciava ogni volta piena di tanti pensieri e interrogativi.

Regista di una religiosità pudica , di un raccontare per sottrazione , Olmi è stato un grande narratore di una semplicità purissima.

 

Un cinema di valori , come quello di un altro che ci ha lasciato solo pochi giorni fa , la metà di un sodalizio incredibile : Vittorio Taviani . Resta il fratello Paolo , spero che ci regali ancora qualche momento di quel buon cinema dei valori universali , che una volta facevano l’orgoglio e il vanto del miglior cinema italiano.

 

Solo pochi giorni fa raccontavo nel mio blog la tristezza dell’attuale cinema cialtrone , purtroppo sembra che nel nostro paese, perso emblematicamente come nelle spazzature romane, non ci sia più spazio per chi invece attraverso le immagini ci ha insegnato l’amore e il valore della vita.

 

 

Cala la tela

 

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Finite le repliche viennesi dell’Andrea Chénier mi sento autorizzata a condividere l’opinione riportata da Alberto Mattioli nel suo primo sacro libro circa la opinabile validità del polpettone storico.

Purtroppo la messa in scena viennese ,vecchia e polverosa , mette in evidenza tutte le magagne e la retorica del libretto .Certo non aiuta la scenografia su cui troneggiano un carretto rovesciato ,valido per tutti gli usi , qualche decina di sedie “d’epoca” riciclabili all’occasione e pure grossi candelabri recuperati  da non so quanti Te deum della Tosca .

I volti dei coristi e dei figuranti , non esaltati dalla ripresa televisiva , anche loro ,hanno espressioni valide per ogni occasione , : dall’Aida al Nabucco , indifferentemente .

Questo avviene anche a gloria del prestigioso teatro che ogni sera mette in scena un’opera diversa e quindi si fa anche di necessità virtù , ma le damine con i vestiti di satin rosa e il cerchio di bambù in bella vista sembrano uscite dalle mascherine povere dei Carnevali d’un tempo.

Anche la povera Harteros non sa proprio dove mettersi , nella scena del tribunale sta impalata di lato e non riesce a trasmettere neanche un’ombra di pathos , (come siamo lontani dal bellissimo Chénier di Monaco! ) e ne risente anche “ la mamma morta” che diventa uno stupendo esercizio di stile , ma che non mi ha trasmesso il brivido che qualche volta ho provato anche cantato dalla stessa fedele compagna di Kaufmann.

L’unico che ci crede e che ci fa credere alla storia è il solito mostro incredibile , lui è in parte sempre ed ovunque . Riempie la scena anche con la giacca verde troppo larga e i pantaloni oversize ma basta un accenno della mano , una carezza , uno sguardo in più a Rocher e abbiamo il poeta maledetto che seguitiamo ad amare in tutte le salse.

Riesce persino a beccare l’”Ora soave” , quasi…

Adesso però riponiamolo questo Chénier e torniamo a cose serie , dopo tutto ci aspetta una gran bella estate!

 

 

Se la va ,la va

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Modesta serata televisiva casalinga, mi rifugio sul benemerito canale satellitare musicale e poi , non ho ancora sonno , guardo un film italiano. Sulla carta una commedia , appunto  , all’italiana . L’idea di base non è male , però ci sono troppo gags sgangherate e nonostante l’ottima prestazione di un paio  di attori grandissimi della nostra scena italiana che sicuramente meriterebbero di più ,il film lo vedo fino alla prevedibilissima fine.

Ma proprio verso la fine , quando si dovrebbe inquadrare l’Accademia di Svezia , laddove si consegnano i Nobel , ho un attimo di soprassalto:
l’inquadratura ritrae inequivocabilmente il Bayerischestaadsoper , addirittura con le decorazioni in bianco e nero che ne decoravano le colonne l’estate scorsa.

Ovviamente non è un monumento famosissimo in Italia , anche se recentemente faceva anche da sfondo ad una pubblicità sui luoghi celebrati del pianeta per conto di una altrettanto nota compagnia aerea.

Mi sono chiesta per quale sciatteria non hanno neppure cercato di trovare un’inquadratura originale dell’Accademia svedese , forse bastava andare su Google!

Ma prendo questo modesto segnale di banale pressappochismo per segnalare , ancora una volta , il modesto livello della nostra produzione cinematografica.

Una volta il nostro cinema era apprezzato nel mondo , adesso aldifuori di alcune eccellenze , siamo ridotti a fare i film tra il tinello e la cucina , se ci fate caso le location delle serie televisive qualche volta sono anche più ricche e spesso anche più curate .

 

Ma il segnale di per sé non sarebbe così  importante da farne una riflessione approfondita se non fosse che questo è il livello italiano. La produzione avrà pensato “se la va la va” …e così ci ritroviamo un cinema che non esce , se non in rari casi dal circuito nazionale .

Per lo stesso pressapochismo ci ritroviamo nomine senza decenti curricula in Enti importanti come un grande teatro lirico ,se la va la va, e come diceva il professor Pazzaglia in quella straordinaria trasmissione di Renzo Arbore  che si chiamava Quelli della notte : è il livello che è basso .

E mentre lo diceva indicava con la mano il tappeto . Ebbene , ci siamo arrivati al tappeto , tristemente possiamo solo constatarlo.

 

 

Concerto a Roma

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Roma -Auditorium Parco della Musica – concerto diretto da Ivor Bolton in sostituzione di Myung  Whun Chung  infortunato . Dopo la  sinfonia n.39 di Mozart il clou del programma : lo Stabat Mater di Rossini in occasione dei 150 anni  dalla morte del compositore.

Dopo un paio di mesi di digiuno musicale mi sento appagata dalla  musica dal vivo.

In ottima compagnia , incontro anche amici vecchi e nuovi  e che la festa abbia inizio .

Questa preziosa composizione è  interessante anche perché rompe il silenzio di Rossini , chiuso nella sua nevrosi che nasconde la grande crisi personale  dopo l‘ultimo suo capolavoro , il Guglielmo Tell.

Nel pubblico silenzio però ,  su sollecitazione di un amico banchiere spagnolo e con la promessa che questa musica non sarebbe uscita dalla sfera privata compone questo Stabat con la promessa di farne un uso strettamente privato.

In effetti il  grande pesarese  questo silenzio se lo era  imposto nel suo rifiuto di riconoscere l‘evoluzione musicale del Romanticismo .

in realtà  sappiamo che alla fine ,per motivi particolari in realtà  il compositore fu   costretto a rimettere le mani alla  sua  composizione che non voleva fosse eseguita monca della sua creatività.

Lo Stabat Mater, opera forse fuori tempo , resta comunque ( insiema alla Petite Messe)  , il regalo di un genio che forse si considerava superato , ma che con la sua grande arte ci regala ancora oggi una pagina mirabile .

Ripreso dalla sequenza dei versi di Jacopone da Todi la partitura si articola in nove parti che partendo da compianto della Vergine attraverso l‘invocazione del Figlio si arriva alla mirabile chiusa corale che chiude circolarmente la stupenda pagina.

Mentre ascolto mi viene di pensare una cosa particolare  : le quattro voci soliste sono tutte italiane , caso raro e sono tutti e quattro giovani , il che mi da un motivo di speranza  per il futuro della nostra musica.

Due addirittura li conosco da tempo , cioè da quando ad Ancona si faceva ancora della buona musica con giovani cantanti  , come usa dire , di belle promesse.

La compagine è composta da Eleonora Buratto , Veronica Simeoni  , Paolo Fanale e Roberto Tagliavini e si esibiscono coadiuvati dal grande coro mirabilmente preparato da Ciro Visco.

Devo dire che il reparto femminile è decisamente prevalente : Eleonora Buratto brilla di una voce aperta e sicura che sale agilmente , la sua maturazione è percepibile , una grande voce italiana ormai.

Veronica Someoni mi si rivela , aldilà dei suoi recenti successi , una voce interessante sul versante interpretativo , mi piacerebbe sentirla in un repertorio liederistico , per me potrebbe essere una sua strada interessante .

Paolo Fanale , alle prese con l‘aria più nota e impervia dell‘intera composizione parte sicuro e brillante , forse però tutti abbiamo nelle orecchie tante interpretazioni preziose , credo debba seguitare a studiare , la sua qualità vocale lo merita.

Chiude il basso Roberto Tagliavini , corretto e preciso ,non ha dalla sua una pagina che ne valorizzi appieno la vocalità e forse è il più penalizzato dagli scolastici inserimenti corali.

Chiude la grande corale a cappella che riprende l‘incipit e ci  procura un vero brivido finale .

 il Cigno di Pesaro è stato onorevolmente omaggiato anche dalla nostra più prestigiosa compagine orchestrale.

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Kaufmann forever

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foto del magico , inossidabile Angelo Capodilupo

Chénier con le braghe e gli stivali di Cavaradossi.

Fa molto Finis Austrie questa rappresentazione viennese dello Chénier:

scene vetuste , abiti recuperati qua e là , parrucche polverose.

Ovviamente le due superstar Hartesos e Kaufmann si divertono , il pubblico delira , specialmente le spettatrici, il teatro sold-out, l’operazione perfettamente riuscita.

Resta da vedere se questa tappa viennese del must di Umberto Giordano , per molti anni lontano dalle scene, resterà memorabile negli annali dello Staatsoper viennese.

Personalmente ho smesso da tempo di rincorrere il cosiddetto “repertorio” , aspetto il grande cantante a più grandi imprese o anche riprese , ciò non toglie che il 29 mi metterò davanti allo schermo se non altro per godermi  “passa la vita mia come una bianca vela “, aria che mi da sempre un’emozione lontana , come un ricordo d’infanzia.

Perché Andrea Chénier è un’opera azzeccata , certo Giordano non è Puccini ,taglia con l’accetta le emozioni , ricorda molto la Rivoluzione francese dei clichés tipo “ il popolo ha fame , dategli le brioches” e i romanzi della Primula Rossa che ormai non legge più nessuno , ma …ma se c’è un tenore bello e impossibile la storia funziona eccome.

Alla povera soprano , schiacciata dall’impossibile paragone callasianodella “mamma morta” restano le briciole , anche se sei la stangona e compagna fedele Harteros .

Poi c’è sempre la scommessa sull’attacco dell”ora soave” ..riuscirà il nostro eroe a prendere quel diabolico “là” senza rete …?

 

 

Scuola e teatro

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Ho vissuto gran parte della mia vita frequentando il mondo della scuola : ho insegnato , sono stata rappresentante dei genitori nelle scuole dei miei figli e soprattutto ci ho lavorato  come operatore teatrale fino a che una preside molto ambiziosa ha pensato bene di levare il teatro classico antico da un liceo classico per sostituirlo col musicale potenziando un bel progetto fallimentare come il liceo musicale dal quale non è uscito neppure un  ragazzo acculturato davvero musicalmente .

Ma ormai è tutta acqua passata .

Di questi giorni è la polemica suscitata da un ‘Amaca di Michele Serra , che condivido , nella quale l’autore ha avuto il torto di dire quello che sanno tutti e cioè che è molto più difficile insegnare in una scuole tecnica o professionale che in un liceo  e ..orrore orrore gli sono saltati tutti addosso con accuse di classismo .

Serra ci ha pensato da solo a chiarire il suo pensiero , ma stamani un post di una persona intelligente ha aperto anche un’altra prospettiva di intervento .

 

Riporto testualmente il brano finale :

io sono un’insegnante di teatro (in Italia, sì, pensa che pazza!) e non posso far a meno di notare quanto poco credibile sia la sua performance: ( si riferisce al video incriminato del ragazzo che minaccia il professore) I ragazzi che si comportano così hanno un disagio e delle energie da incanalare: qualcuno spieghi loro che il pubblico dal vivo di un teatro darà probabilmente meno fama di questa video-perfomance ma è sicuramente più appagante sotto tantissimi punti di vista. POTENZIATE IL TEATRO NELLE SCUOLE! PER DAVVERO! Diamo a questi ragazzi quello di cui hanno davvero bisogno: essere visti, sicuramente vivono in qualche situazione di invisibilità che non conosciamo.

 

Certo che è una osservazione marginale oltre che provocatoria , se non fosse che per trent’anni ho visto e fatto tanto teatro scolastico  (di ogni ordine e grado , come si dice nel linguaggio ministeriale ) e so quanto faccia bene esternare disagi e limiti nel momento in cui si chiede ai giovani di imparare alcune banali regole comportamentali : stare fermi , non gesticolare inutilmente , esercitare la memoria .

Aggiungo anche che forse un corso di autostima teatrale farebbe bene pure ai docenti , una volta insegnare era una missione , oggi è un lavoro di ripiego , oltretutto sottopagato e ovviamente  di conseguenza sottostimato.

 

Non tiro in ballo il rapporto scuola- famiglia :ormai è una battaglia persa , inutile sperare nel recupero dei valori quando questi valori si sono persi in decenni di sonno televisivo, invece il ruolo di  un potenziamento dello spazio teatrale nella scuola potrebbe essere considerato non del tutto marginale .

Vogliamo aprire un dibattito ?

 

 

 

 

 

 

 

Don Pasquale alla Scala

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Ho aspettato un giorno prima di commentare il Don Pasquale e soprattutto prima di riflettere sui commenti barcacciani durante la visione all tv in diretta.

Personalmente ho trovato questa edizione tristissima e pretenziosa , tutto quel nero che contrasta con la solarità donizzettiana , un grande spreco di mezzi inutili e trovatine molto ripetitive come lo scorrimento dei tapis-roulant.

Soprattutto ho trovato molto banale l’impianto riferito al cinema italiano “anni cinquanta” , non mi è sembrato né necessario , né utile ai fini della messinscena.

Diverso il discorso musicale: Rosa Feola una Norina perfetta e anche il dottor Malatesta di Mattia Olivieri , anche se musicalmente un po’ leggero per il ruolo resta molto valido scenicamente ( e oggi questo conta e non poco!)

Ambrogio Maestri per me non canta più , è una presenza ingombrante  in tutti i sensi , ha toccato il massimo nel Falstaff di Michieletto e da lì non si è mosso più.

L’Elvino di René Barbera , modesto vocalmente e impresentabile fisicamente non me lo spiego proprio , siamo alla Scala , perbacco!

Musicalmente invece la direzione di Chailly , anche se un po’ debordante nel suono mantiene l’alto livello che si richiede ad un allestimento scaligero.

Coro sempre buono , anche se lo zum zum di Spirto gentil è pericolosamente accostabile all’incomparabile performance di Amici miei!

Nell’insieme mi sono accorta dai commenti  per lo più molto conservatori che lo spettacolo è piaciuto ai melomani tradizionalisti che lo seguivano in diretta, poche le notazioni negative e quasi sempre riferite alle voci di una volta.

Invece a me tutto ispirava tristezza , aria di provincialismo , “voglio e non posso” .

Dalla Scala mi aspetto magari una provocazione , magari uno sgambetto , non queste trovatine da teatro provinciale.

Velo pietoso poi sull’intervista al Mereghetti (!) , inviterei qualche volta a mettere il naso fuori Milano per vedere come si può intervenire essendo culturalmente informati , basta guardare una diretta Arte….

Il regista Davide Livermore ha poche idee ma sicure: massimamente mette una sigaretta in mano ai cantanti e già gli pare di fare una cosa “moderna”!

Penso gli farebbe bene una gita fuori porta , magari a Zurigo  o Berlino ..per non dire di Monaco …

Non ho ben capito se a Pereira mancano i soldi o la voglia di un tempo , pensare che avevo festeggiato speranzosa il suo arrivo a Milano!

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Una Tosca di Carsen

 

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In questa città di mezzo Adriatico la primavera stenta ad arrivare . Davanti a casa mia il mare sempre un po’ verde , il vento da nord mi ricorda che lassù c’è la porta del Quarnaro , la porta della bora.

Tutta la vetegazione è in ritardo , l’inverno veramente pazzo ci ha portato anche il Burian , la neve a febbraio , il vento a marzo e ora addirittura anche la nebbia ad aprile.

Tutto questo per dire che le stagioni sicuramente hanno anche un effetto notevole sulla psiche , non so se sia l’età o il sole che ancora mi manca , ma certamente ho deciso di essere autorizzata a dichiararmi depressa.

La depressione però ha una radice più frivola : non ho fatto più i miei soliti viaggi-premio per andare a teatro da febbraio.

Però ieri sera mi è dispiaciuto non essere ad Amburgo e non per l’ennesima Tosca della mia vita ma perché , insieme alla coppia favolosa Kaufmann Harteros c’era un bravo baritono italiano : Franco Vassallo , persona oltretutto squisita e gentile e un direttore d’orchestra , anche lui italiano , che porta nel mondo la grande tradizione dei direttori del nostro paese. Piergiorgio Morandi.

Sarei andata per loro e anche per la favolosa , per me , messinscena di Carsen .

Una Tosca diversa , diversa perché Carsen ha interpretato e enfatizzato il ruolo della Diva e quel finale doppio , verso la platea immaginaria è un vero bellisssimo colpo di teatro .

Ripensandoci però credo che quel bellissimo giovane Jonas ai tempi di Zurigo  quando all’inizio del terzo atto si muoveva per terra ricordando i”dolci baci e le languide carezze” ormai sia  diventato un uomo grande , ormai per lui sono giusti i grandi ruoli wagneriani che oramai lo aspettano.

Non ci sono andata , Amburgo è tanto lontana , mi servono due cambi d’aereo e se non sono andata a NewYork per stanchezza e pigrizia a maggior ragione non vedo perché avrei dovuto trovare la voglia di andare ad Amburgo!

Però ripensandoci mi dispiace , soprattutto per i due artisti italiani che sicuramente hanno onorato la nostra tradizione e la nostra professionalità , sicuramente molto più apprezzata nelle fredde terre del nord che non a casa nostra.

Teatrini

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Periodo di stop operistico ma non per questo non mancano occasioni teatrali .

Se qualcuno si è perso una performance del Mimo major in diretta l’ha potuta vedere in tutte le salse sui social .

Credo che raramente si abbiano delle prestazioni così sfacciatamente comiche come durante le pseudo consultazioni per la formazione di un governo in questo sgarruppato paese .

Ormai siamo al ventriloquo, credo che solo la sicumera di chi ha ancora tanti soldi possa concerdere ad un signore neanche tanto specchiato di prodursi in uno spettacolo così sfacciatamente grottesco come quello che abbiamo visto tutti. Eravamo abituati alle faccie severe e compunte , che magari non dicevano niente , di signori in grisaglia i cui messaggi in politichese subliminale riguardavano solo gli addetti ai lavori .

Adesso invece siamo alla comica finale , onore al merito del burattinaio incredibile . Per un attimo ho provato una autentica ammirazione , difficilmente sarà battutto il record di comunicazione spontanea ed efficace come quella vista recentemente .

Contemporaneamente però facevano una certa pena i comprimari involontari .

Che figura , loro sì , da comparse ininfluenti.

 

Secondo grande momento teatrale la performance di Mark Zuckerberg davanti al Congresso americano.

Il ragazzo vincente , il genio che si è inventato Facebook e per il quale avrò sempre eterna riconoscenza vestito come un uomo grande , lui che della maglietta e dell’understatement ha fatto una forma di vita costretto a chiedere delle scuse formali, mentre sicuramente nella testa gli passavano tutte altre idee sulla sottostima verso i  i severi censori , i quali ignari del suo talento e delle sue intuizioni che hanno rivoluzionato il mondo intero, sulle domande che banalmente gli ponevano.

Lui rispondeva formalmente , magari anche con qualche attimo di incertezza , in fondo è umano anche lui, ma gli si leggeva negli occhi la vittoria finale.Potrà perdere qualche miliardo di dollari restando comunque tra gli uomini più ricchi d’America , ma a uno che  quando a aveva venticinque anni hanno già dedicato un film biografico ( The social Network; peraltro neanche brutto ),  uno così in attesa solo del second “biophic “ dobbiamo solo guardare come ad un grande rivoluzionario del secolo , un Like grande come una casa non glielo può negare nessuno.