Manzoniana

Ci fu un momento in cui capìì la grandezza di Alessandro Manzoni , ma non fu ai tempi della scuola  , ai miei tempi si imparavano a memoria brani celebri : dai monti sorgenti alla vigna di Renzo ma quello che mi piaceva di più era il racconto della madre : scendeva dalla soglia di uno di quegli usci,….

Probabilmente era quello che drammaticamente mi piaceva di più recitare , da brava aspirante Duse ne ero conquistata.

Ma Manzoni non era in quelle letture scolastiche , nelle noiose parafrasi , nello studio nozionistico sulla vita dello scrittore .

Poi una bella estate in barca , il tempo dell’età media , allora feci la grande scoperta e cominciai a leggere molto di più su questo signore lombardo , ma molto molto europeo , con una mamma davvero ingombrante e una paternità abbastanza misteriosa .

Oltre al grande romanzo lessi di seguito La storia della colonna infame e cominciai a capire di più le contraddizioni di una mente piena di dubbi , di domande e poi anche di certezze difficili.

Mi piacque in quel periodo leggere anche un libro della Ginsgurg . La famiglia Manzoni  , molto meno un libro più recente sulla seconda moglie , mi è stato regalato e mi è sembrato piuttosto un instant book in vista del centocinquantenario  della morte.

Il suo grande libro , il primo vero romanzo italiano dell’Ottocento , quando nel resto di Europa erano tanti gli scrittori che riflettevano sulla condizione umana , fu forse erroneamente declassato a “libro da studiare a scuola “ e questo fatto insieme alle prese di posizione di Gramsci e in seguito anche di uno scrittore moderno come Moravia ,lo  allontanarono dalle nostre letture .

Ma io che sono una insalata- culturale- sentimentale lo amo anche per quel Requiem verdiano che fu eseguito in San Marco in sua memoria, Verdi che omaggia Manzoni , Manzoni che celebra Napoleone : una catena di pensiero che attraversa i secoli e la nostra cultura tutta.

La magia del silenzio

Ho aspettato con ansia lo speciale sulla mostra di Wermeer di Amsterdam annunciata con gran pompa dal Canale Classica , lo metto anche in registrazione  e  alla fine l’unica cosa che mi è venuta in mente di dire : tutto qui?

Intanto bisogna dire per  onestà che questa splendida mostra non è la prima che in terra d’Olanda aveva radunato quasi tutte le opere di Wermeer in giro per il mondo , infatti ero stata all’Aja nel  1996 al Mauritshuis per vedere una splendida mostra , quella sì davvero la prima ,che radunava due terzi di tutta la produzione del pittore .Probabilmente mancavano i tre della Frick Collection come hanno detto i valenti presentatori , ma il resto c’era davvero tutto.

Anzi c’era anche una bella mostra a Deft molto esaustiva  ( Deft Masters , Contemporaries of Wermeer) che introduceva con intelligenza il mondo della pittura contemporanea al grande pittore .

Ho ritrovato il catalogo , colto e bellissimo nel quale c’era anche il deplian della mostra di Deft  e , ciliegina sulla torta, una mostra su Friedrich al museo Van Gogh. Una tre giorni olandese che ricordo ancora con emozione. 

Ricordo anche di avere aggirato la rigida tempistica che permetteva di sostare ben poco davanti ai quadri da me furbescamente violata semplicemente facendo perdere le mie tracce nelle altre sale del ricchissimo museo.

Sono stata così , “bergottianamente” una buona mezz’ora in più da sola davanti alla Veduta di Deft,.

In questo speciale sulla mostra però mi è mancato un momento magico : tra le dotte dissertazioni di illustri personaggi mi è mancato il più bell’omaggio mai scritto sulla lattaia .

Lo scrisse Wislawa Sztymborska ed è intitolato Wermeer.

Finchè quella donna del Rijksmuseum

nel silenzio dipinto e in raccoglimento 

giorno dopo giorno versa 

il latte dalla brocca nella scodella

il Mondo non merita

la fine del mondo.

La differenza

Avevo scritto qualche giorno fa di un bel film che avevo visto da poco e avevo anche aggiunto che avrei comprato il  libro da cui era tratto per metterlo nelle letture estive.

Il libro l’ho comprato e appena l’ho aperto mi ci sono persa dentro e non ho alzato la testa fino all’ultima pagina.

Niente mette così tanta emozione come la parola scritta , in definitiva sapevo già tutto della storia , compresa la fine e quindi non era per questo che stavo divorando le pagine.

Un libro lo lasci all’ultima pagina , ma resta dentro con la forza dei sentimenti che ha suscitato , un bel film resta un bel film e basta.

Lo vedi , ti piace , ne apprezzi  tante cose : l’immedesimazione degli attori nei ruoli , la vista delle montagne ma il gusto sottile che può dare la pagina scritta è infintamente più sottile e appagante .

Forse quello che ho pensato oggi chiudendo il libro non è un pensiero tanto originale , però  è importante ricordarlo sempre: non è una gara tra due diverse forme di espressione dell’intelletto , è dichiaratamente la conferma della superiorità della parola scritta  sull’immagine , anche quando questa vive di vita autonoma.

Infatti si possono vedere bellissimi film ,magari tratti da libri modesti e la storia funziona perfettamente.

Ma quando la parola scritta ha dentro di sé una carica umana così viva e naturale che capisci quanto sia più importante leggere che vedere .

Forse i nostri giovani , nati nell’era dell’immagine non sanno quanto si perdono nel confronto.

Il libro lo lasci ma ti resta nel cuore , sicuramente anche se magari gli hai dato l’aspetto dei protagonisti del film ,restano a galleggiare nella memoria i loro pensieri , i loro caratteri con una forza del sentimento e del nodo alla gola che mi hanno procurato.

L’arte dell’addio

Premesso che non capisco niente di tennis , sport che ho sempre trovato un gioco molto elegante e misterioso per come si gioca e soprattutto come si forma il punteggio ( a questo proposito una mia cara amica tennista aveva perso vanamente il tempo per spiegarmi il complesso meccanismo del calcolo punti ) mi ha colpito leggere oggi che anche Nadal , uno dei grandi tennisti del nostro tempo ha deciso che sia venuto anche per lui il tempo del ritiro.

Già l’uscita del mitico elegantissimo Roger Federer aveva lasciato scie di rimpianto tra tutti coloro che ne avevano seguito la fantastica carriera e ora anche un altro splendido quarantenne pensa al ritiro.

Ho pensato intensamente a loro per analogia quando mi sono ricordata   di un mito di quella che fu un tempo una delle mie grandi passioni , la danza  ,una diafana danzatrice che  al culmine di una strepitosa carriera aveva deciso di uscite letteralmente di scena con un bellissimo canto del cigno : la sua fantastica  Signora delle Camelie di cui pochi giorni fa ripassava sul canale Classica un documentario relativo alla costruzione del famosissimo balletto.

Alessandra Ferri , sono parole sue , ha preferito uscire di scena nel momento della sua massima capacità di danzatrice e soprattutto della sua grande qualità di interprete .

Uscire dalla comune nel momento del massimo splendore non riesce a tutti , si ama troppo la scena , si ama o si crede di amare tanto il proprio ruolo nel mondo variegato della fama e forse non si coglie abbastanza   quel fascino sottile che lascia un protagonista o una protagonista che si fa rimpiangere .

La lunga carriera di Placido Domingo , un grandissimo tenore che ha dominato la scena nel secolo scorso non credo cha abbia allungato il suo mito passando , con evidente e inevitabile maestria scenica  e continuando a cantare nel ruolo di baritono ben oltre il limite che avrebbe dovuto segnare , a mio avviso , un saggio e valido addio alle scene.

L’arte dell’addio : mi viene in mente la Sinfonia di Haydn , cominciano a suonare in tanti, poi piano piano escono tutti e rimare un solo strumento a segnare il silenzio della fine,

Ma forse questa è un’arte rara , sicuramente più consona a tempi lontani e porta  in un sé un vago sapore settecentesco.

pensieri pesanti

 

Giornate che non aiutano ad essere leggeri : immagini tragiche di terre  sommerse , un fango che invade anche i pensieri . Piove e sembra di essere nel sud-est asiatico , il  freddo entra nelle ossa ed è già maggio inoltrato.

Accompagna il peso del cuore l’avere dato l’addio ad un amico di sempre , un ragazzo per me che fu parte integrante della nostra vita di un tempo : ho passato la notte a ricordare i nostri discorsi in barca , durante le notti mentre attraversavamo il canale d’Otranto tra i traghetti illuminati ; lui al timone. io in terra nel pozzetto , il nostro turno notturno.

I pensieri si rincorrono pesanti . Ho anche capito quanto sia fuori luogo rientrare anche solo come gesto di volontariato civico nell’agone politico.

Non è più il mio tempo , si esce dalla comune molto prima di andarsene definitivamente . Davvero bisogna sempre ricordare l’Ecclesiaste : c’è un tempo per mietere , un tempo per raccogliere e , aggiungo io , un tempo per ritirarsi da quella parte di vita che magari fu anche nostra , ma nella quale sono subentrati valori o disvalori nuovi , comunque è il tempo per farsi da parte.

Non sempre ci si riesce in tempo , quando non è il destino che decide per noi si dovrebbe avere la saggezza di ritirarsi nel momento giusto ; non mi è piaciuto un articolo scritto su un giornale di Amburgo circa l’usato sicuro di una tournée trionfale che ha tutta l’aria di essere la celebrazione del canto del cigno.

Sto andando qua e la nel filo dei pensieri , non volevo finire come al solito per ricondurre la riflessione di oggi all’amato tenore che spero di sentire ancora perlomeno finché le forze me lo permetteranno.

Torno alla lettura dei giornali bagnati del mattino , per  il fine settimana è prevista una tregua , poi chissà….

Per cercare di pensare positivo domani se tutto va bene mi aspetta l’Ottava di Mahler a Milano .Non è una prospettiva da poco.

Era di maggio

Non sono più le mezze stagioni , signora mia ! Lo dicevamo come un luogo comune quando ormai da tanti anni si passava dal freddo al caldo ma ancora non ci era mai successo di perdere un mese intero.

Era il mese delle rose  , il mese dolce della primavera inoltrata con le giornate lunghe lunghe , l’estate imminente .

In gioventù lo vivevo a Firenze con il profumo dei glicini che pendevano languidamente dalle mura dei villini a San Gervasio, poi nei tanti anni della mia vita con il mare davanti alla finestra e allora il profumo era quello del pitosforo in fiore , delle rose sfacciate e non facevo in tempo a raccoglierle tutte , la casa ne era inondata.

E poi succede anche questo : il mese scompare nascosto da una nebbia novembrina , fumi di nuvole basse e pioggia mangiano la memoria di un mese che fu , davvero stiamo vivendo una stagione strana: un novembre bagnato come se la campagna inglese avesse inghiottito le nostre arsure mediterranee..

Im wurdeschönen Monat Mai….un bellissimo Lieder di Schumann , che mi piaceva tanto ascoltare dalla calda voce di Jonas Kaufmann, ma oggi 16 maggio 2023 suona un po’ anacronistico l’ascolto mentre una pioggia pesante e battente bagna i vetri delle finestre.

Siamo tutti un po’ metereopatici e il maltempo influisce più di quanto crediamo sulla nostra psiche , ma quando l’assurdità della natura impazzita ci fa perdere anche il ricordo di quella che fu la primavera ci si sente svuotati e come defraudati,

Le rose bagnate e pesanti chinano il capo prima di esplodere nel profumo  e le previsioni meteo non sono ottimistiche.

Per ora c’è da dire che ci va ancora bene , l’allerta meteo delle zone vicine parla di nuovo di alluvioni , di fiumi ingrossati , di campagne inondate , di fango nelle case.

Cerco di girarla in positivo , perlomeno io ancora non devo pensare ad  annaffiare il praticello davanti casa , è così verde che sembra proprio di un bel verde irlandese.

Vecchio paese

La crisi degli alloggi per gli studenti nasconde la più grande crisi che riguarda le giovani generazioni, tanti  giovani che vorrebbero  programmare un futuro di coppia  sono frenati dalla mancanza di prospettive economiche minime che permettesse loro di  pensare al domani in maniera più sicura .

Penso a i nostri padri che si poterono permettere con il lavoro l’acquisto della casa , alla mia generazione che partiva già con qualcosa alle spalle e vedo i ragazzi di oggi il cui unico pensiero è vivere il loro tempo senza contemporaneamente progettare il futuro in maniera stabile.

Comunque è’ forse semplicistico pensare che la grave crisi di natalità che ha colpito , e non da ieri , il nostro paese dipenda esclusivamente dall’instabilità economica delle giovani generazioni , come è altrettanto semplicistico incolpare le donne che , raggiunta una certa stabilità lavorativa non se la sentono più di accollarsi il peso della maternità.

Sono generalmente uomini vecchi che la pensano così ,le donne tacciono perché sanno ,anche solo inconsciamente ,quanta parte del peso di diventare famiglia comunque seguiterebbe a ricadere sulle loro spalle.

Già adesso molte donne nel tempo in cui furono madri adesso hanno il carico dei loro anziani genitori che sommato al tempo del lavoro raggiunto diventa una  magra consolazione perché ancora e di nuovo non le rende libere.

La maternità non è una vocazione naturale , anche se per secoli questo ci ha insegnato la chiesa cattolica mentre invece è molto più riconducibile al senso della prosecuzione della specie l’istinto maschile alla riproduzione.

Le donne non cercano più nelle maternità la realizzazione delle loro legittime aspirazioni , gli uomini appesantiti dalla precarietà lavorativa trovano più comodo pensare al tempo breve della vita di coppia ; siamo di fronte veramente a qualcosa che assomiglia  ad una mutazione genetica.

Più facile forse trovare questa aspirazione nei giovani che emigrano in paesi anche limitrofi ai nostri in cui sono garantite tante tutele nei confronti  delle giovani famiglie , ma la nostra classe politica preferisce leggere i dati colpevolizzando le giovani generazioni piuttosto che cercare la strada per nuove politiche a sostegno della famiglia.

Questo è il nostro dramma attuale , il destino è segnato .

Il paese sarà salvato solo dalla nuova linfa vitale che arriverà attraverso la tanto temuta immigrazione.

Il paese cambierà colore , cambieranno i suoni e i colori , cambierà il profumo che uscirà dalle nostre cucine e questo avverrà naturalmente , perché è la sorte di ogni ciclo naturale ; sia che si tratti di individui che di popoli.

Il test della tenda

Per uno strano senso civico che mi porto dietro da sempre accetto un ruolo modesto ( rappresentante di lista) al seggio dove voto.

Seduta su una sedia, di lato , tanto non servo a niente vedo le persone che , scheda e matita in mano vanno verso la cabina elettorale che è costituita da un traliccio di metallo con una  tenda davanti che se alzata a dovere permette l’ingresso nel piccolo abitacolo.

Ma come cani pavloviani i votanti non percepiscono l’ingresso in cui basta solo smuovere la tenda per entrare e girano intorno , vanno dietro a cercare un ingresso e solo dietro suggerimento del presidente di seggio capiscono l’errore e spesso scusandosi finalmente trovano l’imboccatura misteriosa.

Un tempo le cabine erano di legno ed effettivamente si girava intorno per trovare l’ingresso ,ma adesso il sistema si è fatto semplice , troppo semplice per l’elettore medio italiano.

La mattina vota tutta gente adulta , ahimè credo che i giovani a votare non ci verranno  proprio , ma la mia osservazione che dura qualche ora mi fa capire tante cose e azzardo a pronosticare l’intenzione di voto dei probi cittadini così  già ben indottrinati che metteranno la loro croce senza pensare troppo al prezioso gesto che stanno per compiere.

La democrazia è bella , ma forse meriterebbe di essere coltivata di più dal punto di  vista politico in senso stretto.

Se il 70/80 per cento delle persone non riesce neanche a capire come si entra in cabina come sarà potrà essere ponderata la loro scelta politica ?

Il presidente stufo di dovere continuamente spiegare che è semplice , che si entra davanti , mette una scopa a sbarrare il giro inutile.

Ebbene , l’elettore medio sposta pure la scopa per fare il giro verso il retro.

Torno a casa , non so coma andranno le elezioni comunali . sono però abbastanza avvilita alla vista del test della tenda .

Dio salvi la democrazia!

Una firma in più

Nella vita accade di fare dei gesti che stanno tra lo stupido e il velleitario come quello di rispondere positivamente a un accorato appello on line:

Salva le api , poi è arrivata salva l’orsa , poi salva gli elefanti  , poi tutta una serie di appelli , alcuni molto fantasiosi e non ce la faccio più a stare loro  dietro .

Non ho ben capito  cosa ci sia dietro a questa specie di catene di sant’antonio che in effetti non mi costano niente ma che mi fanno capire quanto sia cretino aprire il varco ai mille appelli inutili che circolano in rete.

Ora le cancello tutte , ma prima di annullarmi nel vuoto galattico ci vorrà sicuramente tanto tempo .

Contemporaneamente essendo una osservata speciale del grande fratello ho commesso l’errore di cercare su Amazon un vaso toscano da mettere  sul basamento triste del fu-cedro davanti casa .

Passa solo un giorno e sono sommersa da tutte le forme di vasi , portavasi , finti tronchi d’albero portavaso , cesti e cestelli alcuni dei quali , anzi quasi tutti , decisamente brutti.

Spero molto nell’arrivo dell’intelligenza artificiale che perlomeno da come ce la spiegano sarà in grado di capire che se compro un libro non è che poi mi offrono i fumetti o che se compro la Turandot mi arrivano aberranti DVD di epoca micenea con cantanti sconosciuti .

Tutto questo poi non sarebbe grave se non nascondesse il vero pericolo , per ora solo molto letterario , di classificarmi anche politicamente e di conseguenza di pormi in una lista pericolosa :quella della classificazione di pensiero.

Per fortuna per adesso a nostra destra becera e  ignorante si limita a farsi conoscere in tutta Europa per quello che è , ma mi ricordo con tristezza quando , molti anni fa in India , involontariamente passai avanti ad un altro passeggero in fila per salire su un aereo e quello mi gelò con uno sprezzante “ berluscones”.

Ma se mi chiamano “melones” giuro che stavolta non resto in silenzio.

Le otto montagne

Un film diverso dai tanti che circolano sui nostri schermi e che nonostante affronti un tema universale quale l’amicizia non lo si può considerare un film semplicemente educativo in senso classico.

Sta diventando un film molto premiato  perché dopo avere vinto il Grand Prix del Festival di  Cannes in questi giorni ha ottenuto anche il premio David di Donatello come miglior film italiano .

Basato sulla solida base dell’omonimo  romanzo  di Paolo Cognetti che a sorpresa di molti vinse nel 2017 il premio Strega   ( non l’ho ancora letto ma mi ripropongo di metterlo in testa alle mie letture estive) , è anche un film strano nella forma : girato in 4:3  all’inizio avevo pensato che la formula fosse relativa alla prima parte del film , quella del ricordo per poi arrivare a spiazzare largamente sui bellissimi paesaggi montani in cui il film è girato.

Poi ho capito che la scelta non era strumentale a una sola parte del racconto ma serviva a mantenere viva l’attenzione sui personaggi ; la montagna , bellissima , sempre parte integrante del racconto , ma sullo sfondo , non diventa mai protagonista e anche l’uso del drone è limitato ad una sola lunghissima inquadratura verso  il finale , quando senti che fisicamente i due amici si allontanano per sempre.

Due registi  belgi : Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeerch, una cooproduzione belga e francese ma il film è a tutti gli effetti un film italiano magistralmente interpretato da due tra più talentuosi giovani attori del nostro cinema : Luca Marinelli e Alessandro Borghi e non saprei dire quale dei due sia l’uno più bravo dell’altro .

Amici anche nella vita i due si sono ritrovati in questa storia dopo avere avuto la prima affermazione insieme nel film Non essere cattivo nel 2015 del compianto regista Claudio Caligari.

La storia ad un tempo semplice e poetica si basa sul rapporto di fratellanza e di   amicizia maschile  e si snoda verso i diversi destini , dalla nuda montagna valdostana fino all’Himalaya ed è totalmente autentica , infatti io  credo  che sia uno dei motivi della grande presa che la storia  ( non la voglio raccontare ) di due uomini in cammino attraverso la vita , ciascuno ricercando la propria storia attraverso la capacità di ritrovare se stesso.

Anche le figure di contorno , un merito speciale a Filippo Timi e Elena Lietti , tutti contribuiscono a ricreare un mondo molto reale  e semplice mentre la storia cammina , attraverso la voce dell’io narrante , anche se devo dire che è usata con molta parsimonia.

Otto mesi di riprese , i registi e gli attori hanno realmente costruito la casa in cui si svolgono gran parte delle riprese e a anche le scene che potevano sembrare documentaristiche sullo sfondo esotico del Tibet riescono a mantenere vivo il racconto lineare e di una semplicità artistica encomiabile.

Mi associo a chi ha voluto premiare questo film raro e prezioso , poi se oltre a tutto si ama la montagna c’è anche da godere dei paesaggi volutamente sempre sullo sfiondo ma che profumano del senso del vento e della neve.

Le piccole patrie

Siamo cittadine europei , crediamo in un progetto comune che rafforzi la nostra posizione nel mondo globalizzato , poi si legge di un delizioso piccolo paese che risponde al nome poetico di Sambuca Pistoiese che vuole passare all’Emila perché non hanno più il dottore nel loro paese.

Vogliono un referendum ; a quel punto della lettura si cita il nome del confine : il ponte della Venturina e ho un tuffo al cuore .

L’ho passato tante volte percorrendo la valle del Reno , detta anche la valle del freddo quando andavo d’estate a trovare i miei parenti a Gavinana  facendo quella strada nella quale sembra essere tornati nel medioevo , il fiume in basso nella gola e la parete di roccia incombente sull’altro lato.

Si passa da Marzabotto , poi si arriva a Porretta e siamo in Emilia, lo dicono i panorami , le case che sembrano disegnate da Morandi e soprattutto lo dice la lingua emiliana se ti fermi anche solo  a prendere un caffè.

Poi , passato il ponte della Venturina impercettibilmente cambia il colore delle case di un bel giallo toscano e se al primo stop possibile chiedi  un’informazione ascolti il linguaggio diverso :

sei in Toscana , anche se hai fatto solo una manciata di chilometri.

L’Italia tutta intera è una realtà tanto recente se pensiamo al flusso millenario della storia e i piccoli Stati sono stati realtà per secoli.

Da una parte lo Stato della Chiesa e dall’altra il granducato di Toscana .

Pare impossibile , ma una cesura così netta del linguaggio forse non è riscontrabile altrove così platealmente come attraversando quel ponte  dal poetico nome messo a dividere le vecchie divisioni storiche.

Non so se quel referendum i pochi cittadini dello sperduto paese nell’Appennino lo faranno davvero.

Di sicuro , a parte il problema del dottore, di non facile soluzione perché purtroppo i dottori di base scarseggeranno dappertutto in tutto il paese , resterà il fatto che seguiteranno a parlare in modo tanto differente anche tracciando una linea burocratica spostata di qualche metro.

Pensiero pesante

Si muore in tanti modi , ma la pubblicità della propria morte sembra appartenere solo al cancro , malattia fino a poco tempo fa sicuro termine del fine vita.

Anche se oggi , grazie alla ricerca sempre più avanzata , per molte forme della malattia c’è addirittura, anche se i casi non sono poi così tanti , anche una speranza di guarigione.

Mi mette sempre un po’ a disagio l’esibizione della propria malattia come testimonianza e nel caso di Micaela Murgia il risalto che si è data con la pubblicazione di interviste su tutte le testate di rilievo , il senso di disagio è diventato anche più grande.

Ho sempre pensato che esiste un tempo dell’addio che se possibile deve essere molto privato , può succedermi anche domani, ma non credo che cambierei idea.

Penso che gli animali , quando sentono la morte vicina si allontanano da casa , si nascondono agli occhi di chi li ha amati , senza arrivare al classico dei classici : il cimitero degli elefanti , chiunque ha avuto animali conosce bene la loro progressiva sparizione via via che si sentono  più vicini alla fine.

Per gli umani invece scatta questa esibizione impudica , rivendicata come una conquista di civiltà , però vale solo per il tumore anche se in realtà si muore anche di tantissime altre patologie ,forse meno letterariamente raccontate.

Non a caso nella narrativa attuale , specie in quella americana , si muore di cancro spessissimo , un modo semplice per risolvere molte storie.

So che la mia è una voce molto fuori dal coro , forse la mia anima è troppo debole per pensare ad una esibizione finale pubblicizzata , anche perché non ne fregherebbe niente a nessuno o quasi , sapere dei miei mali.

Credo semmai sia bello che le persone che hanno una vita pubblica e che la malattia l’hanno vinta o quantomeno combattuta raccontino la speranza , condividano la possibilità di vittoria .

Questo serve davvero a chi è malato e sta cercando di sopravvivere lottando.