SHI “si faccia”

 

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Il Macerata Opera Festival apre con una raffinata opera contemporanea : SHI , dedicata alla figura di uno straordinario personaggio : il gesuita maceratese Matteo Ricci.

SHI significa …”si faccia “ e ripercorre attraverso le suggestive sonorità compositive di Carlo Boccadoro ,maceratese anche lui e nell’occasione anche alla bacchetta, la vita dello studioso che , particolare non trascurabile , è ancora oggi l’unico occidentale ad essere sepolto nella Città proibita.

L’opera si articola in cinque momenti della vita del monaco : dalla partenza dall’Italia , attraverso tutta una serie di difficoltà e scoraggiamenti nell’apprendimento di questa lingua difficile da capire e ricordare fino a entrare nella sua logica ed a esserne padrone tanto da potere esercitare la sua missione di religioso finalizzata a portare la religione cristiana nell’Estremo Oriente più misterioso .

La sua meta e aspirazione era quella di arrivare fino all’Imperatore della Cina , impresa tanto più ardua per le enormi distanze da percorrere , dalla difficoltà di entrare in qualche modo in relazione con i colti Mandarini con cui riuscì lentamente ad entrare in contatto.

Si fece cinese tra i cinesi , si fece portavoce della cultura occidentale attraverso espedienti vari , uno dei quali fu il portare un orologio fino alla corte di Pechino.

La narrazione è basata sulle lettere del carteggio che Matteo Ricci intrattenne comunque col padre a Macerata e sono lettere bellissime , piene di suggestione e sono stata la traccia su cui ha lavorato Cristina Ligorio , regista e autrice del libretto.

Un impianto scenico semplicissimo , tre figure in scena ,due baritoni : rispettivamente Matteo , Roberto Abbondanza e Bruno Taddia , l’uomo che guarda e un attoreTimone Tangolo , il viaggiatore.

Le musiche sono eseguite da un Ensamble di percussioni e da due pianoforti La massima suggestione ci viene dalle video preiezioni di Igor Renzetti che commentano il racconto attraverso tutta una serie di immagini proiettate su velari che scendono dall’alto e ci ìillustrano la difficile impresa dell’ apprendimento di questa lingua basata su ideogrammi bellissimi e tanto difficili da memorizzare .

Un percorso intellettuale durato un tempo storico lunghissimo , diciotto anni ci aveva messo Matteo Ricci , anzi Li Madou questo fu il suo nome cinese , per arrivare alla corte imperiale ormai abbigliato da Mandarino anche se morì senza riuscire a vedere il volto dell’Imperatore.

Matteo Ricci nacque a Macerata nel 1552 e morì a Pechino nel 1610.

, lavorò alla elaborazione e alla traduzione di mappe di quell’immenso paese che nell’immaginario europeo era sempre rappresentato lontano , all’angolo e invece il cui nome era addirittura La terra di mezzo .

Fu matematico , sinologo e cartografo , ma soprattutto il gesuita maceratese contribuì ad avvicinare due culture tanto lontane fra di loro da essere adesso considerato  una specie di antesignano della possibile integrazione tra popoli così culturalmente diversi.

 

Uno spettacolo elegante e bellissimo nelle sue suggestioni cui hanno sicuramente contribuito anche i giovani dell’Accademia di Belle Arti di Macerata , giunti alla fine sul palco , numerosi e festosi , orgogliosamente

fieri del loro lavoro raffinato ed elegante.

Una serata particolare , un’altra perla sortita dalla vulcanica sempre stimolante inventiva di Francesco Micheli , un Direttore artistico che resterà comunque nella memoria e nella gratitudine di una intera città alla quale ha veramente dato una nuova spinta culturale.

 

 

 

 

 

Una dedica speciale

 

 

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In una delle mie follie londinesi per vedere l’Otello mi ero portata dietro il Cd Das Lied von der Erde di Mahler , se fossi riuscita ad incontrare Kaufmann:

ci tenevo a dirgli che per me era diventato una specie di accompagnamento continuo , specie l’ultimo Lied : der Abschied.

Grazie alla garbata gentilezza di Maria Agresta sono riuscita nel mio intento e ho detto a Jonas , una volta tanto riuscendo a dirgli quello che avevo nel cuore che quel Lied mi stava accompagnando come un sottofondo continuo .

Ho visto che gli brillavano gli occhi e alla mia richiesta di farmi una dedica ha tirato fuori la solita batteria di pennarelli e ha scarabocchiato qualcosa sulla copertina ,io felice , ho ringraziato e senza neanche leggere quello che aveva scritto sono corsa da Maria che mi aspettava.

Poi , con emozione e non senza difficoltà ho decifrato quello che Kaufmann mi aveva scritto:
“Un Abschied che diventa ..per sempre “e il suo sgorbio finale a chiudere .

 

Se quel cd per me era prezioso ora è addirittura una specie di feticcio.

Sono tornata a Londra anche per dirglielo e ho raccolto anche un suo tenero sfogo contro i loggionisti italiani che non lo amano…

Se qualche logginonista scemo non lo ama non se ne faccia cruccio , la sua arte è ben al disopra di certe stupidaggini dal sapore di un antico livore che rasenta uno strano culto per i cantanti morti.

Ripensando Otello

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Continuo a laggere riassunti , ripensamenti , emozioni di spettatrici dell’Otello londinese e mi colpisce una costante :

intanto sembra che molte non conoscessero la tragedia scespiriana e men che meno l’opera di Verdi . Tutte raccontano la storia nello stesso modo .

Povero Otello , vittima designata e crudele il suo destino di fragile colosso.

E la povera Desdemona ? Non fa pena a nessuno questa scema romantica ragazzina presa d’amore dal diverso , dal vincitore vittima di emarginazioni

( e io ti amavo per le tue sventure…) tanto scema da seguitare a ripetere quel nome “Cassio “ come un mantra tanto che ti viene voglia di urlarle dalla platea : smettila , stai zitta! non vedi la bestia che ribolle nel tuo uomo?

Ovviamente si tratta di un normale femminicidio , anche senza prove sicure , se escludiamo il bellissimo espediente scespiriano ( e poi verdiano ) del fazzoletto, vero simbolo della tragedia , una specie di raccoglitore di ogni delitto d’onore .

La gelosia di Jago muove l’azione delittuosa ma solo uno sprovveduto come Otello , insicuro nella sua baldanza soldatesca ci poteva cascare.

Quindi ammaziamola questa puttana che non è più solo mia , classico modo di ragionare del fesso latino o/ e mediorentale di turno.

 

Poi qui però c’è di mezzo una variante notevole : Otello è bellissimo ( hanno messo addosso a Kaufmann dei costumi talmente donanti che addirittura ne esaltano la bellezza virile) e Il nostro tenore è capace anche di ribaltare il senso profondo della vicenda .

Lui diventa vittima assoluta : Otello fu!

 

Però a pensarci bene, si tratta del valore aggiunto del mostruoso istrione o è stato Verdi a tirare fuori dal testo scespiriano questo finale assolutorio del mostro omicida e Kaufmann ha solo eseguito , come dice sempre , quello che era semplicemente scritto nella partitura?

A Paris

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A margine del grande concerto di Parigi alcune modeste considerazioni da prendersi con cautela e senza rancore ….

Intanto la “grandeur” del presentatore , gli colava da tutti i pori, il più , la più . etceterà etceterà…

Ammetto che era abbastanza veritiero perché anche se non credo che sia il più grande concerto del mondo all’aperto ( mi pare che la Waldbhüne a Berlino abbia 25mila posti a sedere) resta sempre un spettacolo magico con quel fondale che progettò l’Ingegner Eiffel e che fa sempre la sua bella figura sul Champ de Mars.

In realtà in me parla un’invidia nera per tutto quello che potremmo fare anche noi e che invece non siamo proprio più capaci di organizzare.
Si potrebbe dire dei cantanti : in effetti erano tutti , come suol dirsi , su piazza , non sono andati a cercarli lontano perché in Francia si fa teatro d’opera ad alto livello anche a luglio , anzi se ne fa di elevata qualità!

Hanno un’Orchestra nazionale di Francia e penso che se non ci perdessimo in campanilismi idioti ce l’avremmo anche noi l’Orchestra nazionale . Solo che si chiama Santa Cecilia e altrimenti si potrebbero turbare gli aficionados della Scala.

Ha diretto un prestigioso maestro russo , i cantanti , a parte la gloria nazionale Ludovic Tezier erano due americani , una tedesca e una georgiana, qualità altissima delle prestazioni e poco conformismo nella scelta dei brani.

Si è cantato tanto in italiano , anche Mozart del Don Giovanni ma con tutto l’amore che ho per la Francia e per i francesi non riesco a digerire la loro terribile impudenza nel dire “O mio Babbinò carò” o nello francesizzare il caro Richard Strauss che regolarmente diventa Stross…ma pazienza cantavano tutti così bene .

 

Insomma io guardavo , ascoltavo e invidiavo . Perché da noi è impossibile pensare qualcosa di simile ?

Abbiamo le piazze più belle del mondo , le città d’arte e anche preziose realtà musicali ma …i teatri da noi l’estate chiudono , l’Arena di Verona sicuramente non è più l’Arena d’antan , Caracalla non mi pare faccia un cartellone all’altezza.

Si salva , mi si perdono il campanilismo , lo Sferisterio di Macerata e soprattutto il gioiello prezioso , anche a livello internazionale che resta ancora il Rossini Opera Festival.

 

Per chiudere questo attacco d’invidia ritorno a Parigi , che val sempre una messa , anche quando si tratta del concertone del 14 luglio.

Un autentico brivido la Marsigliese finale , confesso , invidio loro anche l’Inno nazionale perché mi sembra in fin dei conti anche un pò mio……

L’opera in piazza a Monaco

 

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Nonostante una sorta di idiosincrasia per la voce di KFV mi metto diligentemente davanti al video per ascoltare questo prezioso Tahnnäuser di Monaco.

Tanto prezioso per due diverse motovazioni : la direzione di Kiril Petrenko e la voce dolcissima di Christian Gehtahrer .

Avrei anche preso il biglietto a maggio , poi ho dovuto rinunciare per un importante raduno familiare , adesso quindi sono lieta che attraverso Arte lo possa sentire.

Insisto , sentire , non vedere perchè io Romeo Castellucci lo conosco dal tempo dei Raffaello Sanzio e mi sono sorbita varie provocazioni dell’illustre regista animatore della prestigiosa compagnia di ricerca .

Mirabile fu la volta della presenza in scena delle due anoressiche terminali ( poi infatti morirono davvero alla fine della tourné ) o giù di lì,

 

Poi convertito sulla via del successo internazionale volli dargli una prova d’appello con il Parsifal del Comunale di Bologna.

Ovviamente c’era l’Orecchio , pare fosse di Nitzche, ma c’era anche il vero boa bianco che si snodava per tutto il primo e anche un po’ del secondo atto.

 

Si salvò l’intuizione del mondo in marcia perenne nell’ultimo atto , anche se un centinaio o forse più di persone calpestanti non ci facevano godere abbastanza la pur pregievole direzione di Roberto Abbado.

 

E vengo a Monaco : Petrenko è un mago della direzione : frequentando molto il prestigioso teatro ho potuto apprezzare anche la versatilità della sua bacchetta ,ma ebbe del miracoloso la sua direzione dei Meistersinger dello scorso anno, non avevo mai sentito un Wagner così lirico , così leggero , così infinitamente vicino ai cantanti .

I Berliner che non sono stupidi giustamente lo hanno votato a maggioranza per il prossimo ricambio direzionale . Monaco piange ma Berlino ride.

Questo Tahnnäuser basta sentirlo , la visione è un optional neanche tanto interessante .

Tutte le cosiddette provocazioni per una che ha frequentato tanto la ricerca teatrale sono di una lettura addirittura banale .

In questo senso forse ha fatto meglio Emma Dante nel suo nuovo ruolo di regista d’opera , ha lasciato le sue belle provocazioni siciliane ed è riuscita a rinnovare i , almeno in parte, la sua cifra stilistica.

 

Ma vengo all’opera e alla magia della musica valorizzata dal grande gnomo che incanta con il suo gesto direttoriale.

Come immaginavo la voce di Gehrahrer mi riempie l’anima e Anja Harteros ha dalla sua la capacità lirica per rendere la magia del ruolo di Elisabetta .

Un meraviglioso Tahnnäuser da sentire , perdonando la voce per me abbastanza fastidiosa dell’illustre tenore germanico . ma si sa, sui gusti non si discute!

Poi c’era anche l’incanto della piazza da apprezzare : un mondo educato e civile . Per esperienza personale di queste Opere für Alles . Dieci minuti dopo la fine Franz Joseph Platz è vuota e pulita come se non ci fosse stato nessuno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Otello forever

 

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foto di Valeria Blarzino

 

Avrebbe dovuto piovere, invece la cappa di calura su Londra toglie il respiro . Il teatro è stracolmo e bollente . Nella serra del teatro c’ è un’afa che annebbia anche le foto .
Una vela , una vela ! La tempesta verdiana non muove un alito di vento , arriva la scheletrica nave e so che in palcoscenico non hanno neppure l’aria condizionata .

Lo spettacolo è sempre più avvincente , già toglie il fiato del suo , figuriamoci al calor bianco.
Seguo la tragica vicenda del povero “ leone di Cipro” e provo una grande pena per lui e per la povera sua dignitosissima sposa veneziana .
Il capolavoro verdiano in questa messinscena acquista spessore e drammaticità nuove nel rivederlo ormai per la terza volta.
Mi soffermo su particolari che restano nel cuore . Il più prezioso è il gesto dignitoso , appena accennato della povera Desdemona sbattuta a terra dal marito ormai furioso . Lei sembra una bambola rotta , Emilia corre in suo soccorso e lei ferma il gesto pietoso con la dignità della sua nobiltà ferita.
Un altro particolare . Il sempre più evidenziato torturarsi di Otello che con quello stringersi angosciosamente le tempie ci porta al cuore della sua nevrosi , il particolare appena accennato nelle prime rappresentazioni adesso e molto più accentuato e penso che sarebbe molto piaciuto a Verdi.
Vado avanti nella tragedia che stasera ribolle fino all’ultimo e sembra toglierci quel poco di respiro che resta anche a noi spettatori anche se in teoria dovremmo stare più freschi per l’ aria condizionata del teatro , ma siamo talmente tanti che praticamente riusciamo a mala pena a respirare.
Al terzo atto Jonas non ha i pantaloni turcheschi , credo non ce l’abbia proprio fatta a indossarli ( peccato , gli stavano bene!) , poi mentre spia dall’alto si leva anche la giacca e alla fine la sciarpetta proprio non si sa dove sia finita .
In compenso eroicamente Maria resiste nelle sue nobili vesti , “noblesse oblige”.
Il mio non è il racconto fedele di un Otello verdiano , è qualcosa di diverso e più personale, è il racconto di una melomane innamorata dell’opera straordinaria che aspettavo da anni con questi interpreti e con questo direttore amatissimo.
Sir Tony alla fine non era sudato , era totalmente bagnato e , lo ha confessato , vicino a collassare alla fine del secondo atto.
Poi mi ha detto una cosa alla quale non avevo fatto caso . Secondo lui il contrasto tra il canto un po’ grezzo di Vratogna e quello raffinato di Kaufmann crea una sorta di valore aggiunto nella differenziazione dei personaggi . Confesso che non ci avevo pensato.

Ho letto molti resoconti dello spettacolo , molte entusiastiche interpretazioni della spirale di paranoia in cui cade Otello , molte recensioni colte e molte cose inutili .
In ultima analisi penso che questo Otello  con i suoi limiti ,soprattutto registici , resterà nella storia del melodramma come un momento altissimo del “ recitar cantando” tanto caro al nostro grandissimo compositore .
Il vecchio leone di Busseto non ha avuto dubbi nel contaminarsi col grande rivale tedesco . Lo stupendo leitmotiv del duetto ritorna nello struggente finale a stringere i cuori sui corpi allacciati nel sangue dei due tragici e infelici protagonisti.

Sono stata a Barbiana

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Due pulmann della scuola media di Serra San Quirico , un piccolo paese incantato della Vallesina .

Due classi per uno strano pellegrinaggio sulla tomba di un prete scomodo e quasi dimenticato, ma l’annuale rassegna del Teatro della scuola , una eccellenza a livello nazionale , quell’anno dedicava proprio alla figura di quello strano prete il tema e il filo conduttore degli spettacoli.

Ero stata per anni nel direttivo della rassegna e fu ovvio che mi aggregassi alla bellissima spedizione.

Due classi di ragazzini , alcuni insegnanti consapevoli , operatori teatrali , il sindaco e qualche politico di diversa formazione.

 

Un viaggio verso le mie terre d’origine , passato il Muraglione le case diventano toscane , la gente parla la lingua dolce della mia infanzia .

A Barberino fummo accolti con tutti gli onori e poi ci incamminammo a piedi per quella sperduta frazione : Barbiana da cui partì una specie di rivoluzione intellettuale della scuola e non solo.

 

Lenta la salita , ai lati della strada tra i castagni si vedevano gà spuntare le primule gialle .

Quando finalmente arrivammo alla canonica , piccolissima e sperduta capimmo , se ce ne fosse stato bisogno , quanto la chiesa fiorentina avesse voluto punire quel prete obbediente e allo stesso tempo così tanto ribelle.

I suoi libri sono tutti nella mia libreria , ingialliti dagli anni, ma tanto preziosi per la mia formazione.

Le piccole stanzette della scuola piene di grafici , di spiegazioni e soprattutto quell’I CARE sulla porta , chiave di tanta sapiente apertura mentale da trasmettere ai giovani.

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E’ stata adesso una settimana di commemorazioni , questo straordinario papa Francesco è arrivato fin lassù e ha pregato sulla tomba del Priore nel piccolo silente cimiterino .

Io non ho voluto seguire le retoriche celebrazioni , oggi sembra già tutto storicizzato , ma per chi in quegli anni cominciava a capire quello che avrebbe potuto essere il futuro per le nuove generazioni ( e che non è stato )

il pellerinaggio del vecchio papa è stato l’unico segno importante nel riconoscimento della memoria.

 

Dom Lorenzo è morto nel ‘66 , il 68 doveva ancora venire ; molta parte del suo messaggio è stato usato e forse strumentalizzato facendone un manifesto di disobbedienza , lui che dell’obbedienza aveva fatto la sua forza.

 

In quegli anni ero consigliere provinciale e venni a sapere che un illustre cattedratico che sedeva sui banchi di un partito diverso dal mio e si chiamava Milani ( pure con un altro nobile cognome aggiunto ) pare fosse parente del mio amatissimo don Milani.

Andai da lui per abbracciarlo e complimentarmi , mi gelò dicendo che sì lui in effetti era proprio cugino di quel prete , ma tutto da ’tutta un’altra parte!

Non ebbi più voglia di abbracciarlo , ritornai sul mio banco laico e mi tenni nel cuore quell’abbraccio mancato.

 

Penso con tenerezza a quanto servirebbe oggi il coraggio di dire ai giovani : imparate le lingue , andate nel mondo e di dire ai preti che se in chiesa viene solo lo scemo del paese alla messa non preoccupatevi e non pensate di allettare i giovani col biliardino, quello lasciatelo fare agli altri.

Oggi i giovani di biliardini ne hanno tanti in tasca , alla messa forse non c’è più neppure lo scemo del paese , ma la carità , l’apertura culturale , l’invito all’accoglienza del giovane prete difficile sarebbero molto utili in questo mondo chiuso dai mille nuovi egoismi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

. E AL FIN DELLA LICENZA….

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L’accanimento con cui i detrattori di Kaufmann cercano di trovare in lui un punto debole , una sfumatura d’errore mi ricordano lo stesso irrazionale livore che accompagnò la parabola artistica di Maria Callas .
Dopo di lei niente fu più uguale nella lirica , dopo di Kaufmann succederà la stessa cosa .

Due mostri di intelligenza , di straordinaria capacità attoriale , di profonda competenza musicale .

Triste sorte per tutte le soprano all’epoca della grande Maria , il cui mito resiste , anzi si amplifica nel ricordo di chi non ebbe la fortuna di vederla e sentirla dal vivo , non ci fu spazio per nessuno quando lei entrava definitivamente in un ruolo.

Lo stesso avviene oggi con Jonas Kaufmann : i suoi Werther , don Josè, don Carlo , Canio , Dick Johnson , Florestano , Sigmund, Lohegrin , Des Grieux eccetera eccetera restano pietre miliari e tutti gli altri tenori devono fare i conti con chi cannibalizzando i ruoli non lascia margine di emulazione a nessuno .

 

Piace a chi vuole per forza accanirsi col mito cercarne i difetti e non hanno capito che i cosiddetti “difetti” sono la componente più seducente del grande artista.

Io ritengo che il segreto di Kaufmann , in questo veramente unico , è il suo essere sempre stato anche un grande cantante di Leader e non per caso i suoi preziosi apporti a questo repertorio sono per me altrettanto strepitosi quanto le sue grandi interpretazioni liriche.

La sua tavolozza è magnifica perché nasce dalla ricerca del suono raffinato della liederistica : la sua Schöne Müllerin , il suo Wanderer della Winterreise , il suo Fahrenden Gesellen , i suoi Wesendorck Lieder sono altrettanti miracoli musicali .

L’avere affrontato ( e vinto ) la scommessa di cantare da solo Das Lied von der Erde di Malher è la risposta ultima del suo grande immenso talento musicale.

 

Il suo sterminato repertorio nasce anche dalla strepitosa capacità di cantare perfettamente in tre lingue , di esprimersi in quattro cambiando con una velocità acrobatica da un interlocutore ad un altro sempre con una ricchezza di vocaboli straordinaria come è straordinaria la sua memoria .

Ammette di imparare troppo velocemente ,lo condidera addirittura un limite e non è vero che piace solo alle vecchie signore , Ho visto serissimi uomini giovani e meno giovani accalcarsi all’uscita dei teatri per un autografo , per un breve momento di condivisione per tutta la gioia che trasmette ai suoi seguaci.

Lui attraversa leggero il suo successo , talvolta nascondendosi nelle sue mitiche risate a chiudere un discorso , riservato e tedesco nella preparazione , vago e latino nella sua espressivitä gioiosa.

Ohibò .mi accorgo di non avere scritto che è pure bello e anche fotogenico , ne vogliamo fare una colpa ulteriore ?

Diciamo anche allora che tifa Bayern , che si veste malissimo Dolce e Gabbana e che ha una notevole capacità di nascondere tutto quello che riguarda la sua famiglia con teutonica riservatezza.

 

E vengo al suo geniale Otello , costruito con intelligenza attraverso un cammino di avvicinamento al ruolo con la prudenza e la saggezza che gli sono proprie.

Il suo è un Otello definitivo . Inutile pensare ai miti di ieri , oggi l’unico modo per interpretare il fragile , complesso personaggio è il suo.

Con buona pace di chi non lo considera ancora maturo o ll’altezza del ruolo , ormai l’Otello dei nostri giorni è lui, si dovranno rassegnare tutti i tenori che verranno dopo di lui , è finita l’era di Otello superman,

Kaufmann ha già dimostrato anche con l’Aida che non serve urlare per restare fedeli a Verdi.

 

 

Otello al cinema

 

 

2796ashm_1194 a JONAS KAUFMANN AS OTELLO, MARIA AGRESTA AS DESDEMONA (C) ROH. PHOTO BY CATHERINE ASHMORE

Non conosco il nome del regista della ripresa televisiva di questo attesissimo Otello del ROH , la ripresa è cominciata dopo le inutili chiacchere della bella di turno ,ma sarebbe da segnarselo bene in mente onde evitare di reincontrarlo in altra occasione.

Raramente una ripresa in streaming riesce a imbruttire totalmente una messinscena che sulla carta poteva regalarci un valore aggiunto al capolavoro verdiano.

Invece mi sono trovata davanti con sgomento una ripresa decisamente infelice , piatta e banale quanto mai avrei immaginato.

La recensione di Joachim di In fernem Land è durissima ma non per sua colpa , diffcile giudicare lo spettacolo da quello che si è visto nei cinema di mezza Europa ieri sera.

La scena talmente buia da farci perdere qualsiasi particolare registico e le magagne dell’allestimento sono venute fuori tutte.

A cominciare dall’inconsistensa dei cori , di nessuna vibrazione emotiva, assolutamente inadeguati fino dai movimenti del grande coro iniziale per non parlare delle inesattezze dell’esecuzione.

La bombastica prova orchestrale ha messo a dura prova le orecchie degli spettatori , Pappano è un grande direttore e se non lo avessi sentito pochi giorni fa in teatro avrei qualche dubbio circa la raffinatezza necessaria di certe pagine mirabili.

Penoso lo scheletro di nave fantasma e l’emergere dal solito buco di scena il fiero condottiero il cui Esultate risulta anche scenicamente povero mentre Desdemona fa cucù sulla piattaforma laterale .

Non si capisce il gioco iniziale dei tavoli in cui si muove il povero Cassio sobillato da Jago, le altre figure in fila di lato , belle statuine inutili.

Le quinte mobili da cui filtrano ben poche luci non ci permettono di capire il progressivo restringere ossessivo della trappola mentale del protagonista, sfugge il ruolo dello specchio ( non si capisce neanche bene che ci sia) e soprattutto , con i primi piani spesso sballati si assiste solo alla trionfale , pacchiana grandiugnolesca interpretazione di Marco Vatrogna, “modesto Jago”.

Avevo già premesso che avrei parlato male dell’entrata dell’ambasciata veneziana , una specie di bianca processione dietro un leone di San Marco di cartapesta che per fortuna dura poco più di un attimo.

Brutti i costumi, si salvano solo quelli di Otello che hanno pure il valore aggiunto di sottolineare la sua discesa verso un esotismo di maniera, il resto è veramente penoso .

La mia adorata Maria Agresta imbruttita da abiti che tutto fanno meno che valorizzare la bella figura , ridicola la povera Emila ,col golfino e la mongolfiera in testa e mi taccio sulla carrellata delle ulteriori brutture.

 

Ovviamente si salvano solo i due grandi professionisti nei rispettivi ruoli di Otello e Desdemona .

Interpreti preziosi e perfetti anche attorialmente , soprattutto a partire dal terzo atto il discorso si fa diverso.

Mi sono stufata di leggere che Kaufmann non ha la voce adatta per fare Otello! Non solo ha la voce, il portamento e la grande capacità di entrare nel ruolo, ma anche la straordinaria tecnica che gli consente di cantare “ a denti stretti” , operazione difficilissima anche tecnicamente.

Maria Agresta è perfetta e dolcissima , con momenti di grande dignità e fierezza . Si capisce quanto ha lavorato sul personaggio e la sua ultima grande scena dalla canzone del salice fino alla vibrante Ave Maria fanno trattenere il respiro anche alle platee lontane.

 

Alla fine si esce dal cinema comunque emozionati, salvo che stavolta a Kaufmann avevano messo un litro di sangue in più sotto la camicia col risultato ridicolo di lavandino rotto che rovina , nel particolare ravvicinato, lo straziante ultimo bacio soffocato del grandissimo interprete.

 

Desdemona

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Mi capita di cercare un libro fra i tanti delle mie librerie sparse oer tutta la casa . Il libro cercato non lo trovo , ma curiosamente mi trovo tra le mani un libro che non mi ricordavo assolutamente di avere comprato e meno che meno letto .
Il titolo è curioso Se tu avesi parlato Desdemona , l’autrice sconosciuta Christine Brückner, lo apro incuriosita . Appartiene al filone femminista degli anno settanta , sono tutti dialoghi immaginari di donne che parlano con i loro uomini . Quello che da il titolo al libro immagina una Desdemona polemica che dialogando fa ragionare Otello e si salva.
Sorrido all’idea , ho un biglietto per l’Otello londinese e mi aspetta dopo lo spettacolo Maria Agresta . Decido che il libro ritovato avrà una nuova proprietaria e lo metto in valigia .
Il resto è la storia di una serata memorabile di cui parlerò diffusamente più volte .
Dopo averci sedotto tutti con la sua purissima voce , Maria Agresta in camerino nel ricevere il mio comunque modesto dono mi ha detto che lo cercava da anni , anche perché lei a suo tempo aveva fatto proprio sul personaggio di Desdemona la sua tesi.
Incredula di avere finalmente il libro tra le mani commossa lei …, commossa io per la sua interpretazione straordinaria , quando si dice : i casi della vita!

a botta calda

 

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Se comincio dalla fiine dico che è il più bell’Otello della mia vita . Un’emozione così intensa all’ascolto di questa opera mirabile credo di non averla provata mai .

Ma vado per gradi e un po’ di raziocinio . L’inizio non mi ha sconvolto , il coro della ROH ha qualche vistosa lacuna , Kaufmann bellissimo , nel primo dei suoi quattro splendidi costumi canta un’accademico “Esultate “, mentre da una piattaforma in alto esce e rientra una luminosa Desdemona.

Pappano non ha voluto l’applauso iniziale , entra di soppiatto mentre la scena e’ tutta di Jago che da il via alla rappresentazione .

Citazione colta per ricordarci quanto Verdi volesse dare il titolo Jago alla sua opera?

Tutta la prima parte , il tramare di Jago con Roderigo , la pesante trappola del “bevi , bevi “ai danni del giovane ( e qui piattissimo Cassio ) non è da manuale .

Ovviamente la scena si fa elettrica con il rientro del Comandante , che però non pare né focoso ,né guerrescamente solenne, ma provoca un brivido la sua mezzavoce sull’’”onesto Jago”. Comincio a capire che quest’Otello sarà molto diverso da ogni altro Otello ascoltato prima.

La claustrofobica scurissima scena a pannelli tra cui filtrano le luci del torbido pensiero che avvolge la mente del labile condottiero  è un non luogo mentale in cui anche il Credo blasfemo del deus ex machina non provoca quel brivido che dovrebbe . Forse qui mi manca un baritono più ..diabolico.

Sembra che intenzionalmente la regia appiattisca tutto il contorno , si ritorna al sublime con il duetto d’amore . Due grandi , la più struggente musica del grande vecchio mago : “Venere splende”.

Il veleno cammina nella testa di Otello , nella trama diabolica , nel gioco  che Otello fa con i modellini delle navi mentre il suo pensiero corre lontano. Non stacco il binocolo dal volto di Kaufmann , comincia ad entrare nel personaggio che affida a mezzi vocalmente non prorompenti il suo inabissarsi nella follia .

La luminosa vittima perora la sua ingenua preghiera per il povero Cassio defenestrato ….il fazzoleto è troppo piccolo, il regista non mi convince.

Nel chiudersi della prima parte non sono entusiasta. Neanche di Pappano che forza troppo l’orchestra fino a coprire le voci , lui così generalmente attento a non farlo.

 

Poi avviene il miracolo , la seconda parte è tutta di una tensione palpabile , quell’Otello in piedi al proscenio è possente , nonostante la pashmina(!) l.’ombra di Jago sullo sfondo. Nel giocare sulla trasformazione allo specchio di quello che fu il comandante in un mostro fino alla pesante maschera nera messa sul volto di Otello da Jago , come a dire : ecco il Moro che è in lui , funziona. Otello è annichilito e perso , cade come un burattino snodato . Per Desdemona non c’è più appello.

 

L’ultimo atto è semplicemente splendido: dalla Canzone del,salice fino alla perfetta , incantata “Ave Maria” la Agresta inchioda il pubblico nel religioso silenzio del rito ( ma questi inglesi non applaudono mai ?) . Ci sta tutto il boato del pubblico !

Ha ragione Alberto Mattioli , l’applauso liberatorio è parte integrante dell’opera, già m’era mancato dopo il duettone , poi dopo il monologo di Otello….va bene il rigore , ma vorrei urlare un brava da loggionista., mi trattiene il rispetto ..per i’ascetica scelta del direttore.

Poi arriva Otello con la scimitarra curva, ultimo guizzo di Magreb nella lussuosa jellaba. . E dopo il sereno accarezzare il volto di una abbandonata creatura ( un colpo di genio , per me se lo è inventato da solo), l’ira feroce , la ricerca del mezzo , il rovistare tra i cuscini , tutto perfetto!

E il “niun mi tema” , con quel gesto finale a tradimento , veloce , col sangue che schizza sulla parete fino al rantolante ultimo bacio nel lago di sangue sono da Oscar.

Jonas ha fatto centro ancora una volta.

 

Poi ci ritorno quando lo rivedo e allora dirò tutto il male possibile dell’arrivo degli ambasciatori veneziani.. intanto ci aspetta la prova cinematografica.

 

Una riflessione

21 giugno – giornata europea della musica –

Devo alla bravura informatica di mia nipote Bea la pubblicazione , in ritardo , di questa mia breve riflessione. Non c’ è foto , non siamo arrivate a tanto! 

Mi piace pensare che in questa giornata infuocata in cui tante funeste notizie si rincorrono , con l’immagine dell’ennesimo terrorista a terra , questa volta a Brussels ieri a Parigi , in Europa oggi si pensi alla musica e lo si fa davvero perché capitata per caso un paio di volte in giro , una volta proprio in Francia e una volta in Germania mi sono trovata in mezzo a tanta musica , letteralmente per le strade.

A Parigi in ogni angolo giovani che suonavano : terzetti , piccoli ensemble , gruppi corali. Lo stesso a Lipsia e a Dresda . lo ricordo bene perché invece nel nostro beneamato paese in cui tanta musica nacque se ne parla solo alla radio e un po’ alla tv , nei canali dedicati.
Se qualche cosa avviene è sempre in tono nazional-popolare: in una terra che esalta Bocelli e i tre cosiddetti “tenorini” cosa possiamo sperare di più?

A scuola si insegna il piffero e se nasce una corale poi nel reperorio si gira sul falso Gospel ,quando va bene.
Ieri una signora non incolta nel chiedermi un parere su una simil stagione operistica nella mia città mi ha detto testualmente : ma io la Carmen l’ho già vista! come dire che sentirla un’altra volta le sembrava tempo sprecato .
Eppure l’immagine di Emmanuel Macron che entrava lentamente sulla grande Esplanade del Louvre con il sottofondo dell’Ode alla gioia delle Nona dovrebbe far capire qualcosa anche ai nostri poco volentierosi governanti .

La musica, la grande musica è parte determinante del nostro essere europei, per gli italiani in particolare è nostra la grande tradizione del melodramma in musica .
Anche se sembra una citazione a caso , pure fuori luogo se vogliamo, visto che oggi per darci una sploverata di cultura qualche buontempone ha pensato bene si mettere la poesia di Giorgio Caproni tra le tracce della prova di italiano nell’esama di maturità riporto questi pochi versi.
Alla Patria 
Laida e meschina Italietta 

Aspetta quello che ti aspetta

Laida e furbastra Italietta 
Giorgio Caproni