Concerto di Pasqua

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Giorno di Pasqua. Comincia col sole, freddo come in montagna intorno infatti c’e la neve, per ora anche un raggio di sole. Vado al Duomo per la Messa grande, mi presento molto per tempo infatti sto seduta e anche la mia amica Brigitte arriva presto cosi ci godiamo una messe cantata a livelli notevoli: la Nelsonmesse di Haydn, mai sentita, ma da ricercare perché notevole, ad alto livello, non a caso siamo a Salisburgo anche l’orchestra e il coro che poi riceveranno il pubblico ringraziamento da parte del vescovo. Molto orgogliosa del mio tedesco perché riesco a capire le letture (vabbè era un gioco facile, sapevo quello che leggevano), ma ho anche capito abbastanza bene anche l’omelia, il che vuol dire che le mie modeste cognizioni germaniche stanno migliorando.Romantica passeggiata al cimitero antico della chiesa di San Sebastiano. Ci sono sepolti il padre, la sorella e la moglie di Mozart, cerchiamo invano la  tomba di Haydn ma evidentemente mi hanno informato male, c’è invece la tomba di Paracelso. Poi piccola sosta al solito Hotel Sacher, spuntino per riscaldarci un po’ perché fa veramente freddo. Ce lo confermano i radi fiocchi di neve che svolazzano sui nostri vestiti. Vantaggio del freddo è la rarefazione dei turisti  che si aggirano rattrappiti nei loro piumini allacciati e comunque seguitano a non guardare se non attraverso ogni sorta di obbiettivo.

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Concerto di Pasqua: primo concerto per pianoforte e orchestra di Tchaikovsky con un virtuoso Arcadi Volodos e un grandissimo Daniele Gatti. Quando la musica è miele e l’animo vola felice, conosco ogni movimento credo da sempre e non mi accorgo che ad un tratto è finito! Guardo l’orologio stupita…quaranta minuti volati in un attimo…poi il bis. Sadicamente Volodos non ci dice cosa suonerà, un pianissimo, lentissimo dolce e non so assolutamente cosa sia…spero di vedere qualche faccia da musicista ma il pubblico impellicciato e impomatato di questo festival mi dà poche speranze. Se ero a casa lo avrei saputo. Nella mia testa ho sentito delle strane risonanze delle Variazioni Goldberg ma capisco di essere lontano, poi un decrepito vicino mi dice Scriabin, un altro invece (che poi si dormirà tutta la seconda parte ) mi dice “nobody know” e io che mi ero anche preparata la domandina in tedesco non riesco a sciogliere il mistero. Seconda parte : decima sinfonia di Shostakovich, anche stavolta il tempo mi vola. Gatti che vedo molto vicino di profilo se la canta praticamente tutta ed ha anche una mano sinistra che in alcuni momenti mi ricorda addirittura il mitico Claudio. L’orchestra si conferma di una compattezza e potenza di suono oggi veramente a vertici assoluti in ogni sua sezione, con una curiosità: una giovane donna alle percussioni, bravissima. Ma sono talmente tutti cosi bravi che alla fine Gatti abbraccia commosso stringendolo forte il primo violino, che ricambia l’abbraccio vistosamente commosso anche lui. Il pubblico invece non arriva alla sufficienza, un autentico cronicario. Raramente si riesce ad avere un fortissimo di tosse così ben strutturato in ogni cambio di tempo sinfonico!

Tornando in albergo sotto pioggerellina leggera penso che comunque mi sono regalata una bella Pasqua.

Giorno di pioggia a Salisburgo

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Piove su una Salisburgo piena di ombrelli, mattinata solitaria con doppio museo der Moderne. Il più nuovo bellissima architettura, dentro quelle robe che ora passano per arte, cioè quintalate di foto tutte uguali, allestimenti neon vari, video che trasmettono persone parlanti (se ti metti la cuffia). Secondo Museo der Moderne, gentile l’addetto che mi ha capito e mi ha offerto il secondo con l’aggiunta di due euro al Rupertinum con una mostra piccola ma strepitosa sull’espressionismo tedesco. Kokoshka, due disegni di Schele da urlo, Makart ed altri. Ovviamente senza catalogo e non si può fotografare. Ho rubato un paio di cose sul telefonino rischiando la fucilazione. A mezzogiorno vado a quella che era annunciata come prova d’orchestra omaggio per i membership: ovvero Peter und der Wolf, Pierino e il lupo per i poveri cristi stranieri (la più parte). Spiega Thielemann che l’orchestra è stanca perché la sera prima ha suonato Verdi…no comment. La voce recitante, una donna, leggo poi che è la figlia di Von Karajan, giustifica il perché. Poi con l’amica francese al Sacher a mangiare molto originalmente una Sachertorte con vista su Kaufmann che carinamente quando esce ci viene pure a salutare prima di calarsi un berretto col paraorecchi che gli assicura di sicuro l’anonimato per strada.

Photo: Bayreuther Festspiele

Photo: Bayreuther Festspiele

Concerto della sera, dirige Thielemann  la prima parte concerto per violino e orchestra di Shostakovich con un violino solista straordinario Nikolaj Znaider che suona un Guarneri del Gesù. Purtroppo forse perché’ era per me un primo ascolto non ho potuto apprezzarlo appieno. Sicuramente il violinista un autentico virtuoso, ma nella mia ignoranza musicale ho molto di più goduto la sua bravura in uno stupendo bis bachiano. Seconda parte la Patetica di Tchaikovsky e qui mi sono innamorata di Thielemann e della sua meravigliosa Sachische Staatskapelle Dresden. L’ha diretta con nitore, senza cedere ai manierismi cui vanno soggetti molti direttori che si buttano sul coté romantico dell’autore. Con secchezza direi, invece quasi pulendola dai manierismi ci ha dato una interpretazione mirabile e l’orchestra perfetta in ogni sezione, ma a me hanno fatto veramente impressione i fiati, era veramente una di quelle grandi orchestre che poi quando si ascoltano orchestre minori ci fanno l’effetto della musica in famiglia. Fine serata con amici francesi più un’amica bavarese che però parla anche italiano così mi sento meno ridicola in Austria a parlare solo in francese!

Buona Pasqua a tutti!

Requiem…a Samarcanda

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Mi è sembrato di arrivare a Samarcanda…il viaggio da Monaco a Salisburgo è stato una sorta di Camel Trophy perchè il tempo terribile di ieri ha rotto ponti, ferrovie e quanto potessi mai capire nel mio primitivo tedesco. Ma al momento del bisogno sorge in me l’istinto del condottiero e, arruolata una deliziosa giovane tedesca di nome Maria parlante un ottimo inglese, ho trovato un taxi turco (che poi in realta’ si camuffava da turco  ma era arabo) e trattando sul prezzo, spento tassametro, dato passaggio a graziosa interprete ho fatto, in un giorno di esodo pasquale neanche da Napoli-Pompei, il viaggio turistico della Baviera. Il finale travolgente ha visto il tassista appiedato che ha portato a mano la mia valigia nel centro della città (ovviamente da me guidato al grido di Mitte e Altstaadt) e, finalmente, nel pomeriggio inoltrato sono approdata ad un albergo abbastanza fatiscente.Jonas , quanti sacrifici si fanno in tuo nome…

https://youtu.be/L8btovG9Fgk

Ma tutti ampliamente ripagati dal più bell’ attacco di Hostias mai sentito in vita mia! Non che anche l’Ingemisco fosse da sottovalutare, ma facevo il conto di quante volte glielo avevo sentito cantare e sono veramente tante e forse ne conosco anche i minimi particolari del suo fraseggio inimitabile. Un Requem in smoking, con tante attempate signore in abito da sera, Jonas di profilo e spettinatissimo con un Thielemann che ha diretto Verdi come fosse Brahms e un coro dal linguaggio indefinito. Fantastica Anita Rachvelishvili, ma non ne dubitavo, il basso Ildar Abdrazakov con improbabile frack fantasia molto russo ha comunque una voce molto potente, del soprano Liudmyla Monastyrska posso dire che ho rimpianto Anja Harteros nel finale. Ho trionfato in un backstage nel quale non volevano farmi entrare ma ho trovato un avvocato difensore nella prussiana Marion Tung che mi ha fatto aprire il magico cancello e poi lei, proprio lei, mi ha chiesto di fotografarla con le sue amiche. Jonas mi ha tanto ringraziato per le fotografie di Corelli che gli ho portato da Ancona (ma forse le ha gia’ perse) e alla fine è apparso anche il mitico Delise che riesce sempre ad aggirare anche le asburgiche resistenze

Senza cena perchè  troppo stanca ho mangiato in camera un tramezzino dell’Air Dolomiti che avevo disdegnato dodici ore prima.  A domani, mezzogiorno prova d’orchestra e appuntamenti vari con amiche francesi. Buonanotte

Un ricordo di Manoel De Oliveira

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In volo da Bologna a Monaco. Mi danno un quotidiano e  leggo della  morte di Manoel De Oliveira. Il  grande vecchio, bellissimo e diritto nella sua fantastica vecchiaia era stato ospite a casa mia una sera quando l’assessore alla cultura un uomo colto  aveva organizzato una bella retrospettiva in onore del grande regista. La serata quasi improvisata aveva portato a casa mia tanta gente, il vecchio gentiluomo seduto a tavola mi aveva fatto tanti complimenti per i tagliolini con patate  e fagiolini conditi col pesto. lo aveva incuriosito la ricetta! In un elegante francese si era intrattenuto con tutti gli ospiti, nessun atteggiamento di superiorità o di impazienza. Un vero signore coltissimo e semplice. Mi pare che avesse già più di novanta  anni, ma la sua vivacità intellettuale non sembrava avere risentito minimamente il peso dell’età.

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Ho seguitato, con stupore e ammirazione a vedere altri suoi splendidi nuovi film dopo quella serata fantastica, mi piace ricordare il garbato gentiluomo seduto tra tanti giovani curiosi, mentre apprezzava incuriosito il semplice cibo, un esempio prezioso di educata signorilità, intelligenza e attenzione vera  al mondo che lo circondava. Il mondo del cinema perde un grande regista, il mondo perde un raro esempio di come si puo essere ad un tempo enormemente colti ed ugualmente semplici, a me resta il ricordo di un incontro eccezionale, uno dei rari incontri che segnano veramente il nostro cammino nella vita.

Bianco e nero vs colore

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Prima di  vedere dal vivo e di entrare nella cronaca dello spettacolo devo fare una riflessione di fondo per quanto riguarda la scenografia dei due allestimenti. La Cavalleria rusticana si svolge in Sicilia, è tratta da un racconto di un grande scrittore: Giovanni Verga, maestro del verismo in letteratura e racconta di una grande passione tragica, addirittura di stampo classico. Diverso il racconto dei Pagliacci, tratto da un fatto di cronaca nera che era realmente avvenuto in Calabria, regione molto  diversa per cultura e tradizioni dalla Sicilia.

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Source: Mandl/Getty Images Europe – Tutti i diritti riservati ©

Tutto questo per dire che fare in bianco e nero Cavalleria e tutto a colori Pagliacci  è probabilmente uno sbaglio  culturale  mentre invece sarebbe stato perfetto  il contrario. Cavalleria, quanto di più solare e colorato si possa immaginare, invece il fatto di cronaca criminale realmente accaduto sarebbe stato maggiormente credibile in bianco e nero. Ci ho messo un po’ per capirlo anche perché nell’insieme i due spettacoli sono realmente belli  ma c’era una perplessità di fondo che non riuscivo a focalizzare finché pensandoci molto non sono riuscita a mettere a fuoco il motivo della mia mancanza di convinzione.

Resta il fatto che ancora non ho visto niente dal vivo e che queste riflessioni “a freddo” sono frutto della visione di un paio di trailer trasmessi da varie emittenti austriache. Pronta, come al solito, a ricredermi su tutto, tanto per parlarne ancora un po’ prima di cadere vittima del sicuro Jonaseffekt…che mi colpirà come al solito!

L’inviato speciale

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Non è da tutti i blogger avere un inviato speciale o forse meglio dire un nostro agente…all’Avana. Di fatto ho potuto seguire antegenerale e generale di Cavalleria e Pagliacci grazie ad una splendida infiltrata reporter per caso che mi ha regalato emozioni e anteprime da fare invidia a tutte le più grandi testate televisive e giornalistiche. Andiamo con ordine: il mio inviato speciale  presente con attrezzatura Tv era  all’antegenerale riservata alla stampa e mi ha raccontato l’estremo rigore di Christian Thielemann che invece di  provare tre/quattro ore è riuscito a sfinire anche il coro facendolo cantare un numero incredibile di volte “inneggiamo al Signore risorto”.

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Il povero inviato speciale è uscito dalla prova “provato “, perdonate il bisticcio di parole, praticamente alle nove e mezzo di sera quando la prova ufficialmente doveva finire alle sei e mezzo. In tutto questo (la Santuzza di turno non ha cantato…per economia vocale) l’unico sempre saltellante e in forma il nostro amato Jonas che si permetteva addirittura di cantare tra sé e sé “voi lo sapete mamma” mentre il direttore faceva ripetere la frase musicale alla sola orchestra.

Qui sarebbe finito il reportage, ma il mio agente tenacissimo, grazie alle sue grazie è riuscita anche a entrare alla generale così peraltro si è goduta la rappresentazione senza dovere lottare con la sua attrezzatura ridotta tra mille inviati con attrezzature gigantesche di grosse emittenti internazionali. Non posso qui anticipare le valutazioni critiche sulla migliore o minore validità delle due diverse mise en scene, la critica ufficiale la faremo dopo avere visto di persona, posso solo dire che il nostro inviato era felice, anche perché in quel modo si festeggiava anche una sua importante ricorrenza, in effetti un bel regalo personale. Ha intervistato tutti…anche il Nostro, ma questo lo racconterà lei nelle sue cronache. A me sta solo di raccontare attraverso il mio blog le emozioni che l’Inviato specialissimo mi ha trasmesso tramite Messenger e che mi hanno  permesso di cominciare ad essere Salisburgo una settimana prima di partire!

Grazie Caterina!

Pensierini

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Vedo  in Tv dei bei documentari d’epoca sulla Scala di un tempo. Enzo Biagi intervista con il solito garbo e intelligenza Renata Tebaldi pettinata in modo incredibile con una corona di capelli simil-aureola cotonata, oggi inguardabile. Ma tono pacato del conduttore e la grazia un po’ mielata dell’intervistata mi divertono. Sorvolo sulle classiche domande: rivalità Tebaldi/Callas, sul momento in cui Toscanini le disse “voce d’angelo”, sul fatto che non si sia mai sposata e del segreto garbato dei suoi amori.

Ma ad un certo punto Biagi fa la domanda sui tenori e allora la Tebaldi ridendo dice la cosa più divertente dell’intervista: ma sono loro le vere prime donne, noi soprano siamo sempre le seconde donne! Qui ho la conferma di quanto pensavo da sempre e in modo particolare da quando seguo Kaufmann. In realtà le sue partners sono intercambiabili, come pezzetti di Lego più o meno preziosi, ma sempre sostituibili, anche quando sono nel ruolo del titolo. Se poi il tenore, oltre ad essere bravo, ad avere voce è anche un notevole attore e possiede intelligenza e versatilità abbiamo indubbiamente il Divo assoluto. Sulla spirito arguto del sullodato ci sono delle perle di ironia che forse qualche volta sfuggono. Lui non polemizza mai, non critica gli allestimenti, ma con sublime ironia manda messaggi subliminali. Ne cito due: l’abbraccio tutto insanguinato (smarmellatato) con Altinoglu alla fine del Werther americano mentre ci fa sopra una linguaccia e la foto con le tricoteuses dell’allestimento oleografico dell’Andrea Chenier nonché la perla ironica dell’intervista sui bottoncini “veri “ degli stivaletti di scena.

Per questo lo amo, non solo canta da dio, ma è anche notevolmente intelligente e spiritoso. In attesa dell’evento salisburghese: doppietta Cavalleria / Pagliacci cominciano a fiorire le foto di scena e soprattutto le dotte disquisizioni sul verismo in musica  ad uso e consumo di chi aldilà delle Alpi non si vede una Cavalleria all’anno come noi  nei teatri italiani. Vera curiosità rappresenta per me sentire Thielemann alle prese con questo repertorio, lui così teutonico nell’aspetto e nella direzione  dichiara nelle interviste che sfronderà le partiture dagli effettacci…del resto sarà una Cavalleria in bianco e nero. Però mi resta da vedere come se la cava con i Pagliaccci che a quanto pare saranno a colori. Non ci resta che attendere.

Mi è arrivato il pacchetto dei biglietti del Festival di Pasqua. Sono anche, ovviamente sotto ricatto, membership e mi viene dato in omaggio una prova d’orchestra! Speravo anche in un buon bicchiere di vino secco austriaco…informerò i miei lettori sulla generosità salisburghese.

Non toccate quel cappotto!!!

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Qualche tempo fa è apparsa su Facebook l’immagine della Franz Joseph Platz di Monaco con il bel teatro sullo sfondo invasa da pullman, auto e anche coppie di sposi sulla gradinata nell’atto di farsi le foto di rito: alla foto era collegata la richiesta di una petizione dei cittadini di Monaco perché la suddetta piazza fosse liberata da tutte le macchine e dai pullman che quotidianamente la invadono. Ovviamente ho aderito subito alla petizione che, mi fu spiegato, era aperta anche agli stranieri ma, e qui sta il divertente, sulla suddetta foto occhieggiava in primo piano Jonas Kaufmann con la faccia di chi appoggiava convinto la petizione. Allora io, per fare la spiritosa ed a uso e consumo di alcuni amici con i quali sorrido spesso dell’abbigliamento molto casual e molto poco up to date del nostro tenore avevo scritto, forse con quel residuo spirito fiorentino che ancora mi alberga in cuore:aggiungiamo un’altra petizione per comprargli un montgomery nuovo.

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Non lo avessi mai fatto! al grido I love this coat si sono scatenate le orde di ammiratrici del Nostro. Alcune hanno chiesto anche cosa significasse quell’oscuro nome che io avevo dato al soprabito e una diligente amica italiana ha dovuto spiegare la storia che a indossarlo nell’ultima guerra mondiale fosse stato il generale Montgomery, da lì il nome. Ho scoperto anche il nome con il quale viene chiamato in inglese e in America, ho scoperto soprattutto che degli idoli non si può ridere, neanche sulle abitudini minori, figurarsi se avessi parlato delle onnipresenti magliette Dolce e Gabbana delle sue estati, dei suoi golfacci dalle maniche slabbrate per il benedetto vizio che ha tirarsi su le maniche quando canta…

Dei miti non si deve mai parlare, se non per metterlo eventualmente tra i fiori o nel fondo di una tazzina con quelle straordinarie abilità che io invidio e che hanno alcune persone di fotoshopparlo in ogni dove. Sono sicura però che se avesse tempo di sbirciare su Fb il primo a riderci sopra sarebbe stato proprio lui, che di spirito e di intelligenza ne ha da vendere.

Conoscere la lirica

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Mi è capitato questa settimana di assistere a un incontro che, molto in teoria, era nato per avvicinare i giovani al mondo del melodramma e di averne tratte alcune conclusioni che voglio condividere.

Facciamo un passo indietro come nei romanzi d’appendice.Un anno fa invitata da un gruppo di giovani in un circolo operaio avevo accettato di presentare il mio primo libro di memorie musicali, per spiegarmi meglio mi ero portata dietro un paio di DVD e avevo inserito nella mia breve chiacchierata qualche brano della Tosca e di Carmen, raccontandone anche le storie. Devo dire che avevo giocato sporco perché sia la Tosca che la Carmen erano con Kaufmann, il che rendeva abbastanza credibili le vicende e questo era stato fonte di notevole successo. Alla fine del mio racconto i ragazzi presenti, attenti e molto presi dai racconti, mi avevano anche pregato di tornare presto a raccontare altre opere. Uno poi mi aveva anche detto, ma io questa canzone (sic!) la conosco, la cantava anche mio nonno… Per varie ragioni il secondo incontro non è più avvenuto ma mi è rimasta la sensazione che con un po’ di entusiasmo il racconto di un dramma in musica condito con un po’ di agganci anche storici e di belle immagini potesse fare ancora presa su persone molto giovani.

Fu così che feci la proposta di ripetere questa esperienza attraverso un’associazione di cui faccio parte e che è intitolata al Teatro delle Muse. Il mio progetto, troppo banale, fu bocciato e al suo posto fu chiamato un giovane critico musicale, musicofilo, colto e soprattutto amante di cantanti morti da un pezzo. Le conferenze, dagli ampollosi titoli accompagnati da tristissime slides di testi con foto di cantanti d’antan richiamano il solito pubblico dei frequentatori di conferenze, quelli per intenderci che avendo ormai l’età della pensione vanno a tutti gli incontri possibili che la piccola città di provincia offre. Qualche raro giovane universitario intrufolato per caso, forse perché fuori fa ancora freddo, durante gli inserti cantati giocava col telefonino…

Ma io che sono una inguaribile ottimista sono convinta che la lirica non è morta e che con un po’ di pazienza e di fantasia si possa ancora, attraverso le giuste modalità, regalare ai giovani un piacere che non conoscono e pensano anche di non riuscire ad apprezzare semplicemente perché ancora non è stato dato loro il modo di conoscerne il fascino sottile e da questo poi di cominciare ad amare quello che considerano qualcosa di morto e sepolto ed invece è parte fondamentale, come una sorta di imprinting nel DNA, della nostra storia.

8 Marzo: Donne all’Opera

Ripubblico assai volentieri dal sito http://www.noteinviaggio.it/  e ringrazio

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Una Mimosa per Cio-Cio-San

Avevano nomi antichi. Si chiamavano Amelia come la nonna, Elvira come la vecchia zia, qualche volta anche Aida come la verduraia, ed erano le grandi eroine della lirica. Forse non ci si pensa abbastanza ma l’8 marzo dovremmo ricordare un poco anche  loro.
Vittime lontane. Spesso finivano morte ammazzate, oppure abbandonate come Didone, morivano sfinite dalla danza come Elektra, in un letto di disperazione (…il ritorno dell’amore tardivo: è tardi!) come Violetta – forse la più vittima di tutte e la più vicina al cuore di tante generazioni. E se provavano a ribellarsi come Carmen una bella pugnalata finale non gliela levava nessuno.
Ricordiamole in questo 8 marzo, le nostre eroine della lirica.
Un rametto di mimosa non si nega a nessuno, neppure a quella indomita Tosca che “visse d’arte” ma ebbe il coraggio di uccidere Scarpia e poi di andare a farsi un bellissimo volo da Castel Sant’Angelo.


Ringraziamo la nostra amica e appassionata melomane Adriana Stecconi, che ci ha regalato queste righe. E ricordiamo il suo bel libro ”Melomania. Ovvero tutto finisce in musica”: un testo delizioso che parla di Donne e di Opera (Affinità Elettive Edizioni, 2014). Questo è il suo blog www.altrodime.it


 

Da http://www.noteinviaggio.it/

Ferite a morte

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Tutto era cominciato in autunno quando un gruppo di donne, funzionarie di Stato mi aveva chiesto se potevo aiutarle a fare qualcosa “di teatro” fra di loro. Le ho ascoltate e insieme abbiamo deciso per un reading tratto dal libro di Serena Dandini “Ferite a morte”.L’idea iniziale ha cominciato a prendere forma, si poteva fare per l’otto marzo, si poteva coinvolgere il Comune, si poteva tentare di fare qualcosa di diverso dal solito. Ho accettato, perché adoro il teatro, perché mi piacciono le sfide, perché mi piaceva vedere cosa avremmo potuto combinare con un gruppo di donne, all’inizio erano un po’ meno e poi sono diventate ben undici, mai state su un palcoscenico e abbastanza investite di ruoli ufficiali da non essere molto malleabili teatralmente.

La mia prima difficile scelta è stata quella di trovare dei testi brevi, di forte impatto emotivo (ma quelli lo erano un po’ tutti) da abbinare fisicamente , come voci ed aspetto alla non-attrici che avevo davanti. Devo dire che le prime prove, che si svolgevano in una bella sala della Prefettura all’ultimo piano con una vista mozzafiato sul panorama di Ancona mi divertivano molto. Arrivavo ogni volta davanti al gabbiotto antiproiettile del poliziotto di turno declinando le mie generalità e venivo guardata con sospetto: poi…ah, lei è la regista…e dopo controlli dall’altro venivo introdotta ai piani alti. Col tempo poi il saluto diventava sempre più cordiale, magia dei comici!, e mi invitavano ad entrare con tono quasi complice. Le mie, ancora non attrici, arrivavano sempre in ordine sparso. Alcune, commissarie di Governo qua e là nella Regione, altre impegnate in conferenze stampa: Antimafia, Pari opportunità non erano sempre tutte disponibili insieme.img012Bisognava incollare questi testi, bisognava farle entrare nei loro personaggi. Non è stato facile, anche se avevo davanti donne intelligenti, preparate, ma forse proprio per questo di non facile flessibilità. Certe volte tornando a casa pensavo con terrore di avere maltrattato, preso in giro , strapazzato persone per altri versi importanti e io con quella malagrazia tipica dei teatranti stavo lì a blaterarare: più forte, non ti si sente, non ti muovere così..cosà… Poi il progetto ha preso forma teatrale: gli ho dato una specie di regia. Le morte, tutte nerovestite dovevano essere già in sala qua e là nella platea, le musiche avrebbero creato poi l’atmosfera. Un po’ di mestiere ce l’ho e gli inserti musicali hanno fatto da collante e da differenza.

Così, grazie alla potente organizzazione dello Stato, siamo arrivate alla fatidica giornata: perfette mimose, programmi di sala, rigorosissimo mio controllo dei tempi anche con le maschere del teatro. Mi sentivo “ un uomo solo al comando”. In realtà proprio sola non ero perché ho avuto la fortuna di trovare un tecnico del teatro bravissimo che ha saputo giocare con audio e luci con molta perizia e professionalità, si chiama Stefano e d’estate lavora all’Arena di Verona, ovviamente siamo diventati amici. Così è avvenuto il miracolo: le mie attrici, tutte bravissime nella loro diversa fisicità, con le loro voci diventate magicamente altre, tutte calate nel personaggio hanno inchiodato per un’ora la platea , suscitando sorrisi, qualche risata e…perché negarlo, anche qualche lacrima di commozione.

Magia del teatro, “quelle della Prefettura“ sono diventate una compagnia teatrale. Gli applausi finali, provati e riprovati perché so che niente deve essere lasciato al caso, mi hanno riempita di orgoglio, anche questa è fatta ! mi dicevo tornando a casa col mio mazzo di fiori d’ordinanza ben stretto al petto.

Aida, cronaca di un successo annunciato

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Articolo di Caterina De Simone

Moltissimo si è detto e scritto e urlato sull’Aida trionfante eseguita a Roma lo scorso 27 febbraio.Forse sarà più utile riflettere su come si è pervenuti a questo risultato. Molto semplicemente intraprendendo un cammino fatto di lavoro instancabile e perfetta organizzazione. La registrazione del CD che presumibilmente uscirà in autunno e che è avvenuta prima del concerto pubblico ha dettato tempi precisi, ma il tutto è stato perfettamente gestito e coordinato da Antonio Pappano. Il clima di grande tranquillità da lui trasfuso nel processo di avvicinamento al gala, il rigore e l’autorevolezza con i quali ha sempre condotto le prove hanno fatto di questa Aida un gioiello per sé e con sé.

A sala vuota e quindi con un suono perfettamente proiettato, la sala Santa Cecilia ha visto giorno dopo giorno risplendere le vibrazioni degli archi, la meravigliosa scrittura orchestrale dei ballabili, la composizione perfetta di tutte le ingenti masse orchestrali e vocali.

Durante le prove si è risucchiati dall’ingranaggio. Capita così che la banda della Polizia di Stato, intimidita dal carisma di Sir Tony, segua le sue indicazioni quasi religiosamente, disponendosi in alto e ripetendo frasi qua e là. E lo splendido coro, preparatissimo e diligente, obbedisca ai comandi del suo direttore Ciro Visco il quale ha un rapporto di strettissima collaborazione con Pappano. Lo stesso Visco raduna con fermezza le sue soprano e mezzosoprano chiamandole “mie belle signore” per poi scendere in platea e valutare attentamente la loro prestazione.

E certo l’atmosfera di grande fiducia che si respira durante il processo creativo si riflette in primo luogo sui protagonisti. Anja Harteros esegue senza sforzo tutti i passaggi più complessi. E’ regale, maestosa ma allo stesso tempo fresca e appassionata. Non ha bisogno di ripetere nulla, come sempre arriva preparatissima alle prove ed è in totale sintonia con il suo Radames. Lo si vede anche dal modo in cui interagiscono fuori scena quando chiacchierano e scherzano seduti in sala uno accanto all’altra. Erwin Schrott poi ride di gusto e un istante dopo tuona “Radamès! Discolpati!”, mentre Ludovic Tézier fa il papà affettuoso dopo il terribile duetto del terzo atto con la sua figlia in scena Aida. In quinta l’Amneris di Ekaterina Semenchuk rivede alcune battute dell’arioso del quarto atto in un clima di grande vitalità. Come sempre Jonas Kaufmann non riesce a star fermo: va e viene, sale e scende e poi si arrampica dietro al podio per prendere la sua posizione al proscenio. E’ sempre a tempo, brillantissimo nei concertati, estatico come prescritto da Verdi in Celeste Aida e poi meditativo ed aereo nell’addio alla vita del finale.

L’Aida di Pappano è questa, non quella pur esaltante del 27 febbraio. Sta tutta nel divenire del processo creativo, nel ripetersi delle frasi, nell’armonizzazione di voci ed orchestra e nell’accordo totale fra tutti i soggetti del team artistico.

Caterina De Simone