nel ricordo di Zedda

 

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Seconda e ultima opera della piccolissima stagione lirica di Ancona.

Siamo di nuovo a Siviglia ma tanto tempo prima…

Un capolavoro assoluto , forse troppo usurato dal troppo essere stato visto da generazioni e generazioni.

Dal testo rivoluzionario di Beaumarchais sono nati il barbiere delle Nozze di Figaro di Mozart , il Barbiere di Paisiello e questo rossiniano che in origine si chiamava “Almaviva,ovvero dell’inutil precauzione “proprio per non confonderlo col già celebrato omonimo italiano.

Con intelligenza e fantasia il direttore De Vivo ha pensato ad una compagine giovane, a ben pensare una chiave positiva per la messa in scena.

I giovani cantanti vengono tutti dall’ Accademia di canto rosssiniana di Pesaro e sono già di per sé una garanzia di qualità e omogeneità di canto:

tutto il progetto è un omaggio ad Alberto Zedda , la cui scomparsa recente viene in questo modo ricordata dal maggiore teatro della regione.

Inoltre , e non è evento da poco , è il primo Rossini al Teatro delle Muse dalla sua riapertura, anche questo segno intelligente e pieno di significato per un teatro che prima o poi dovrà riprendere il suo ruolo trainante nelle Marche.

Anche il regista è marchigiano e ha cominciato a lavorare proprio da queste parti, si chiama Matteo Mazzoni e mi racconta di lavorare attualmente spesso fuori dall’Italia ,in Romania lo amano molto e ha lavorato pure a Vienna, il solito caso di “nemo profeta”.

Vengo alla compagnia di canto : mi ha molto impressionato la voce pura e possente di Xabier Anduaga, un giovanissimo tenore belcantista, quando sono andata da lui per complimentarmi dopo lo spettacolo ho saputo che in futuro ha già un contratto con l’Opera Garnier , questa voce andrà lontano

 

Xabier-Anduaga-Il-conte-di-Almaviva-IL-BARBIERE-DI-SIVIGLIAIMG_7781K9-650x433Ma sono tutti bravissimi : la Rosina di Martiniana Antoine , il Don Bartolo di Pablo Ruiz, Don Basilio Bourzthan Anderzhanov nonchè ovviamente il Figaro di GurgenBeveyan, cast molto internazionale con un’unica italiana Giorgia Paci nel ruolo di Berta..

Anche il direttore d’orchesta, giovane con militanza rossiniana è spagnolo-pesarese: Josè Miguel Pérez-Serra ,le allegre scene e costumi di Lucio Diana.

Una festa per gli occhi e per le orecchie, un bell’omaggio a Zedda , per un barbiere.-..di qualità….

 

 

Carlos in gabbia,

 

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L’avevo già capito dalle sfocate immagini rubate da Twitter e soprattutto dalle mezze frasi ironiche di Jk quando aveva detto che ci sono registi il cui obbiettivo è distruggere il mito Kaufmann.

Devo dire che questo Don Carlos alla francese è un capolavoro di psicanalisi , non per la messiscena piuttosto per quello che è passato nella testa del regista .

Riusciranno i nostri eroi Verdi e Jonas a combattere tanta stupidaggine ?

Verdi ce la fa , la sua musica è talmente bella e sublime da reggere gli stravolgimenti gratuiti del suo capolavoro, in quanto a Kaufmann ha tanto carisma da riuscire con pochi sublimi accenni , anche quando è praticamente invisibile nella prigione , da rendere palpabili le sue controscene.

La versione francese , più lunga e più complessa , ha qualche momento di troppo ma aggiunge anche pagine bellissime , specie nell’atto più politico, quello nello studio del re.

Il problema vero è che se per caso un ragazzo arrivasse , magari anche col libretto in mano a vedere questo Don Carlos penso che ci capirebbe ben poco.

Forse sulla carta è affascinante cominciare dalla fine , tutto un ricordo nella mente di un uomo fragile ( e Kaufmann ci va a nozze!) ma si perde la meraviglia dei tre duetti d’amore , si perde lo strazio di Carlo per la morte di Posa e si aggiungono scene volgari per la splendida Eboli di Elina Garancia , si fa di Filippo secondo un ubriacone e per il Posa di Tezier ,vocalmente perfetto, una sorta di quell’Jago che l’estate scorsa non ha potuto cantare.

Serviva tutto questo “ pour épater les bourgois” ?

Evidentemente si anche se c’era pure bisogno delle didascalie per spiegarci che si era a Fontenebleau, al chiostro di San Giusto e via cantando ..

Ho avuto qualche momento di incertezza a capire a che punto eravamo quando è apparsa una sala d’armi poi mi ha aiutato la musica : era l’aria del velo , con tutte le spadaccine in bianco e la principessa Eboli , lesbicheggiante in nero.

Non parliamo dell’Autodafé , che non c’è proprio : un solo tristissimo prigioniero e via la …« voce dal cielo », nell’insieme siamo piuttosto dalle parti di un paese satellite comunista degli anni cinquanta, il che in ultima analisi ben poco spiegherebbe il potere della chiesa , ma questo il regista chiaramente non se lo è domandato .

Nell’insieme tutto diventa un conflitto molto borghese , con arredi che ne accentuano la meschina modestia.

Il momento più bello resta comunque il Lacrimosa cantato da Jonas tutto in mezzavoce sul corpo di Posa , il canapé dunque serve a qualcosa , nel caso coperto da una vistosissima bandiera spagnola,

 

Uno spettacolo tutto sommato bruttino , peccato sprecare un cast così lussuoso e, con tutto il rispetto per i bravi cantanti del secondo cast credo che questo Don Carlos fililogico non avrà vita tanto lunga,

Comunque sarà interessante vederlo al cinema il 19, o su Arte per chi non ha il cinema a portata di mano.

 

 

 

 

Carlo a Parigi

 

 

 

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Che strano effetto straniante questi piccolissimi momenti rubati delle prove del Don Carlos parigino!

Mi sembrano cantanti doppiati in un ambiente assurdo pseudo moderno e infatti Kaufmann in una bella e lunga intervista a Salisburgo nel 2013 aveva saggiamente detto che non era possibile trasportare la storia in un’altra epoca: ma tutto è possibile oggi secondo i registi ed ecco questa ennesima rivisitazione.

Ci sono già commenti ironici e a quanto ho capito dal raffinato e criptico discorso di Jonas nella frivola trasmissione televisiva lui ha già detto che ci sono registi intenzionati a distruggere il mito Kaufmann….e forse siamo da quelle parti.

Sarà interessante vedere chi la vince, se il regista dissacratore o il grande interprete capace di girare a proprio favore anche una messinscena dissacrante.

Perfino Jordan dice di amare di più la versione italiana e sette camicie pare le abbia sudate anche Tezier a impararsi la parte nella sua lingua materna.

Certo che l’attesa si fa spasmodica e la speranza di tutti è che gli scioperi e i virus non ci mettano lo zampino, ognuno sperando di salvaguardare la propria replica e il proprio relativo costosissimo biglietto.

 

Intanto oggi festeggiamo il compleanno del nostro amatissimo Verdi ricordandolo con il suo capolavoro politico , con o senza la S finale.

Ruggero in Sicilia

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Come faccio abitualmente non voglio arrivare troppo preparata ad ascoltare una cosa nuova, così ho fatto per il Kroll Roger che ha inaugurato la stagione dell’Accademia di Santa Cecilia.

Per la verità qualcosa ne sapevo e avevo sentito quando Sir Tony lo aveva diretto alla ROH e soprattutto avevo raccolto in un backstage a Monaco il desiderio di un famoso baritono che di quella edizione era stato protagonista:

mi piacerebbe cantarlo a Palermo, mi aveva detto.

Quando ieri sera ho cominciato a sentire le note sconvolgenti del bellissimo inno iniziale mentre sul maxischermo si vedevano i mosaici dorati della cattedrale siciliana eseguite dal mirabile coro delle voci bianche ho capito il perché di quel desiderio e ho anche immaginato l’emozione di Karol Szimanowsky quando è arrivato in Sicilia.

Difficile spiegare tutta la serie di sollecitazioni che questa opera –non opera provoca all’ascolto .

Si stratificano i pensieri e le emozioni : i tre asciuittissimi atti corrono veloci,un solo ascolto non basta.

C’è tanta cultura del Novecento in questo capolavoro e non sarò io a spiegare tutte le implicazioni culturali e i rimandi che suscita.

Per questo c’è il prezioso e ricchissimo programma di sala al quale attingeranno i cultori dei siti specializzati ma un breve “taglia e incolla”me lo concedo pure io:

Scrive Gianandrea Gavazzeni”…l’ambiente per noi italiani è carico di riferimenti..fusioni di miti ,gli ori di estremi riflessi alessandrini arditamente congiunti ai richiami gregoriani che sorgono nei canti chiesastici del primo atto….una Sicilia evocata,un panico desiderio solare e marino…

 

Mentre uno strano Dioniso che ha in sé vaghi accenni ad un sotteso cristianesimo appare nelle vesti del misterioso Pastore ripensavo a questa creatura incantevole nata dalla coscia di Zeus che veniva dalla lontana Asia portando questa sua fascinosa trama di voluttà  mi ritornavano in mente i versi di Euripide quando nelle Baccanti le Menadi chiamano il Dio dello strepito invocando questa creatura misteriosa che sconvolge e fa sì che si perdano anche i potenti.

Là Penteo, qui Ruggero che resterà solo nel bellissimo monologo che chiude l’opera.

Ruggero alter ego di Szimanowsky?

Certo che al raffinato compositore polacco quel sole , quel mare e quelle pietre suscitarono sicuramente una forma di perdizione che riuscì a tradurre nel suo capolavoro.

Tante le sollecitazioni musicali : Rossana sicuramente parente di Elektra/Ariadne e azzardo anche una lontana parentela con Isotta nel suo mirabile canto rappresenta il sogno del momento più lirico e cantabile dell’opera mentre il canto del Pastore ha in nuce nebbie lontane ,fascinazioni di un Oriente filtrato da una cultura molto impressionistica e molto mitteleuropea.

 

La raffinata forma semi-scenica ( sirTony per l’occasione ha ripreso in mano la bacchetta) ha messo in evidenza la grande qualità della pregevole compagine orchestrale e la qualità altissima dei cori diretti da Ciro Visco.

Nomino tutti i cantanti perché veramente si sono sottoposti ad una prova di alta professionalità .

Il Re Ruggero di Lukasz Golinski, il fascinoso Pastore Edgaras Montvidas, l’Arcivescovo di Marco Spotti e l’Edrisi di Kurt Rasker sono la componente maschile del cast che ha nella Rossana di Lauren Fagan e nella Diaconessa di Helena Rasker il completamento di una compagine perfetta.

 

Un discorso a parte, molto mio e probabilmente discutibile è l’apporto della regia “in presa diretta” delle immagini dei Masbedo.Mi hanno distratto , anche quel loro armeggiare alla consolle mi portava a seguirli (purtroppo li vedevo troppo bene) e non sempre a mio avviso le loro immagini servivano veramente a commentare la stupenda musica.

Comunque in definitiva una serata culturalmente memorabile , peccato non abitare a Roma , sarei ritornata a sentirlo volentieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

Kaufmann a L’Opera

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Il filo conduttore che lega i brani del nuovo CD di Jonas Kaufmann è nel titolo: l’Opera che vuol dire L’Opera di Parigi ed è una compilation.

Questo forse e il primo problema per chi si ponga all’ascolto perchè non ha l’omogeneità di un album di musiche wagneriane o verdiane e credo nasca da un’indagine di mercato della Sony che prevedeva la copertura di un settore di vendita ancora promettente.

Detto questo non voglio assolutamente dire che si tratti di un prodotto assolutamente commerciale . Si tratta pur sempre della voce del grande tenore dal bellissimo aspetto e dalla splendida voce ma…

L’elegante cofanetto con le belle foto fatte nella prestigiosa sede dell’Opera Garnier con indosso gli abiti della nuova collezione soddisfa l’attesa di un prodotto elegante e penso che si venderà bene.

Quindi operazione riuscita ?

Non direi completamente. Cerco di analizzare il perché di alcune riserve.

Comincio dai due pezzi forti che sono stati alla base del successo francese di Kaufmann : l’aria della Fleur della Carmen e Il Pouquoi me reveiller del Werther. Due momenti magici dell’opera francese ,due cavalli di battaglia di un grandissimo interprete inseriti nella magia di due opere tanto amate e soprattutto tanto”viste” nel contesto dell’intera rappresentazione e tutti sappiamo quanto Kaufmann riesca ad entrare nel personaggio.

Ebbene qui la magia manca , passano gli anni , aumenta l’esperienza ma io seguitavo “a vedere” l’interprete nei tanti spezzoni di culto che ne hanno sancito il grande successo.

Se poi si aggiunge un pericoloso falsetto alla fine della Fleur si comincia a pensare che forse il disco arriva un po’ tardi .

Sicuramente tardi per “lève toi soleil”, Romeo splendido ma dalla voce tanto scura per la vocalità richiesta.

Mentre sono vittima di uno strano meccanismo di sovrimpressione per il bellissimo duetto dalla Manon di Massenet.

Seguitavo ad ascoltare sovrapponendo le immagini del concerto della Waldbuhne con una magica Anna Netrebko in giallo.

Qui manca totalmente la grande carica erotica nella voce bella ma leggera e fredda della Yoncheva, la colpa è mia che ho visto troppo e troppo amato quel lontano concerto.

Dove invece la coppia regge è nell’altro brano “en fermand lesYeux” che nel caso ci conferma quanto la voce di Kaufmann fosse già abbastanza scura per il ruolo anche nella lontana Manon di Chicago con la grande Dessay.

Piacevole il duetto dai Pecheurs des perles dove i due amici si divertono con gioia a cantare insieme anche se la voce di Tezier è pericolosamente vicina alla voce di Kaufmann tanto che resta difficile riconoscere la differenza.

Altri brani , meno consueti per l’interprete offrono dei momenti di ascolto interessanti anche se mi manca Samson ( non ho capito il perché) e lascia perplessi l’aria scelta dalla Damnation.

Due brani in modo particolare servono a ricordarmi le occasioni perdute di vederli nell’intero contesto : dalle Contes di Hofmann e da LesTroyens ,due tradimenti del Nostro che hanno lasciato il desiderio di vederlo interprete in scena.

 

Per il resto resta la valutazione non eccelsa della direzione d’orchestra, l’abbondanza di spazi di raccordo e soprattutto la mia mancanza di conoscenza di un repertorio personalmente non molto frequentato .

Vengo da alcune splendide occasioni di ascolto di Kaufmann: la magia del suo Otello intimista, la stupenda e felice esperienza dello Chenier e soprattutto ,per restare in ambito discografico, del suo prezioso Das Lied von der Erde.

Questo L’Opera mi ha dimostrato solo (se ce ne fosse bisogno) la grande gioia di cantare che questa magica voce diffonde a piene mani anche dove francamente non mi pare si esprima totalmente.

Con buona pace delle amiche francesi che, forse, questo Cd ameranno incondizionatamente.

 

 

 

 

Il professor Bortolotto

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la foto di Francesco Maria Colombo è bellissima, spero che l’autore mi perdonerà

 

Una piccola storia mi ha legato al grande musicologo e ne avevo anche parlato nel mio primo piccolo libro di memorie.

La breve scena si era svolta davanti al Festpielhaus di Salisburgo e non vale la pena raccontarla di nuovo.

Invece è molto curioso quello che avvenne in seguito: durante l’intervallo il vecchio gentiluomo si scusò per la sgradevole reazione del suo ospite nei miei confronti e mi disse :mi scriva quando vuole , sono sull’elenco del telefono,banalmente!

Ovviamente gli scrissi e grande fu la mia sorpresa quando ricevetti la prima di alcune sue deliziose cartoline.

Non corrispondevano mai le date e avevo l’impressione che le tenesse in tasca parecchio prima di ricordarsi di imbucarle.

Anche i soggetti delle cartoline erano strani :una era la pubblicità del Vascello fantasma, un’altra una vecchia immagine di Roma e sempre firmandosi per esteso ma con una calligrafia microscopica che la prima volta stentai a decifrare.

Mi scriveva “ a presto”, ma quel presto poi non si è più realizzato.

Ogni volta che andavo a Santa Cecilia speravo di reincontrarlo ma non ho mai avuto il coraggio di presentarmi a lui con tutta la mia ignoranza musicale.

Poi le cartoline si sono rarefatte, quelle che mi sono arrivate le mettevo come segnalibro nei suoi preziosi libri.

Su Classica è ripassato un breve ricordo di una sua visita alla Sagra Malatestiana,l’ho riguardato con grande tenerezza, ci si poteva ritrovare quel suo atteggiamento ironico e falsamente semplice che si divertiva a mostrare nei confronti del prossimo.

Sono contenta di averlo potuto avvicinare ,credo che vanitosamente avesse avuto piacere che una sconosciuta ammiratrice lo avesse fermato per strada.

I suoi difficilissimi libri sono stati per me una specie di lezione da leggere e rileggere.

Le sue cartoline sgualcite sono una piccola memoria personale di cui vado orgogliosa.

 

 

Una Svizzera da ripensare

 

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Pensare alla Svizzera spesso equivale pensare alle banche, poi alle montagne, agli orologi e alla cioccolata.

Tutti i luoghi comuni generici, poi volendo ci possiamo allargare al fatto che è una confederazione dove si parlano varie lingue ,difficilmente si riflette sulla storia e sulla cultura di una città come Zurigo e invece basta un breve viaggio per scoprire che questa bellissima città affacciata sulla Limmat e che si allarga sul grande lago è un’affascinante sorpresa culturale e storica.

 

Zurigo e la Riforma. In un breve percorso tra il Grossmünster e la Fraumünster ci sono secoli di storia e di lotte religiose crudelissime e fondamentali per i cambiamenti che hanno apportato.

Oggi queste severissime e nude chiese sono impreziosite dalle stupende vetrate di Giacometti e di Chagall ,si entra e quello che colpisce è quel Libro aperto, unico segno di nuda Fede .

 

Ripassando il MunsterBrüke si sale al Museo che ha una raccolta di opere d’arte di una ricchezza e abbondanza sconvolgente.Preziose le raccolte di arte antica ma dove veramente il museo è straordinario è nell’arte dall’Ottocento ai giorni nostri.Elencare i nomi può non bastare, spesso è la qualità delle opere rappresentate che fa la differenza.Stupenda e ovviamente ricchissima la presenza di Giacometti ma i tanti Munch, i Segantini lasciano senza fiato.Gli impressionisti ci sono tutti e l’arte contemporanea è rappresentata ai massimi livelli.

Forse si farebbe prima a dire chi non c’è!

 

Un po’ più avanti dove il fiume si allarga nel Zürich-See c’è la inconfondibile facciata dell’Opernhaus,qui avvennero le prime esecuzioni di opere diAlban Berg,Schöberg e Hindemith.

 

Poi viene da pensare a quanti intellettuali qui chiusero la loro vita:

a Zurigo c’è la ultima casa di Thomas Mann , qui morì Elias Canetti,

l’autore di quello stupendo affresco di cultura mitteleuropea che è La lingua salvata.

Sulla riva di questo lago passeggiarono illustri esuli dell’intera Europa.

Appare anacronistico pensare che qui non siamo nell’Unione europea, ma forse il discorso ci riporterebbe all’inizio della mia riflessione, in ultima analisi torniamo prosaicamente alle banche.

 

 

 

Onegin in campagna

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Un prato verde copre l’intero palcoscenico dell’Opernhaus di Zurigo.

In una splendida giornata di fine settembre si apre la stagione operistica con un titolo accattivante :l’Jewgeni Onegin di Tschaikowski,una volta tanto scritto correttamente.

Nella piccola preziosa sala il pubblico delle prime , eleganza discreta della ricchissima città svizzera.

L’opera facile ,orecchiabile, tanto amata sia patria che nel mondo sembra semplice ma dietro la storia tragica c’è un capolavoro letterario e per una volta non è male ripensare a Puskin, specie quando si hanno degli interpreti grandissimi come è stato in questa edizione.

Devo innanzitutto dire che questa messinscena quasi cechoviana , di una falsa semplicità ha fatto risaltare in modo particolare il coté maschile del cast.

Uno straordinario Peter Mattei tanto padrone del ruolo da essere un tutt’uno col suo infelice e tormentato personaggio come il sempre più maturo Pavol Breslik nel ruolo di Lensky

 

 

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E’ un’edizione al maschile che mette un po’ in ombra la pur vocalmente dotataTatiana di Olga Bezmertna e la Olga di Ksenia Dudnikova , ambedue al debutto nel ruolo.

La strada scelta dal regista ,questa bucolica spianata di campagna dove avviene tutta la storia può sembrare una via semplice, poi quando alla fine il salotto del principe Gremin viene smontato a vista dai servi di scena e Onegin si ritrova solo nel prato dove tutto era cominciato, fino a trovare per terra quel barattolo di marmellata nel quale la ingenua e infervorata giovane aveva messo il suo messaggio d’amore,si capisce meglio la sotttile e intelligente scelta registica.

Ugualmente sgomenti lascia anche la scena vuota su cui restano le giacche abbandonate dei due amici perduti nel momento dell’ira e dell’alcool.Il colpo di pistola è lontano, come è lontana la deriva fatale che decide il destino di tutti i personaggi di questa vita falsamente tranquilla nella quiete della campagna russa.

Ottima direzione di Stanislav Konchanovsky e ho già detto della bella intelligente regia di Barrie Kosky.

Sono tutti bravissimi gli interpreti di questa bella coproduzione con la Komischen Oper di Berlino,tutti festeggiatissimi nella bella serata aperta dopo la prima anche a tanti spettatori amici.

Si respirava un’aria quasi familiare , un backstage open e festoso di un teatro di grande tradizione e cordialità.

Sono molto lieta di averne potuto godere anch’io.

 

 

Carmen ad Ancona

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Da Siviglia a Siviglia.

Un esile filo conduttore lega la piccola stagione lirica di Ancona,filo tracciato dal raffinato direttore artistico Vincenzo DeVivo che poi proseguirà il suo colto lavoro nella successiva stagione lirica di Jesi.

La prima tappa di questo percorso è Carmen, l’opera più rappresentata al mondo e molto attesa dal pubblico anconitano e non solo.

Dirò subito la lietissima sorpresa :è nata una nuova bellissima Carmen che sono convinta dopo questo debutto nel ruolo volerà sicuramente molto lontano.

Martina Belli aggiunge ad un fisico splendente e una grande presenza scenica anche una bella calda ricchezza vocale e farebbe dire con poca originalità :è nata una stella se non fosse che Martina ha già calcato scene importanti come la ROH e sta per tornare di nuovo a Londra nel ruolo che già aveva ricoperto, la Lola nella Cavalleria con Pappano.

Ridendo mi dice che questo per lei pare essere l’anno di Lola, ma spera che questo debutto marchigiano la porti verso traguardi più prestigiosi,

io ne sono totalmente convinta.

Accanto a lei un terzetto di ottime voci : Francesco Pio Galasso ,voce potente esperto Don Josè,ha molto girato nei teatri in Germania e un po’ dappertutto nel ruolo ed è pure arrivato a cantare in Cina.

Francesca Sassu, Micaela dalla voce chiara e limpida, si muove bene e con sicurezza nel ruolo difficile e ingrato della timida innamorata .

Poi a chiudere l’ottimo quartetto l’Escamillo di Laurent Kubla, un sottile e altissimo torero di madrelingua,davvero non potevamo sperare di più.

La direzione attenta e sicura di Guillaume Tournaire ci conferma la sua conoscenza dell’opera e la particolare attenzione anche alla resa corale, con particolare garbo e tenerezza verso i bambini.

Qualcosa da dire anche sulla scelta registica intelligente di Francesco Saponaro: una Carmen “opera comique”con tutti i dialoghi generalmente tagliati, molto stilizzata nell’allestimento povero , curata con attenzione da chi venendo e lavorando abitudinariamente nel teatro di prosa conosce l’importanza dei particolari non sempre curati da chi fa solo lirica e invece dalla sottoscritta molto apprezzati.

Insomma non potevamo sperare di meglio con questi chiari di luna,lode al direttore artistico che è stato capace di coinvolgere l’intera struttura di MarcheTeatro nell’impresa.

Un’ultima doverosa menzione alla direzione del coro di Carlo Morganti e alla ottima prova dell’Orchestra Rossini di Pesaro.

Tutto ha contribuito a regalare alla città capoluogo l’occasione di ascoltare la grandissima opera e credo di poter dire con cognizione di causa che il risultato ottenuto non avrebbe sfigurato nel cartellone di ben più blasonati teatri.

 

 

Bucarest-e tre

 

FullSizeRender 3Forse non ci siamo resi conto abbastanza nel nostro paese quanto danno di immagine hanno fatto nel tempo alcuni sceneggiati televisivi di successo

Oggi il tassista romeno che mi portava in aeroporto in un basic e problematico inglese mi spiegava serio che la mafia dei taxi di Bucarest é la naturale copia della mafia italiana .

Mi racconta di quando da bambino aveva visto La piovra e il poliziotto Cattani era il suo eroe. Ricorda con emozione mista a nostalgia , ma l’immagine forte che gli è rimasta è quella dalla Mafia onnipotente .

Penso con angoscia che ancora qui non hanno visto Gomorra .

In questo paese , ancora faticosamente legato al ricordo di un regime comunista , l’idea di libertà dei commerci è molto lontana e il risultato produce tante piccole mafie locali legittimate , si fa per dire, dalla grande madre mafia italiana.

Che abbiano ragione i retrogradi conservatori del nostro paese che vorrebbero vedere esportata solo l’Italia dei mandolini e della pizza?

Quando Goethe parlava del paese dove crescono i limoni non pensava che un colto e intelligente tenore avrebbe intitolato un suo flop discografico Dolce vita , come a dire che l’Italia è ancora un paese irreale , romanzato e banalizzato anche da chi la ama di un amore romantico e infantile.

In questo sgarruppato aeroporto di Bucarest ho molte ore da passare , il mio volo è nel tardo pomeriggio e io sto seduta nell’unico caffè decente che ovviamente si chiama Lavazza . L’Italia che vorrei esportata è solo questa.

Bucarest-parte seconda

 

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Adoro Elias Canetti e la sua Lingua salvata . Finisco per scoprire sempre cose nuove e i nomi affascinanti come Bucovina e Galizia mi suonano sempre dentro come la musica di Gustav Malher.

Di nuovo questi pensieri durante il breve viaggio in Romania .

Ci ero già stata anni fa , quando la fine della dittatura di Ceausescu aveva fatto sperare in un rapido allineamento democratico .

Adesso Bucarest è ancora più grande , ci sono molte piû macchine in giro , ma direi che certi scollamenti del paesaggio urbano, certe sbavature nella qualità della vita fanno ancora pensare ad un difficile cammino non risolto.

Se lo splendido museo di arte europea , lucido di marmi e silente nelle sale vuote senza scolaresche vocianti e ´ un bellissimo esempio dì civiltà poi se capito nei bagni del ristorante dell’hotel Hilton il lavandino è otturato e il ventilatore per asciugare le mani è rotto!

La corruzione dilaga , mi dice un caro amico con vero sconforto e sento in lui quasi un desiderio di spiegarmi che non tutto quello che faceva la dittutura era negativo.

Il discorso ci porterebbe lontano e lo svuotamento delle campagne accompagnato ad una urbanizzazione selvaggia non sono argomenti positivi ..però…e qui mi fermo anch’io perché non sono assolutamente in grado di affrontare questi problemi.

Mi piace fermarmi dove capisco e vedo : i panni stesi su un antico un palazzo dietro l’Ateneum Enescu, la botteghina anni cinquanta con la vecchia sulla porta , le ragazze in minigonna sui trampoli , la sempiterna polo a righe dell’uomo medio.

Sono ancora tanto poveri , ma nel loro sottosuolo c’e l’oro , il petrolio ,il gas. La ricchezza al solito è nelle mani di pochi e spesso questi pochi sono in realtà delle multinazionali.

La democrazia é la piû difficile forma di governo , qui si capisce quanto ancora il cammino sia lungo e costellato di ostacoli. E mi rendo conto quanto sia inutile e retorica la bandiera europea che comunque non vedo proprio sventolare da nessuna parte.

Bucarest.parte prima

 

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Cominciato male perché odio la levataccia alle quattro e mezzo . Soprattutto perché finisce che non dormo neanche le ore che normalmente mi concedo .In macchina mi accorgo di avere scordato i fazzoletti di carta , poi di avere messo erroneamente in valigia gli occhiali leggeri che mi servono per la guida di notte .

Poi addirittura sbaglio strada perché non mi sono ricordata che ci sono lavori in corso e giro intorno due volte all’isolato prima di imboccare la strada giusta.

Fortunatamente arrivo al parcheggio in tempo per sentirmi dire che lo shuttle é già partito , poco male , lo raggiungiamo con la macchina mia!

Volo per Monaco regolare ,poi ricerca del gate per Bucarest , ovvero «  il deserto dei tartari «

Mentre aspetto molto perplessa mi arriva la lieta novella che il tenorissimo rifiuta la trasmissione della radio romena , Zorela preoccupata , per ora si garantisce comunque la presenza ….

Indagine aeroportuale e scopro il cambio di gate : significa fare qualche kilometro , riprendere il treno interno , molti Entschuldigung , finalmente con pazzesche scale mobili in giù ( che odio ) e in su , lunghissime, arrivo al vero gate . Imbarco normale, é già qualcosa.

Verso Est : sorvolo l’Austria , poi pare anche un po’ di Ungheria , Romania del nord e con cambio di fuso arrivo in una calda Bucarest.

Perfetto e gentile mi aspetta il marito di Zorela e mi porta a casa della figlia che lavora in Francia , piccolo appartamento molto ordinato . Schianto sul comodo lettone per qualche ora .

Passo il lento pomeriggio rprigioniera in attesa di niente …verso le otto locali ritorna il mio ospite che gentilissimo si scusa ma ha fatto tardi per custodire i suoi otto cucciolini di cane lupo e arriva carico di sacchetti di cibo , pane , frutta e le deliziose palacinche .

Senza tv , per fortuno riesco a trovare una radio italiana , la giornata è passata .

 

Mi sveglio riposata , colazione , lavaggi , ho letto praticamente tutta la guida del Touring .

Il primo ferale annuncio che il bavaro non vuole la tv romena è l’antipasto preceduto da una bella foto di gruppo a Parigi mentre prova il Don Carlos e poi la conferma : la sôla balcanica era nell’aria e si è definitivamente completata dentro l’ Ateneum Enescu prima dell’inizio del concerto di oggi.

Il caro ragazzo non viene . Stavolta dopo un sonoro Vaffa mi viene da ridere , era una trasferta fuori sacco, mi costa poco , sono ospite di cari amici , ho rivisto Bucarest dopo tanti anni . In fondo a casa non mi aspetta nessuno e pare pure che ad Ancona piova.

Io ho passato una bellissima mattinata museale , colazione all’Hilton , mi sono trattata bene.

La mia ospite mi ha dato il suo abbonamento e mi avvio per la prima volta all’ Ateneum pieno di un pubblico modesto di aspetto ma molto colto e partecipe.

Il concerto da camera : violoncello e pianoforte : Due giovani e raffinati solisti francesi , Poulenc, Enescu , Berg e Brahms. Questo festival è ricchissimo , tanti concerti ogni giorno con orchestre importanti e bacchette prodigiose. Sarebbe da strarci una settimana intera.

 

Per me oggi basta , io   rientro nel mio appartamentino fresco e silente su strada alberata.

 

Domenica : prospettiva di una bella passeggiata fino al Monastero Radu Voda . Ci ero già stata in un’altra vita : non riaprite quella porta!

Scendo verso casa , prima sosta ad un parco giochi . Aria lenta domenicale , venticello fresco , poi attirata dalle campane vado in una parrocchia vicino casa . Il giovane pope mi dice che si chiama Bona Veneru , forse buona visita …

C’e pronto un modesto banchetto su piatti di carta e in rapida sequenza coppie di giovanissimi si inginocchiano con candele in mano davanti al vecchio sacerdote . Inutile chiedere chiarimenti , non credo si tratti di matrimoni , forse una sorta di promessa? Li accanto un una modesta cappella ci sono le candele votive che galleggiano nella cera , come in Grecia.

Pomeriggio bellissimo a casa di Zorela , una bellissima accoglienza in una bella casa piena di quadri e di oggetti preziosi.

Ad attendermi due amiche di quella particolare amicizia che nasce in rete e poi è stranamente più forte delle amicizie di un tempo.

Una , la incontro spesso , viene da Parigi e l’altra simpaticissima poliglotta di origini romene viene dal Canada.

La nostra ospite ha preparato un sontuoso banchetto con tutte specialità romene .

In sottofondo la voce del tenore ….psso ore veramente piacevoli e alla fine Zorela mi fa l’ultimo regalo : il suo abbonamento al secondo concerto della sera . Accompagnata e poi anche riportata a casa dal solito gentilissimo Alex ascolto Olga Peretyakto cantare l’Exultate di Mozart e poi con un grande dispiego orchestrale e una corale parigina ( le donne in preziosi costumi rinascimentali ) una intera Messa mozartiana .

È quasi mezzanotte e questo è il terzo concerto del giorno. Sul programma giornaliero c’è anche il concerto annullato .

Forse qualcuno ha sottovalutato l’importanza e il livello di questo Festival.