Del fare memoria

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In una recente intervista Jonas Kaufman ammette di avere una grande memoria e di essere capace in due o tre notti, sì perché pare che di notte gli riesca meglio, di studiare o di rispolverare un intero spartito.

Questa affermazione mi è tornata in mente leggendo una delle raccomandazioni che Umberto Eco faceva ai suoi nipoti e ai suoi allievi: non smettete di imparare a memoria le poesie, i le date, i luoghi geografici.
Esercizi ormai desueti e che invece sono preziosi per mantenere il cervello attivo anche col passare degli anni.

Nella mia esperienza di operatore teatrale nella scuola ho notato quanto il “fare memoria” aiuti poi i giovani anche laddove sembrerebbe non essere utile .

Non a caso i miei studenti/attori poi riescono meglio anche in quelle materie nelle quali l’esercizio della memoria non sembra essere fondamentale.
Per tornare a Kaufmann se ne elogiano tante qualità, non tutte legate alla sua splendida e particolarissima voce e faccio riferimento soprattutto a chi, un po’
per sminuirlo, ne loda molto anche l’avvenenza fisica, alla quale aggiungo una istintiva e strepitosa capacità attoriale oltre alla indubitabile preparazione musicale.

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Tutte pregievolissime qualità che nell’insieme formano lo “startenor” amato in tutto il mondo.
Ma nessuno si sofferma anche su questa dote , credo in grandissima parte naturale, che lui ha per la memoria.
Il suo vastissimo repertorio operistico , il suo destreggiarsi nella liederistica, anche laddove la memoria diventa un elemento di fascino aggiunto e la sua facilità nel passare da una lingua all’altra in una banale conversazione all’uscita dei teatri confermano che se la natura è stata con lui provvida di doni non ultimo e non meno importante è quella specie di banca dati mostruosa che ha nella testa, oltretutto ben ornata di piacevoli ricci.

A mia memoria , e ormai lo seguo da un certo numero di anni, l’ho sentito una sola volta sbagliare ed è stato il meraviglioso siparietto durante il “nessun dorma “ alla Scala.

Gli facciamo venia per l’emozione , per la stanchezza dell’ultimo bis, ma ancora “chapeau “ per come è riuscito a riprendere l’aria in un modo strepitoso reinserendosi a tempo nella romanza, quasi fosse stato uno scherzo preparato.

Poi a ben pensarci anche a Vienna una volta si è scordato uno dei Wesendonck lieder, meno male, anche lui in fondo non è del tutto un alieno!

La Bustina di Minerva

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Nei miei anni verdi leggevo l’Espresso: appartenevo a quella borghesia che trovava nel settimanale quello che avevamo prima trovato nel mitico Mondo, cioè una rispondenza culturale che ci appagava e nel leggere quel settimanale la prima cosa che facevo era correre in fondo per godermi la Bustina di Minerva.
Fu così che Umberto Eco entrò nella mia vita, attraverso quegli elzeviri intelligenti che forse in qualche modo mi facevano credere di essere un po’ più intelligente e un po’ meno appartenente al piccolo mondo nel quale vivevamo.

Erano gli anni in cui avevo poco tempo per la lettura, i figli piccoli, la casa e la politica che nonostante tutto facevo per non sentirmi rinchiusa nel ruolo di moglie e di madre che mi era sempre sembrato un po’ stretto, mi lasciavano poco tempo per letture più impegnative.

Ma alla bustina non rinunciavo, pochi minuti per allargarmi comunque la mente, un ossigeno per il pensiero mai banale che conteneva.
Il professore veniva spesso nelle Marche e l’ho anche incrociato da lontano nelle case di amici senza avere mai il coraggio da parlarci, da giovane ero molto più timida di adesso.

Lo ascoltavo però parlare di tutto, la sua intelligente arguzia lo faceva piacevolmente salottiero, ricordo la sua voce, la sua erre arrotolata, il suo parlare preciso, forbito ma mai dottorale.

Quando stamani la radio mi ha dato la notizia della sua morte ho sentito che se ne andava un altro pezzo di me, quest’anno in particolare mi pare che gli astri si accaniscano particolarmente con la mia personale dose di memoria .

Sicuramente il fatto di essere anch’io abbastanza vicina alla scadenza naturale mi fa più vulnerabile a questo tipo di notizie.
Poi il gesto naturale di andare in studio a cercare i suoi libri, per fortuna, perlomeni i romanzi erano tutti in fila, i saggi stanno un po’ sparsi per casa, li cercherò con calma,

Ho fatto una carezza al Nome della rosa, così consumato dalle tante mani in cui è passato, al Pendolo di Focault che mi ha regalato un’estate in barca in cui non vedevo l’ora di potermi ritirare a prua in pace per leggere, ma riuscivo a trovare Il cimitero di Praga .

Solito panico , a chi l’ho prestato? Poi mi sono ricordata che stava di sopra, in un’altra scaffalatura e ho sorriso al pensiero del video sulla memoria in cui Eco cammina sicuro nella sua sterminata biblioteca e a colpo sicuro trova il lbro che cerca.

Non mi è dato questo bene, io faccio la caccia al tesoro per ritrovare i libri che vorrei ritrovare.

Forse, in memoria del Professore, potrei cominciare a mettere in ordine nelle mie scaffalature.

Perché Sanremo?

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la prima sera l’ho visto perché una persona intelligente, nonché amico mio, costretto ad andarci per lavoro mi aveva spinto a curiosare in un luogo televisivo da me snobbato da sempre: poi, ma cercherò di spiegare il perché, ho finito di vederlo quasi tutto, se si levano le botte di sonno all’ascolto di alcune canzoni per me incomprensibili.

Inutile cercarci un filo melodico, un’idea originale. Niente, quegli sono stati i miei momenti di vuoto.
Poi l’ultima sera in effetti, dato che non avevo la surspence di sapere chi avrebbe vinto, durante la vacua declamazione di Renato Zero ho avuto un calo di zuccheri e ho deciso di chiudere la mia esperienza di telespettatore festivaliero.
Ma mi è rimasta la curiosità di capire perché tutto sommato io sia stata tante ore a vedere cose modestamente interessanti dal mio punto di vista e poi ho capito:
è il fascino della diretta!
Mi si dirà che è un po’ l’uovo di Colombo, sempre uno spettacolo “live” ha una forza superiore ad uno spettacolo riprodotto.
Credo poi che il frutto di quello che è sembrato un banale e lunghissimo spettacolo televisivo in realtà abbia avuto una regia ferrea ed impeccabile.
Niente affidato al caso, il ritmo non si è mai allentato, le entrate calibrate perfettamente in modo da non far cadere mai l’attenzione (salvo comunque alcuni momenti musicali per me davvero inutili).

Allora mi si dirà: ma sono le canzoni le protagoniste dell’evento!
Io ne dubito anche perché è dimostrato che negli anni non sono le canzoni vincitrici a rimanere nella memoria come altre che pur non avendo vinto invece sono entrate nell’orecchio per rimanerci anche col passare degli annni.

ed altro…

 

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Come al solito passo ad altro. Il mio blog riguarda molto relativamente le canzoni e il modo della musica leggera in generale.
Torno alla lirica , o meglio torno ad analizzare il comportamento delle povere ammiratrici del tenore momentaneamente mancante all’appello.
Ho già ampliamente sorriso sul photoshop sistematico: Il povero ragazzo spalmato dalle tazzine alle torte ,soprattutto incorniciato come immagine mortuaria tra i fiori. Se il ragazzo ha un po’ di spirito imparato dalla italica frequentazione è autorizzato a fare ogni sorta di scongiuri!.

Ma dove si è raggiunto il massimo è stato l’omaggio per San Valentino : per festeggiare l’amore la Chorégies d’Orange ha messo una bella foto del femminicidio di Carmen da parte di Don Josè.

Vive l’amour!

Un Riflesso

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Torno a parlare di fotografia anche se in realtà il mio è come sempre un discorso musicale. Mattino presto, casa, un giorno di sole: sento musica come al solito.

Passo distrattamente nel piccolo ingresso e mi colpisce uno strano effetto luce su un quadro.
La tela non è granchè, un modesto paesaggetto, appartiene al mio periodo pittorico : in effetti ho fatto di tutto negli anni, dopo la pittura sono venute le
poesie, poi i libri, il teatro, il blog e via via vivendo.

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La cosa che mi colpisce è un effetto di luce arcobaleno sul quadro, devo cercare da dove provenga quella luce e attraverso una ricerca sulle ombre la trovo in un prisma del lampadario al piano di sotto.

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Mi piace tantissimo questo cammino della luce che trasforma in maniera surreale una tela modesta e corro a prendere l’Ipad per fotografarlo .
Capisco però che si tratta di un effetto magico solo perché è accompagnato dalla musica, l’incanto non è il banale effetto rifrangente, è il momento dell’alzata del sole di Eine Alpen Sinfonie che sto ascoltando, “die sonnenaufgang,” l’alba.

Il sinfonia mi è particolarmente cara, in modo particolare legata al ricordo di chi mi regalò il CD.
Fu mia sorella Renata tanti anni fa: ricordo che durante un mio breve soggiorno a Firenze, assolutamente lontano dal mio compleanno lei tirò fuori questo disco dicendomi: un regalo di compleanno, quando ho sentita questa sinfonia a teatro ho pensato a te che ami la montagna e te l’ho comprato, così, per condividere.

Era fatta così mia sorella, aveva nei miei confronti dei moti gentili di vicinanza dell’anima , una vicinanza fatta di cose piccole e grandi, cose sussurrate e non dette.

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Ieri mattina la luce trasformata nei colori arcobaleno sul mio piccolo quadro , la musica tanto amata , i miei ricordi della montagna lasciati indietro come tante
altre cose della vita quando nel cammino degli anni ci si lascia indietro piano piano tutto un vissuto mentre insieme si resta legati anche a chi ci ha lasciato
,ma solo materialmente , mi sono sembrati un messaggio , una carezza dall’altrove , da quel “nowhere” da cui Renata ieri mattina mi salutava attraverso quel prisma che in maniera del tutto casuale si andava a rifrangere ul mio quadretto col magico effetto arcobaleno.

Banale considerazione sul mio blog: i miei carissimi lettori mi perdoneranno , ma se in questo periodo di astinenza musicale mi rifiuto di correre dietro ai patetici ricordi rispolverati che nei siti dedicati allo startenor fioriscono in abbondanza , resto attenta ai programmi , alle molte segnalazioni future e ricomincio a preoccuparmi : al solito il calendario in lontananza si infittisce e riprende la lotteria .

Non sarà che di nuovo qualcuno rimetta , come si dice , troppa carne al fuoco?

Non so fare i Selfie

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Lo confesso , i selfie proprio non li so fare : probabilmente il mio braccio è troppo corto , la tecnica di posizionamento rispetto alla mia immagine sbagliata , certo è che se per qualche momento di demenza ci provo poi cancello di corsa l’orrore che ho provocato .

Eppure ho sempre amato fare fotografie, anzi ho sempre avuto la passione anche per le macchine fotografiche e senza essere un vero esperto fotografo qualche volta per caso le foto mi sono venute pure belle .

Adesso poi se ne fanno di valide anche con uno smartphone anche se comunque a teatro ricorro ancora a qualcosa di più adatto : la mano che trema nello scatto non si addice al palcoscenico .

Forse è una questione generazionale , basta avere trent’anni meno di me e vedo delle persone ( anche i miei figli ) capaci di selfie anche divertenti.

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Pure il mio cantante preferito li fa con allegria con le mie care amiche attempate , tanto lui viene sempre bene!
Ma dove , selfie a parte, la mia incapacità diventa orgoglio è quando la mia ritrosia diventa una scelta etica.

Certi selfie con le cose che abbisognerebbero di pudore sono contenta di non saperle fare e in questi giorni sono veramente scandalizzata dal selfie con la mummia del santo perché qui si rasenta , forse involontariamente , l’orrore.

Ricordo che una volta durante un bel viaggio culturale in Polonia in cui scattai tante bellissime foto al momento di entrare sotto la terribile insegna Arbahit macht frei di Auschwitz misi la macchina in borsa e di quellla visita ho tanti ricordi emotivi , ma nessuna fotografia.

La memoria ha bisogno di silenzio e in certi momenti anche il clik può diventare un rumore di troppo.
Per chiudere questa breve riflessione sull’uso della fotografia penso a tutte le torme di turisti sul vaporetto a Venezia che non vedono più niente che non sia filtrato dall’obbiettivo di qualunque apparecchiatura riproducente .

Sicura che per vedere cosa hanno realmente visto molti di loro devono tornare a casa e guardare con nostalgia tutto il loro materiale digitalizzato.
Per molti la memoria è già diventata un dischetto o una pennetta USB.

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dalla Carmen alla Khovanhschina

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Glielo dovevo un pezzo tutto per lei: quando sono andata a Londra per sentirla nella Carmen e lei molto gentilmente mi ha ospitato in camerino dopo la rappresentazione avevo tante domande da farle, purtroppo però eravamo in tanti intorno a lei e soprattutto c’era un esperto melomane con il quale sono salita in ascensore che evidentemente la voleva tutta per sè così che l’intervista che avevo in mente è rimasta lì, buona per la prossima volta.

Ma un pezzo tutto suo nel mio blog glielo dovevo anche perché mi è bastato mettere un suo straordinario momento della Sposa dello Zar sul mio profilo Facebook per avere tante condivisioni e tanti “mi piace” per confermarmi quanto questa straordinaria cantante sia amata e ammirata.

Da quando poi mi ha dato la sua amicizia vedo le sue foto, diciamo così, più private che mi raccontano di una donna piena di amore per la vita.

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La sua casa attuale fotografata con affetto, il fiore sul tavolo, la pioggia per le strade di Amsterdam, i suoi ritratti .
Anita ha un volto bellissimo incorniciato da un’enorme chioma di capelli neri, la sua figura è imponente e flessibile ed è ancora incredibilmente giovanissima nonostate i tanti successi raccolti in tutto il mondo .
Ho già scritto quanto mi ha colpito la vastità dei suoi armonici, la vertiginosa capacità di salire e scendere tra le note con una morbidezza tutta particolare.

Se Carmen è un suo ruolo naturale io però la trovo veramente grandiosa nel repertorio russo al quale lei evidentemente è portata per la sua origine georgiana.

Oltre alla sua interpretazione nella Sposa dello Zar, veramente da brivido ho anche avuto modo di sentirla al Met nel Principe Igor due anni fa.
A Salisburgo, durante il festival di Pasqua l’ho sentita nel Requiem verdiano e anche li la sua profonda voce calda mi ha commossa confermandomi la vastita e la qualità del suo repertorio.

A conferma del quale poi devo dire che la sua Amneris nella rappresentazione di apertura dell’Aida di quest’anno era sicuramente la prestazione più prestigiosa di tutto il cartellone.

Fra i tanti pregi di Anita c’è anche quello di non cantare in italiese, come dico io di certi cantanti dell’Est europeo, la sua dizione è chiara e pulita, forse questo le viene anche dall’avere studiato alla scuola di canto della Scala.
Poi c’è un lato del suo repertorio che mi diverte e invito i curiosi ad andare a cercare il suo cotè, per così dire segreto dei suoi concerti jazz e non solo, su YouTube c’è anche una sua bellissimoa interpretazione di un pezzo di Astor Piazzolla: la ragazza non finisce mai di stupirmi.

Adesso è in Olanda e prepara il suo debutto in Khchovanshina, non ce la faccio a seguirla anche lì, spero solo che l’opera venga registrata, anche se non è la stessa cosa …..

Mi sento di volerle bene, è strano come ci si affeziona ai cantanti che amiamo: io ne ho una piccola serie nel cuore e Anita Rashvelishivili è abbastanza in alto in questa mia graduatoria di amori musicali.

Tanto che ho imparato a scrivere il suo nome senza sbagliarmi!

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Il magico viaggio d’inverno di Schubert

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Qualche tempo fa parlando con una mia insegnante di madrelingua tedesca il discorso è caduto sui nomi composti degli alberi e con mio stupore (non sapendola amante dei Lieder) lei ha cominciato a canticchiare l’aria del Lindenbaum, forse il più famoso Lied della Winterreise: meravigliata le ho chiesto se le piacesse Schubert e lei mi ha risposto che quella era un’aria popolare che lei ha sempre cantato, non la conosceva affatto come Lied.

Questo piccolo episodio mi è tornato in mente mentre leggevo il bellissimo libro di Jan Bostridge Il viaggio d’inverno di Franz Schubert; giustamente sottotitolato anatomia di una ossessione. In realtà il libro è talmente affascinante che pensarlo solo come una, per quanto dotta guida all’ascolto della Winterreise, si può finire per sottovalutarlo.

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Un altro piccolo episodio casalingo: due anni fa ero in terrazzo al sole e la mia fida collaboratrice domestica stava spazzando il terrazzo dalle foglie del glicine.
Io ascoltavo un’incisione pirata (voce, pianoforte e tosse) del famoso ciclo che mi era arrivata via Fb da Vienna cantato da JK in una interpetazione particolarmente struggente.

La signora si era fermata incantata con la scopa in mano e l’aria intenta: non conosceva sicuramente la musica e non capiva una parola di tedesco, ugualmente però quelle note limpide, ferme e tristi l’avevano inchiodata all’ascolto.

Questo ciclo di Schubert ha in sé qualcosa di magico che trascende sia la conoscenza del testo che quella musicale e arriva al cuore e alla mente in un modo misterioso e indelebile.

Il bel libro di Bostridge è pieno di notazioni, inquadra storicamente la genesi del ciclo di poesie di Müller e di conseguenza la messa in musica da parte di Schubert delle medesime.
Pieno di riferimenti storici e letterali è il classico prodotto di una cultura anglosassone che consente una lettura piana e non erudita senza perdere il fascino avvincente di ciò che racconta.
Ci sono anche belle e raffinate illustrazioni che completano, per chi lo vuole, l’approfondimento circa il complesso periodo storico del primo ottocento a Vienna e non solo.
Ho ascoltato dal vivo Bostridge a Vienna in un bellissimo War Requem di Britten al Musikverein, è un cantante molto apprezzato dalla vocalità limpida e con una tecnica perfetta.

La sua esecuzione della Winterreise che ho ascoltato solo su YouTube invece mi ha purtroppo leggermente delusa: il mio orecchio abituato a tonalità più bronzee mi ha confermato che la voce di baritono (vedi Fischer- Dieskau) è la più vicina la mio gusto anche se il miracolo Kaufmann consente di coniugare la vocalità di tenore a quella che poteva essere l’interpretazione originale di Franz Schubert del suo ciclo: ma chissà come era l’esecuzione originale dell’autore in un salotto viennnese davanti ad un gruppo di amici, con l’accompagnamento di un pianoforte verticale! ….una curiosità che non potremo purtroppo mai levarci.

Consiglio questo libro a tutti coloro che non conoscono la magia ed il fascino della liederistica, un mondo raffinato e ahimè molto poco considerato nei paesi fuori della cultura germanica.

Ringrazio l’amica che scannerizzando la bella recenzione di Giovanni Gavazzeni su Repubblica mi ha spinto ad entrare in libreria a comprare il libro.
Ho passato giornate felici leggendolo e contemporaneamente ascoltando la mia Winterreise con tanto di affettuoso autografo in copertina.

E mi sono anche ricordata quel magico momento alla Scala, citato anche da Gavazzeni quando alla fine del ciclo, perso nel nulla il grido silenzioso del Leiermann, con un Kaufmann immobile nello sguardo perso, il teatro tutto si è fermato in quel silenzio magico che solo nei momenti sublimi sfocia dopo un tempo lunghissimo nell’applauso ad un tempo liberatorio e commosso complice di tanta emozione che il magico ciclo liederistico ci aveva lasciato.

Pare, ci conferma Bostridge alla fine del suo libro, che succeda regolarmente ogni volta chela musica si spegne nel silenzio finale.

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… è la solita storia…..

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Se qualcuno ha deciso di tenere un blog eminentemente su Jonas Kaufmann ha il suo bel daffare ad interpretare i suoi messaggi e le sue azioni.
Esce un articolo a firma praticamente della sua segretaria nel quale durante una conferenza stampa dichiara che deve tirare un po’ il freno: traduci “devo riposarmi di più e cantare di meno”.

Dice anche che le sue fans gli devono stare un po’ meno sul collo, che anche i siti dedicati si prendono un po’ troppo cura di lui. Insomma: devo riposare le mie corde vocali anche nel vostro interesse e quindi devo anche ritrovare un po’ di tempo per il mio privato. Grido finale: lasciatemi in pace!
Intanto il folletto canterino se ne va a Palermo zitto zitto ad incidere un nuovo Cd così che il mercato autunnale abbia di che ben nutrirsi della sua voce (e la Sony dei suoi proventi), poi corre a prendersi l’ennesimo prestigioso premio a Londra, che in ultima analisi sono due perché anche nell’Aida di Pappano chi la fa da padrone è ancora lui.

Nuovo trofeo, comincio a pensare che nella nuova casa HI tech non ci siano abbastanza mensole e che come dichiarò un noto divo di Hollywood forse alcuni dei suoi molti trofei saranno finiti anche sulla mensola del bagno.
Poi mentre NewYork sotto la neve attende invano il nostro eroe (credo che i bookmaker avessero alzato di molto le quote circa la sua partecipazione al concerto della Carnegie Hall)la povera Opolais prova col Cover, tanto comunque la Manon va in scena come da calendario!

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Intanto ieri si annuncia un prelibato programma per il 2017 al Barbican Center di Londra. Kaufmann in residence, beato chi ci andrà!
Il sito official è abbastanza avaro ma l’unofficial arriva all’America latina e ci sono i rumors a proposito di uno Chenier a Monaco in autunno, tanto per restare in allenamento.

C’è poi il fantastico Lissner che precorre le ère …Kaufmann nei Contes di Hoffmann, Kaufmann nel Lohengrin, Kaufmann nel Don Carlos, versione originale francese…..e poi e poi l’Otello con Pappano, il Tahnnauser non si sa con chi.

In fondo alla strada c’è anche il mitico e intelligentemente messo sullo sfondo incontro con Tristano, i cinquanta anni sono ancora lontani e se le corde vocali lo assistono ci dovrebbe arrivare allegramente.
Solo che….i casi sono due: o le fans smettono di blaterare supposizioni su supposizioni senza avere capito niente del messaggio in bottiglia lanciato dal Nostro o lui finirà per odiarle tutte.

Quello che conta davvero è che si fermi perchè i suoi mirabolanti progetti finirànno per essere anche un elenco di cancellazioni, di illusioni perdute e alla fine di tutto anche di un allontanamento prr stanchezza del suo adorante cerchio di ammiratori / ammiratrici. Poi i concerti da recuperare dove li mette? Forse li annulla addirittura. Nella male interpretata intervista lui dice chiaro che non sono i soldi che gli mancano, ormai potrebbero bastargli per tutta la vita ma, e qui sta la vera chiave di lettura del messaggio, a lui piace il lavoro che fa, è nato per cantare e lo vuole fare nel pieno delle sue capacità.

Oggi quelle capacità si sono leggermente incrinate , se ne accorge prima di tutto lui e anche un po’ la critica meno vittima di piaggeria.

Buon riposo Jonas, sto ascoltando i tuoi dischi, la tua voce mi fa comunque compagnia.
Intanto continuo a sperare in cose nuove future, ognuno ha il suo sogno e mi pare impossibile che amando così tanto il Bel paese non ci siano progetti dalle nostre parti.
Io ne avrei uno fantastico, che perseguo con tenacia e c’è un stupendo spazio lirico che lo aspetta prima o poi anche nelle Marche. Regione affascinante e piena di sorprese, di mare pulito e di ricchissimi musei poco frequentati e di ottima cucina.
In fondo da queste parti potrebbe anche venire a riposarsi, tra un volo e l’altro.

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Il Fascino Polacco

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La prima volta lo avevo notato in una bellissima messinscena dell’Onegin del Bolshoi quando avevano fatta una tournèe a Parigi nel 2008.
Quell’Onegin giovane e diverso dai soliti cupi stereotipi del personaggio, molto più sanguigno e disperato ma al tempo stesso violentemente passionale e vittima di sé stesso mi era rimasto nella memoria.

L’azione tutta in una stanza, mi erano saltati tutti i punti di riferimento caratteristico: niente boschetto, niente neve, niente balli. Fu lì che incontrai per la prima volta anche un regista di grande talento: Dmitri Tchermiakov di cui ho visto cose belle e una meno bella, infatti non sempre si riesce a centrare l’obbiettivo!

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In quel caso un insieme perfetto: personaggi anche minori, tutti credibilissimi e quell’Onegin sconosciuto mi aveva colpito: poi in seguito seppi molto di più di quell giovane e soprattutto lo ritrovai con Jonas Kaufmann a Londra nel Don Carlo nel ruolo di Posa.
Mariusz Kwiecien è un baritono polacco ormai lanciatissimo, praticamente adesso sta di casa al Metropolitan dove ha cantato un altro Onegin con la Netrebko e adesso è nei Pescatori di perle con la Damrau.
Quando l’ho incontrato a Monaco, affabilissimo con tutti (eravamo un gruppo di italiani) ci ha detto che verrebbe volentieri in Italia, anzi esattamente a Palermo perché avendo interpretato il Kròl Roger di Karol Szymanowski a Londra sarebbe molto incuriosito dal cantarlo nei luoghi dell’azione …chissà..

Un bel viso mobile, un corpo atletico e compatto con una voce potente e morbida, direi che compensa una notevole presenza scenica anche se non è altissimo.

E’ stato anche un seducente Don Giovanni sempre a Londra ed è di quei nuovi cantanti che non disdegna di mostrare i muscoli tanto che la stampa inglese non ha esitato a definirlo sexi.

Questo pezzo lo dedico ad un amico che spera di sentirlo dal vivo, chissà che prima o poi non riesca davvero a trovare la strada dei nostri teatri.

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Manon Lescaut , variazioni

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Quando il dedicatario del blog si ammala e salta tutti gli appuntamenti diventa difficile scrivere di lui.

In attesa di un suo ritorno sulla scena o semplicemente un suo ritorno tra i mortali le sue affezionate seguaci recuperano vecchie foto, antichi frammenti su You Tube, archeologi reperti della sue prime esibizioni.

In cotanta miseria… (cftr Chenier) mi sono divertita a confrontare le due diverse messiscena della Manon, non per fare paragoni ma per capire quale dei due allestimenti ha reso con più sensibilità il difficile rapporto tra la storia narrata, la musica e lo stato d’animo che le accompagna: dirò subito che per me non vince un allestimento sull’altro.
Stranamente è come una valutazione alla pari: dell’allestimento londinese di McVicar sono molto validi i primi due atti, con assoluta predilizione per il secondo.

Dell’allestimento di Neunfels gli ultimi due sono decisamente perfetti: dalla scena quasi nuda dell’imbarco verso quel buco nero angoscioso del destino futuro fino alla landa vuota dell’atto finale.

Con ciò si dimostra quanto sia difficile pure elaborando un’idea originale riuscire poi a mantenere lo stesso phatos e la stessa coerenza durante tutta la rappresentazione.

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Ovviamente la coppia di cantanti, ben affiatata e preparata da Pappano rende ugualmente la drammaticità della storia in ambedue i casi, ma se non tutte le ciambelle riescono col buco a maggior ragione questo si può dire quando si tratta di maneggaire una materia così delicata come la rappresentazione di un’opera lirica.

In tempi di regie soffocanti, di stravolgimenti quasi offensivi ( e quest’anno per me la lista è abbastanza nutrita) queste due Manon, ciascuna a modo suo, sono decisamente di ottimo livello.
Adesso ci resta da vedere la terza, ovviamente in video perché andare al Met oltre a essere decisamente costoso, per me rappresenta come una roulette russa circa la partecipazione di Kaufmann: undici repliche ….sono tante e la tendenza a stufarsi del nostro è nota: poi a NY fa freddo d’inverno e il raffreddore è sempre in agguato.

Ho trovato un cinema in Toscana, forse andrò a vederlo la. Il giorno dello streaming generalmente non si ammala.

La visione del promo di Richard Eyre non è entusiasmante: l’allestimento non nuovo viene da Baden Baden e la scena mi è già sembrata troppo carica di scale sbilenche tipiche delle scene di questo regista.
La meravigliosa musica per fortuna è talmente amata che anche in forma di concerto riuscirebbe lo stesso a commuovermi.

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Il Tenore Biondo

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e tre. …Ogni promessa è debito sul mio blog: avevo detto che avrei parlato

anche di cantanti preferiti che non fossero solo tedeschi. Ecco quindi il mio tenore bello e bravo e non tedesco:

Pavol Breslik è slovacco. Io l’avevo incontrato una prima volta in video in un bellissimo Flauto magico trovato in rete dal festival di Baden Baden e poi quasi immediatamente perduto in una messa in scena di Robert Carsen particolarmente bella : un Tamino vestito di bianco, dalla voce chiara e sicura, con una notevole grazia di attore.

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Così quando a Monaco ho visto che era Gaetano nella Lucrezia Borgia sono corsa a sentirlo.
Incontrato poi in Marienplatz gli ho fatto tanti complimenti e lui garbatissimo e quasi stupito mi ha risposto un bel grazie sonoro.

Poi gli incontri sono stati anche altri: uno molto divertente a Berlino quando si è seduto accanto a me in platea all’inizio di Ratto al serraglio e pochi minuti dopo si è alzato e ha incominciato a cantare: io che ero proprio accanto a lui ho avuto l’emozione di essere centrata dall’occhio di bue ..in pieno.

Poi di questa gag abbiamo riso insieme l’estate successiva quando gli ho chiesto se non era stanco di cantare due opere a distanza ravvicinata e mi ha risposto: tanto muoio tutte le sere!

In effetti sia Edgardo della Lucia che Lensky dell’Onegini fanno tutt’e due una fine tragica.
Ci unisce anche la comune conoscenza con un amico italiano che vive a Vienna e che è un suo tenacissimo ammiratore, molte bellissime foto del’affascinante tenore sono opera sua.

Appartiene alla schiera di quelli che non se la tirano e il suo sito Facebook è pieno di foto di casa, della sua mamma, del suo giardino, delle sue vacanze.

Adesso è in Australia e si diverte a farsi selfie con tutti gli sfondi possibili di Sidney.

Una bella carriera, una voce che si rinforza e un po’ si scurisce, prevedo un successo duraturo per questo simpatico e bravo cantante che purtroppo ancora non mi pare abbia mai cantato in Italia.

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Una divina poco diva

unnamedProseguo a parlare dei miei cantanti preferiti e anche questa volta l’input mi viene da un bel documentario pomposamente intitolato Diva Divina.

Ebbene se c’è una cantante tanto poco diva è proprio Diana Damrau, una persona solare, felice di cantare con la quale ho avuto modo di parlare dietro le quinte in una serata dopo la sua Lucia di Lammermoore.

Avendola incrociata qualche giorno prima molto gentilmente si era ricordata del mio nome (Adriana è un nome che nella lirica si memorizza facilmente) e con un certo stupore da parte mia la sera dopo presentandomi alla porta degli artisti avevo constatato che lei si era ricordata di me, eccome!

Una grande voce , una tecnica impeccabile e una carica umana di notevole spessore.
Poi , ma questo la rende anche più simpatica, possiede anche una vis comica naturale che la aiuta nei suoi ruoli “leggeri”.

Quando le ho fatto i complimenti, sinceri, per la sua linea ritrovata mi ha anche confessato che quando si doveva vestire per la infausta Traviata scaligera prima di vestirsi le veniva quasi da piangere!
In questi giorni canta al Met nei Pescatori di perle e ovviamente nel nostro strampalato paese… patria della lirica non si riesce a trovare un cinema che riprenda lo streaming per il quale in altri paesi la gente mette su FB anche la conquista di un biglietto di sala.

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Veramente i nostri melomani parrucconi non hanno capito che anche al cinema si può godere di certi spettacoli che se non hanno il fascino dell’esserci hanno comunque la particolarità di essere comunque riprese in contemporanea.

Un distributore mi diceva che siccome ci sono gli intervalli veri e negli intervalli le interviste sono in inglese i nostri poveri melomani italiani non capiscono e ..si annoiano: povere patria!

Ma, digressione a parte, torno dalla bravissima e simpatica diva/non diva Diana.
Mi si può domandare perché io abbia questa predilizione per alcuni cantanti tedeschi. E vero, la lista è lunga: li trovo molto preparati, molto serii e nel caso della Damrau, ma non solo, dotati da una perfetta tecnica vocale e anche di una preparazione musicale completa.

Comunque prometto che di questi miei piccoli ritratti ne farò anche di cantanti di altra nazionalità.

La lista dei miei preferiti è lunga…

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