Aiuto!

“Ci sono certi giorni in cui “ cantava Ornella Vanoni e ci sono giorni in cui mi arrendo alla ricerca della conferma delle password.

Ogni tanto un verme maligno si insinua nel mio pc e io mi sento quella persona decisamente fuori posto in questo mondo che tutto sommato è abbastanza idiota se ti ricordi la famosa parola perduta.

Purtroppo gli amati nipoti in grado di aiutarmi sono tutti più o meno lontani e poi anche se sono vicini mi trattano con impazienza perché dovrei essere più sollecita alle loro risposte , più attenta a proteggere la mia multiforme e inutile identità virtuale-

La morale è che io adesso ho perduto alcune funzioni abbastanza gradite per la mia vita e devo aspettare strane conferme che mi arriveranno entro un certo periodo di tempo per ritornare padrona delle mie facoltà perdute non so bene come.

Per fortuna ho vari apparecchi che dovrebbero essere integrati fra loro per cui sul telefono ho la funzione , idem sul tablet , i misteri gloriosi e gaudiosi al cui confronto il mistero del Graal è una cosa da deficienti.

Non ho molto da dire sul mio blog, questo è lo sfogo di una poveretta che si sente fuori posto in questo mondo nel quale non avevo neanche chiesto di entrare ma che ormai fa parte della mia vita.

Attendo conferme , passo e chiudo.

Un altro pianeta

Basterebbe il furioso attacco di Kiril Petrenko della fuga tra i lupi di Sigmund per farci capire quanto può essere diverso un momento musicale tante volte ascoltato.

Il concerto di fine anno da Berlino si stacca da ogni altro evento per la straordinaria qualità musicale sia dell’orchestra  che degli interpreti.

Un primo momento di perfetta musicalità ce lo regalano con l’Ouverture del Tannhäuser, perfetta e leggera , nessuna concessione a quel pesante “ritmato” riconosciuto anche in altre prestigiose interpretazioni.

Qui si vola , l’orchestra sorride al suo Maestro in un gioco di sguardi che lo schermo ci rimanda per la gioia  di riconoscere anche i volti dei prestigiosi suonatori. 

Poi il primo atto della Walküre , di cui ho già accennato al prestigioso incipit.

Pare che la musica scaturisca felice dal gesto del magico direttore , per il quale ho l’unico rimpianto per non averlo più a Monaco dove me lo sono goduto  per tanti anni.

L’opera in forma scenica l’avevo vista anche recentemente a Napoli e nessun gesto in più aggiunge niente alla bravura di Jonas e della apparentemente fragile Vida , anche se il ricordo di un nastro maligno che non si voleva scogliere mi riporta sempre a quel Sigmund lontano del Met nella pur pregevole lettura di Levine.

Sembra difficile a chi quest’opera l’ha interpretata tante volte dall’astenersi nel compiere gesti , anche se molto ironicamente Kaufmann nella divertente intervista siparietto dell’intervallo sottolinea con ironia che tutto sommato nel caso della forma in concerto si risparmia la fatica di estrarre Notung dal frassino.

La splendida forma del tenore e la dolcezza della sua Winterstürm non hanno eguali come non ha eguali la lunghezza del suo Wälseeeeee , ormai sono io che ci vado in apnea.

La Mikneviciute  ,che contende ad Asmik la palma prestigiosa di cantante baltica, ha grande voce e soprattutto grande presenza scenica , mi ero già innamorata di lei in Salome , spero davvero di rivederla in Italia , visto che ormai ha imparato la strada.

Mi è spiaciuto non sentire Zepperfield con il suo prezioso fraseggio , anche se ho di lui un ricordo proprio come Hurting in un analogo concerto da Monaco , il sostituto più giovane comunque è del solito altissimo livello della qualità berlinese.

Nell’insieme un grandissimo concerto , di quella qualità rara che solo in terra tedesca può venire offerta a tutti coloro che amano Wagner e che ogni volta , come nel mio caso , sembrano stupirsi per la grandezza del suo genio.

Un ultimo pensiero riguarda la Philharmonie di Berlino :l’hanno copiata tutti , ormai potrebbe essere invecchiata ma non è così, ancora la preziosità del suono che scaturisce da quella strana costruzione dovuta ad un ingegnere navale , quel suo essere stata eretta a ridosso del Muro è il più bell’esempio di gloria culturale imperitura dei Berliner e dei grandissimi direttori che si sono succeduti sul quel podio.

Capodanno di concerti

Nessun confronto possibile , siamo su pianeti diversi.

A Venezia il concerto, nato forse, per rispondere a Vienna , non c’è storia.

Luccica la Fenice di ori troppo recenti e per quanti sforzi faccia la Rai in collaborazione con la Fenice tutto resta un po’ meno importante.

Non si discute la bravura degli interpreti . la qualità musicale garantita da Fabio Luisi , dal dolcezza della voce di Eleonora Buratto , ma è la scelta banale dei “ campioncini “ di italica facilità a rendere tutto come sempre un po’ kitch per non dire paesano.

Vienna , che scende ogni anno in un girone infernale di banalità resiste suo malgrado grazie ai Wiener che fanno “ Capodanno” per tutto il mondo e anche se scelte sempre più decrescenti dal punto di vista della direzione (anche se il peggio non muore mai) ,quella sala infiorata che ricorda tanta gloria musicale , ci è passato tutto il mondo tra quegli ori e quelle cariatidi mantiene il suo fascino primario , anche in differita. 

E’ vero che , come dice un raffinato amico di web , altro che Maestro ! questo sarebbe un soggetto degno di un grande film sulla decadenza del nostro mondo iperconnesso e iperperduto di antiche glorie , ma la saliente magia dei Wiener nell’attacco in sordina di An der schönen blauen Donau vale sempre la pena per rinnovare il rito, non è un caso che ogni volta che metto piede nella decadente capitale un passaggio al Musikverein ce lo faccio sempre , tanto in qualsiasi giorno dell’anno lì si sente sempre il meglio musicale di tutto il mondo.

Contrasti

Tempo di feste , pubblicità e auguri ma mai come adesso la visione contrastante di luci e immagini patinate sembra stridere più del solito con le immagini che puntualmente aprono le news in televisione.

Dalle rovine di Gaza a quelle ancor più tristi sotto la neve dell’Ukraina fanno male al cuore e sembra quasi impossibile che si possa sopportare il confronto senza provare un brivido di angoscia.

Oggi non me la sento di parlare di torti o ragioni , di chi ha provocato e di chi si difende , non è questo il centro del pensiero che dovrebbe costringere tutti a essere indignati e partecipi di questo assurdo dolore del mondo che ci circonda.

Sembra invece che il senso della vita sia basato sulla rimozione , come se un velo di indifferenza sia calato sulle coscienze nel nostro pensiero basato sulla cultura europea e in generale su quella fetta di mondo super acculturato che non si concede più il sentimento della pietà.

Così sulle pagine dello stesso giornale ( di destra o sinistra sono uguali) convivono parallele le immagini bellissime della pubblicità più raffinata accanto alle immagini di macerie uguali e terribili nella lue accecante della Striscia e nelle brughiere innevate del Donesk,

noi guardiamo la pagina nell’insieme pazzesco e surreale di quello che rappresentano : una allucinante realtà.

Sarà per questo che in questi giorni particolari non mi riesce facilmente di reggere lo sguardo sulle notizie ricorrenti e addirittura ripetitive che inondano i teleschermi.

Non ce la faccio più a guardare quegli scheletri di case , quei brandelli di vita strappati alle memorie di chi ci viveva serenamente finché questa nuova follia di guerra ha bussato di nuovo tanto vicino alle nostre case.

Mi tornano alla mente i versi di Primo Levi : voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case … meditate…

Solstizio cristiano

Quegli esseri umani che sapevano a malapena di essere  tali e che vivevano con i loro animali  un tempo lontanissimo in un mondo abbastanza deserto vedevano con timore diminuire ogni giorno la luce e calare il sole dietro la collina con costanza e precisione. 

Poi una volta ( ma noi acculturati discendenti di quei piccoli uomini primitivi sappiamo bene che cosa era successo ), per un attimo il giro del sole si era fermato : stop  e lo avremmo chiamato solstizio d’inverno.

Ma quei nostri progenitori videro invece qualcosa di miracoloso perché passate le ore canoniche una lama di luce anticipò la venuta della vita .

Si illuminò dal fondo della montagna ed ecco pensarono che doveva essere nato Dio.

O fu Dio che decise di rivelarsi agli uomini proprio in quei giorni neri e pensandoci bene decise che sarebbe stato carino chiamarlo Natale ?

Sarebbe servito per raccontare agli umani impauriti  che ogni anno , in quei giorni bui sarebbe rinato un suo inviato , un figlio , che poi decidessero liberamente gli uomini come chiamarlo.

Questa storia è una interpretazione molto laica e sicuramente non ortodossa che proprio il 25 dicembre o giù di lì in una grotta dalle parti di Betlemme in Palestina si sarebbe incarnato il dio vivente e allora mi domando : ma proprio da quelle parti Dio aveva deciso da far nascere  li il proprio figliolo ?

Ci sarebbero sicuramente stati molti altri posti  nel globo terraqueo  più tranquilli di  quell’angolo di deserto poco appetibile anche perché non ci scorreva sotto neanche un filo di petrolio, ma tant’è, a Dio non piace pensare come gli umani e proprio laggiù fece nascere quel bambinello al quale non dette neppure tanti anni di vita e tante occasioni per regnare.

A noi resta solo la possibilità di credere a quello che scrissero un paio di evangelisti e altri apocrifi qualche decina di anni dopo lo strano caso.

Resta la possibilità di ricercare quella Fede nascosta fra le brutture di un mondo sempre più ateo e vuoto di amore magari cercando la tenerezza in un canto liturgico che ancora ci colpisce al cuore.

Lenny

Se bastasse un naso finto e una sigaretta perennemente in bocca per fare un grande direttore Bradley Cooper sarebbe un grande attore .

Se bastasse raccontare che Leonard Bernstein era bisessuale per credere di fare un grande scoop Maestro sarebbe un bel film.

Se cercare di imitarne i gesti di grande istrione , se facendo una colonna sonora solo americana si crede si rendere omaggio ad un grande musicista siamo proprio fuori strada.

Un biopic abbastanza scontato , con la solita storia strappalacrime della moglie che muore di cancro , il giochino ( facile ) del bianco e nero alternato al colore , tutte ruffianerie scontate e viste e riviste .

Valgono solo i cinque minuti dopo i titoli di coda quando si vede il vero grande direttore vivere a modo suo la musica , piccoli gioielli di chi ha negli occhi il ricordo delle sue lezioni di musica , incantevole l’esempio dei sette Ewig finali del Canto della terra per dirci che quella è la musica più bella che sia mai stata scritta , basterebbe quel suo giochino di dirigere con gli occhi al Musikverein per ricordarci il grande genio musicale di un uomo che poi a casa sua faceva quello che gli pareva e che tutto sommato non ci riguarda più di tanto.

Un film noioso , scontato e sicuramente sopravvalutato.

Io mi sono un po’ annoiata .

Un presepe alternativo

Le figurine intagliate nel legno , costo un dollaro americano ( che valeva mille lire ) , località di acquisto Betlemme in Cisgiordania .

Questo è il suo nome oggi , quando ci andai io si chiamava RAU , repubblica araba unita , ed era uno strano periodo in cui se entravi in Israele poi non potevi tornare indietro .

I visti sul passaporto permettevano strane entrate e uscite , noi venivamo da Damasco poi si tornava in Giordania.

Sembra un racconto di fantascienza eppure è tutto vero , avevo trent’anni e tornai a casa molto orgogliosa del mio presepe arabo che per quanto mi interessasse poco la geopolitica di quei luoghi pensai sempre di averlo comprato a Betlemme di Galilea.

Questi piccoli presepi gli arabi li intagliavano per i pochi visitatori cristiani che venivano in Terrasanta spesso in pellegrinaggio religioso .

Non era il caso mio , avevo un compagno molto avventuroso e noi giravamo da soli , magari rischiando anche strane avventure.

Quella volta viaggiavamo su un cargo e le tappe le decideva l’armatore , il mio presepe alternativo fu una delle poche concessioni al consumismo minimo che mi permisi.

Se oggi racconto questa storia è perché mi preoccupa l’idea che in Italia si possa considerare addirittura l’ipotesi di una legge ad-hoc che contempli l’obbligatorietà di un presepe regolamentare da farsi nelle scuole .

Allora come la mettiamo col mio presepe infedele? 

Ero passata dal Libano alla Siria , in ogni paese le stesse facce di beduini , la stessa miseria e le stesse ricchezze nascoste , per capirci serviva il francese e l‘inglese , un passo in qua o in la ed eri  in un altrove del quale mi piaceva tutto , gli odori e i sapori medio-orientali comuni.

Ho conosciuto un mondo diverso , sicuramente più libero nelle sue antiche strettoie , mi pare che il senso del  Tempo della Storia non abbia fatto molti passi avanti per l’umanità.

Una ricorrenza

Si tormentava Francesco di non riuscire a raccontare ai poveri infreddoliti contadini il miracolo della nascita di Gesù in una capanna , lui che a Betlemme c’era stato e stranamente quei monti brulli nei quali aveva trovato rifugio con i suoi amici che avevano scelto quella strana maniera di predicare il Vangelo vivendo tutti insieme e dividendo le poche povere cose con le quali avevano deciso di vivere glieli ricordavano davvero

Francesco , in quel dicembre del 1223 era anche contento perché finalmente il Papa aveva accettato la sua idea di vivere in quel modo povero e pieno di fede che lo aiutava ad accettare la miseria e la tristezza del mondo che lo circondava,

Allora ebbe un’idea , anche perché quei luoghi gli ricordavano tanto quella lontana Palestina nella quale era andato per cercare proprio da quelle parti la sicurezza di fede che andava cercando dentro di sé.

Si fece coraggio e chiese al signore di Greggio che si chiamava Giovanni Velito di potere allestire una specie di recita di quello che raccontavano i Vangeli , si fece prestare   una grotta abbastanza grande e chiese che ci portassero un bue e un asinello . 

Mise in mezzo una mangiatoia e siccome in quei giorrni era nato da quelle parti un bambino chiese alla mamma e al babbo di portarlo li , ben coperto s’intende , per raccontare in modo il più possibile realistico quello che lui sapeva essere stato il vero grande mistero della Natività.

E vennero i pastori , e vennero le donne del paese e gli armenti si avvicinarono. Ed ecco in quel dicembre 1223 , proprio ottocento anni fa a Greggio , nei monti reatini ,gli occhi stupiti delle genti videro realizzarsi il primo vero Presepe vivente.

C’era poi , guarda caso da quelle parti anche un pittore che si chiamava Giotto che volle fare quello che tanti anni dopo sarebbe stata una foto-ricordo e la bella rappresentazione trovò posto nel ciclo di affreschi della basilica di Assisi.

Una bella tradizione tutta italiana che si è un po’ persa nel tempo  oggi tutto luccicante di alberi e luminarie ma che io testardamente continuo a rispettare e ogni anno riapro le scatole dei personaggi del mio vecchio presepe e allestisco la mia piccola rappresentazione domestica , il Bambinello ce lo metto ovviamente per ultimo , proprio la notte di Natale.

Mangiarsi la scena

Rivedere sullo schermo un’opera vista dal vivo serve come promemoria ma non aggiunge niente all’emozione della visione dal vivo.

Però può succedere che un ottimo regista  alle prese con un finale aperto come quello scritto da Alfano dopo la morte di Puccini riesca ad aggiungere qualcosa di inedito alla chiusa della Turandot.

Libero da condizionamenti musicali  Claus Guth regala al finale una marcia in più e la si può apprezzare soprattutto vedendo la ripresa video.

Ovviamente bisogna tenere conto del materiale umano magico che ha a disposizione , due cantanti-attori del livello di Asmik e Jonas e allora il cammino psicologico della principessa , la suadente forza seduttiva di Calaf diventano un valore aggiunto che anche a noi spettatori attenti poteva essere sfuggito nello spettacolo dal vivo.

Sguardi timidi d’intesa , espressioni sfuggenti , strani avvicinamenti dei corpi portano alla fine eroticamente vittoriosa della coppia fino alla conclusione nella complice fuga finale , un capolavoro di irriverente freschezza.

Ho ripensato a quello che mi aveva raccontato la  Grigorian , conosciuta tanti anni fa a Roma e quando glielo ho ricordato nei fuggevoli momenti all’uscita degli artisti e lei mi ha rivelato che il suo papà , grande cantante lirico, era venuto a Roma per una intera settimana per aiutarla nella difficile impresa di interpretare Suor Angelica .

Evidentemente siamo di fronte ad una grande cantante che parte da solidissime basi musicali e credo che stavolta Kaufmann abbia trovato una partner veramente degna di lui ,soprattutto dal punto di vista attoriale , anche perché non è che gli siano mancate partner validissime , ma questa ha quella marcia in più che lui possiede per cui non si mangia la scena da solo ed è davvero un grande pregio poterli apprezzare insieme.

Sono in due a mangiarsi reciprocamente la scena e il finale di Turandot , versione Alfano , ne è la dimostrazione definitiva.

Al Konzerthaus

A Vienna si ha sempre solo l’imbarazzo della scelta e dopo la magica serata all’Opera ho passato il giorno dopo due ore di intensa gioia ascoltando un Oratorio di Mendelssohn che amo molto , anche perché lo si ascolta in maniera relativamente frequente anche in Italia.

L’Elias è un monumento musicale scritto da un uomo di fede che affonda le sue radici nelle parole del’Antico Testamento .

La figura drammatica del Profeta Elia è al centro di un monumento musicale che l’autore ha musicato aiutato nella trascrizione da un amico teologo : Jiulus Schubrig  e riprende la grande tradizione oratoriale di Bach e Haydn , non a caso fu proprio Mendelssohn che collaborò alla riscoperta della Passione secondo Giovanni di Bach.

Gli interpreti , tutti giovani e di alto livello musicale erano coadiuvati da un prestigioso  ensemble orchestrale francese fondato e diretto da un giovane direttore  Raphael Pichon che lo giudava.

Completava l’esibizione la corale dallo stesso nome Pygmalion e credo che ne sentiremo parlare ancora , in tutta Europa-

Moltissimi i momenti di pura magia musicale  tra i quali mi piace ricordare uno dei più celebrati .: l’aria 31 cantata dall’Angelo della seconda parte :” Sei stille denn Herrn,” la si trova anche facilmente su Youtube come la magica pagina corale nella quale il racconto biblico ripercorre la presenza di Dio che non è nell’acqua , né nel fuoco   ma si percepisce come un vento leggero. 

Abbandonarsi a questa musica credo faccia bene all’anima , sempre , ma in modo particolare in questi momenti bui del nostro tempo presente.

Il programma di sala annunciava il prossimo concerto : la Passione secondo Matteo di Bach… il cuore resta a Vienna per Natale.

PS. Passando davanti al Musikverein c’era l’annuncio del prossimo programma  “ le variazioni Goldberg” , altro non dico.

Il mio nome è amore

foto di Angelo Capodilupo

Da dove cominciare ? Le sensazioni e le emozioni sono davvero tante e piano piano cercherò di raccontare quella che è stata sicuramente una delle più straordinarie serate operistiche della mia vita.

Trovarsi a stare seduta sul bordo della poltrona , tutta tesa in avanti per sapere come va a finire la fiaba , come se non sapessi a memoria la Turandolt che mi accompagna dai verdi anni può sembrare un paradosso ma stavolta davvero mi è sembrato tutto nuovo : la grandezza e la novità della musica di Puccini , il popolo di Pechino , spesso nascosto a fare solo da colonna sonora , la magia di Jonas e Askim che si incontrano per la prima volta in una simbiosi perfetta e Claus Guth che quando ci azzecca è davvero un genio, a conferma che non esiste Inszenierung o regia tradizionale , ma solo il bello e il brutto e qui il bello rasenta la perfezione.

La musica di Puccini.

L’ultima opera di Giacomo Puccini è il regalo che il genio italiano ci fece dimostrando al mondo una evoluzione totale e un coraggio di sfidare se stesso con una musica che risente di tutto il nuovo mondo di suggestioni che vengono da echi musicali lontani dal gusto italiano.

Una musica secca e asciutta che richiede grande coraggio agli interpreti , spesso lasciati soli nel vuoto e che poi ad un tratto riprende i suoi slanci lirici eterni che aprono l’anima : dal “non piangere Liù” fino al famigerato “ nessun dorma” a Pechino stanotte , con quella sfida di un ragazzo incosciente che sente la vittoria vicina .

Una evoluzione tonale accompagna la storia fino a renderla davvero quella colonna sonora che mai avevo apprezzato così perfettamente come in questa occasione.

Se altre infelici serate sembrano mettere in dubbio il riconoscimento Unesco qui a Vienna abbiamo la conferma che quel riconoscimento ce lo meritiamo davvero.

Ottima anche la scelta del finale lungo di Alfano che permette di non acuire troppo il distacco dovuto alla improvvisa morte dell’autore, tanto che alla fine  il risultato del racconto funziona e convince.

La regia

Claus Guth ha scelto una strada che può sembrare provocatoria cancellando tutte le cineserie , i trompe-l’oeil e la grandeur zeffirelliana per riportarci al nocciolo della storia, affidandosi soprattutto alla fiaba di Gozzi.

Nel libretto c’è tutto quello che conta e che il regista ha rispettato fedelmente.

Un estraneo curioso e perplesso si aggira in un mondo di matti burocrati , con un tempo scandito e teste tagliate con rigorosa meccanica ripetizione.

Incombe però una strana figura femminile nel vuoto ,che lo incuriosisce e lo affascina , quasi presago di un destino che vuole domare si ribella , anche letteralmente , dai legami familiari e sentimentali; testardamente vuole e si vuole sfidare ed ecco che Calaf non è più quel vuoto manichino di una fiaba , ma un misto di Walter Von Stoltzig , un po’ Dick Johnson e poi… miracolo .., anche Tristano ,   tutto reso mirabilmente da un artista che non finisce mai di stupirmi e se in qualche attimo non è vocalmente perfetto riesce a servirsene per farlo diventare il tutto anche più vero.

Certi miracoli però avvengono solo se hai vicina una straordinaria creatura lunare, la Grigorian , capace anche lei di essere  talmente perfetta in un ruolo che sulla carta poteva non essere suo , ma che lei con quel carisma naturale che la pervade entra in scena e nel ruolo, impaurita ragazzina , terrorizzata dall’idea dell’uomo che in ere lontane struprò l’ava per cui l’unica risposta è il sangue di tutti quei principi che la vorrebbero , lei da cui quel sangue non scorre e che si rifugia in un mondo di bambole nel letto virginale.

Grandissima Asmik . tormentata vergine legata a quel letto baluardo e difesa , impaurita donna che ha paura di amare.

Quel sangue poi sgorgherà dal sacrificio di Liù e la scalderà fino alla resa erotica nell’abbraccio prima violento e poi accettato nella dolcezza quando Calaf mettendo nelle sue mani il proprio destino ne provoca la capitolazione.

Un colpo di genio registico , un particolare che mi ha fatto saltare sulla sedia : ecco Tristano! Un lampo nel momento in cui Calaf mette la propria vita nelle mani di Turandot ripete il gesto di Tristano in ginocchio davanti a Isolde.

La mia vita nelle tue mani , con il mio amore. Ho trovato la chiave della frase misteriosa di Puccini.

Il gesto di resa , Jonas Kaufmann porgendo il collo alla principessa di gelo mi ha riportato alla mente lo stesso gesto di Tristan nel primo atto quando si affida all’ira vendicatrice di Isolde : amore o morte, scegli tu.

Non so quanto di intenzionale ci sia stato registicamente , ma è stato , forse, un tentativo per dare una risposta alla nota misteriosa che Puccini lasciò senza spiegazioni.

Certo che una simile impresa , una sfida così impopolare la puoi tentare solo hai a disposizione interpreti capaci di “ recitar cantando” e Claus Guth sapeva di poter contare su Kaufmann e Grigorian.

Forse solo il personaggio di Liù resta un po’ mortificato anche se la bravissima Mkhitaryan ha voce e fisico perfetti ed è magistrale nel suo grido profetico quando , vittima sacrificale si offre a Turandot .” lo amerai anche tu!”

Di alta qualità tutto il cast , anche i tre micidiali ministri reggono bene nel difficile intermezzo comico  e sono davvero magistrali.

Il nostro bravo Armiliato dirige con sicuro mestiere cercando anche per quanto possibile di non sovrastare la mirabile compagnia di canto , tanto ci sono i Wiener.

In definitiva un risultato tanto diverso quanto eccezionale .

I due giovani felici amanti scappano ridendo alla fine verso un avvenire che potrebbe anche non essere sicuro e definitivo e a noi resta la speranza che avremo presto la fortuna di rivedere lo spettacolo in tv, io aspetto già con impazienza.

Milano 7 dicembre

Che dire di questa prima scaligera ? Un tuffo nel passato , ma non intendo quello del tempo di cui si racconta nel dramma .

Il passato di cui parlo io era nella messinscena tradizionale , un salto indietro quando i cori se ne stavano ben divisi ai lati del palcoscenico , quando le “trovate registiche “ erano tanto banali quanto prevedibili.

I cantanti lasciati ognuno al proprio estro , tanto la parte più o meno la conoscevano già tutti e forse per quanto gravato da un improvviso malessere il più aderente al personaggio risultava comunque Michele Pertusi che con grande mestiere è riuscito a portare in fondo la rappresentazione.

Meli nel ruolo del titolo ha qualche problema qua e là. Anche se può capitare a tutti la mezza stecca non gli perdono il gesto sempre uguale  “ da tenore d’antan”.

Lo stesso vale per Salsi , gli si confanno di più i ruoli da cattivo , qui altre sottigliezze avrebbe in serbo la musica per lui e forse non ne approfitta abbastanza.

Tra le due donne trionfa la Garanca, una che quando canta sa anche recitare , un po’ meno la grande voce ( sempre più profonda ) della Netrebko che ancora si mangia le parole e dichiaratamente si capisce che non sa bene quello che dice , ma per chi ama ancora i suoi  preziosi filati e la sua estensione vocale si merita gli applausi degli spettatori compiacenti.

Poco da dire , anzi quasi niente sulla scenografia , belli i costumi , più o meno banalmente copiati dai quadri dell’epoca . Effetto usato sicuro.

Avrei anche qualcosa da dire sulla prestazione orchestrale , i fiati non sono sempre all’altezza , coro invece sempre perfetto, come da tradizione scaligera.

Chailly contento , come al solito fa le scelte “originali” , come l’ha scritta Verdi e come al solito io ripeto che mi manca il primo atto, ma sono una vecchia noiosa.

C’è anche chi ha detto che durava già troppo , evidentemente la colpa non è del grande compositore , lui ha scritto uno dei suoi più grandi capolavori che  noi possiamo recuperare in  DVD di altri allestimenti a noi più cari.

Propongo infine una petizione per levarci di torno il duo Carlucci/ Vespa e non sono bastati i siparietti di Marcorè e Pivetti a rendere meno penosi gli intervalli.

Se volete capirne di più guardate la sobrietà dei commenti su ARTE, il resto è silenzio.