Un centenario in tv

Ci ho messo una vita a capire che Aida è un grande capolavori intimista e , contemporaneamente , che non si può essere del tutto melomani si non si è stati almeno una volta all’Arena di Verona per partecipare a quel rito collettivo sempre uguale a se stesso , il trionfo del Kitch , cioè l’Aida areniana.

Niente di questo si trova in questa inqualificabile , inutile e superflua rappresentazione del Centenario.

Brutta oltre ogni immaginazione , mal diretta,  cast modesto eccetto la Diva che qui ha qualche problema in più non avendo tende a cui aggrapparsi modello Francesca Bertini.

Il povero marito al seguito non ci prova nemmeno a recitare , meno ancora a esibirsi “nel trono vicino al sol” neppure cercando di provare il diminuendo d’ordinanza.

Pertusi probabilmente pensa a levarsi al più presto l’orribile costume, così penso sia per la povera Amneris di Olesya Petrova.

Eppure un tempo Stefano Poda , un regista di belle speranze , aveva azzeccato qualche  spettacolo decente , anche se sempre con una sola chiave di lettura , simbolica e alla lunga ripetitiva.

Pensare all’Aida in Arena è  sfidare il destino ( anche la Fura del Baus ci si era fatta male ) e cercare una chiave di lettura che tenti di conciliare , almeno minimamente il plot narrativo con le esigenze di puro spettacolo è opera difficilissima e allora si giustifica il grido sortito dal cuore dei veri appassionati : aridatece gli elefanti!

Inutile fare finta di apprezzare l’assenza di armi (?) e allora come la mettiamo con Guerra , guerra?

Le mani sulle picche non avevano un bell’impatto visivo e la manona ha perso l’occasione di chiudere in bellezza col medio alzato , perlomeno poteva essere uno sberleffo ironico.

La pioggia , munificamente ha salvato la Prima permettendo alla larga presenza di Governo di farsi ammirare con dovizia.

Alla solta Carlucci l’invito una volta tanto di non sbagliare ripetutamente anche il nome della Diva : si chiama Netrebko , non ci vuole tanto a dirlo correttamente , magari una sola volta.

Ciao Laura

Un sera di tanti anni fa in Via Filodrammatici : una bella folla di ammiratori e ammiratrici in attesa speranzosi di vedere uscire il nostro idolo.

Non ricordo se fosse dopo la Dichterliebe o dopo la Winterreise , era una mezza stagione calda e si facevano delle amicizie nell’attesa , chiacchierando .

Era il tempo in cui ancora facevo la file per un autografo , poi divenni più vicina a Jonas e gli autografi glieli chiesi facilmente in occasioni private.

Io mi alternavo seduta su un paracarri con una giovane brillante milanese , neofita ed entusiasta per avere scoperto quel miracolo della natura che corrispondeva al nome di Jonas Kaufmann.

Mi raccontò di non essere tanto esperta di lirica , lei amava molto anche il cinema e mi chiese ( a me già nota per il blog Altrodime ) se avrebbe potuto inventarsi una specie di pagina di servizio , uno spazio di informazioni , insomma un suo contributo personale al tenore.

Si chiamava Laura Fontana e  dopo poco tempo  , con la concretezza lombarda che la distingueva , la sua pagina era on line , una pagina alla quale si rivolgevano tutte e tutti perché lei traduceva ogni articolo , ogni informazione tanto da diventare nel breve tempo una fonte preziosa per tutte quelle che seguivano Kaufmann.

Ci siamo poi rincontrate spesso , mi ricordo in particolare la cena a Torre del Lago per il Premio Puccini , con lei c’era il suo elegante marito , sorridente e orgoglioso della sua piccola moglie intraprendente.

Tante occasioni per un saluto , poi qualche tempo fa quel breve annuncio che per un po’ di tempo la sua pagina non sarebbe stata più attiva.

Non mi piacque per niente la notizia , io sono diventata molto pessimista per età, e l’annuncio tristissimo della sua scomparsa è caduto come un macigno sulle mie tante memorie e sulla mia vita sempre più ristretta.

Mi mancherai molto Laura , non tanto per le tue preziose informazioni , ma per il tuo sorriso , il tuo concreto essere presente per anni nel nostro cammino di fedeli ammiratrici di tanta voce.

Spero davvero che in qualche aldilà lontano tu continui a sentire la voce che ha accompagnato il tuo prezioso lavoro e un abbraccio a quel tuo compagno del quale eri tanto orgogliosa.

Conto alla rovescia

Mancano tre giorni al debutto del Werther londinese e già fioccano le curiosità , i ragionamenti , le speranze di rivedere un Kaufmann 54quattrenne interpretare il Tormenti del giovane  goethiano.

Già leggo nei post delle fedeli ammiratrici la volontà di non restare deluse e  alla fine so anch’io che non lo saranno.

Troverà il modo di leggere il personaggio in controluce , ne accentuerà il ricordo di un amore e in definitiva , sono quasi certa che uscirà bene dalla prova.

Io però voglio raccontare perché prima di lui l’opera di Massenet non era nelle mie corde e perché un lontano ricordo riaffiorò dalla memoria quando vidi l’opera nel mitico allestimento parigino che letteralmente mi era esploso dentro.

Ero molto giovane , a Firenze, e una sera vidi Alfredo Kraus nel suo cavallo di battaglia .

Ricordo l’anziano in polpe , le gambe magre nelle calze bianche del damerino settecentesco , lo ricordo perfettamente al proscenio mentre cantava il pezzo forte : Pourqui me réveiller e di non aver provato nessun brivido tanto che il ricordo è riemerso poi per interposta persona !

C’era da dire che quando sentii Kraus probabilmente era già molto avanti negli anni e nonostante che il Werther fosse uno dei suoi cavalli di battaglia ( credo che avesse un repertorio abbastanza ristretto ) e ci vorrebbe un melomane più esperto di me per entrare nei particolari e spiegare il perché di una mia indifferenza giovanile.

Kraus era un tenore lirico -leggero , spagnolo di madre austriaca ed era considerato un fuoriclasse per quanto ricordo e anche un gran signore  in scena.

Ma il suo Wether non mi colpì per niente  forse perché in quegli anni era la sua vocalità quella che si prestava al ruolo , anche se avevo letto che in realtà l’autore aveva inizialmente pensato ad un baritono  per il ruolo del titolo.

Tutto questo per dire che tra i tanti meriti di Kaufmann c’è anche quello di avermi restituito un capolavoro in tutta la sua espressività.

Ormai ho deciso di restare a casa , spero solo che qualche anima pia ci anneghi di foto e , magari, di qualche spezzone rubato del suo canto.

Oltre tutto è sir Tony Pappano che dirige!

Battute toscane

Sicuramente tutto cominciò con Roberto Benigni  , poi di seguito ci fu il tempo di un gran fiorire di comici toscani e a me fiorentina che vivevo lontana da casa , come è scritto mirabilmente nelle Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi , in Ancona , dove “quell’in” era segno di misteriosa lontananza , fece molto piacere perché mi divertiva molto ascoltare l’accento natio.

Pieraccioni , Panariello , i Giancattivi con  quel Francesco Nuti che infilò una serie di deliziose commedie di successo furono una sorta di invasione intelligente di una comicità toscana che finì  anche per  diventare una moda.

Ieri  la notizia , passata molto a margine in una giornata in cui stampa e televisione parlavano di ben più rilevante evento funebre ,della  morte di Nuti è rimasto solo un trafiletto .

Stava molto male da tanti anni e la visione in una foto rubata di quel viso distrutto e devastato stringeva il cuore , penso che la sua morte abbia messo fine ad una straziante e penosa vicenda di una persona che credo fosse già morta da tanto tempo , perso in un mondo di sofferenza senza ritorno.

Ma io lo voglio ricordare per una frase , a mio avviso mirabile , che lui aveva pronunciato in uno dei suoi ultimi film nel quale impersonava un padre uscito di galera che si muoveva tra uffici e burocrazia per ritrovare un suo bambino perso per le sue vicende giudiziarie.

Davanti ad una scrivania dietro la quale si ergeva , megera infame  (mirabilmente interpretata da Laura Betti ) una assistente sociale che negava al padre la possibilità di conoscere il luogo dove viveva il bambino perduto il padre disperato aveva sparato una frase lapidaria.

Di fronte al muro negativo della donna , magari convinta che il suo silenzio servisse a salvare il figlio dal padre interpretato dall’attore lui se uscì con una frase lapidaria : “tu sei una troia perché non sei una  troia”.

Non so se l’avesse scritta lui , ma era una sottile perfetta condanna per chi stava agendo secondo la norma e la legge.

Non era solo un comico toscano , era un attore intelligente , purtroppo come talvolta succede addirittura vittima del suo stesso successo.

Ma io lo voglio ricordare per quella frase che mi è capitato di citare più di una volta quando ci si trova davanti a persone rigidamente avvolte nella convinzione del diritto costituito.

In memoriam

Lunedì 12 giugno, verso le undici del mattino.

Faccio la fila alla Posta di quartiere per pagare le tasse molto irritata perché una signora bionda , sui cinquanta , entrata con piglio deciso ha detto : non faccio la fila di nuovo , perché l’ho fatta già una volta per mezz’ora e passa avanti a tutti !

Siamo tre o quattro persone più anziane e nessuna obbietta , certo tutti pensiamo che certi atteggiamenti una volta non sarebbero stati tollerati.

La vicina mi dice : poi chissà se chiuderanno le Poste ora .

Io domando stupita: perché? e lei con fare sussiegoso mi comunica che è morto Berlusconi e si atteggia referente tipo faccia da funerale.

Io che non sapevo la notizia commento con un,, ah bè che deve sembrare irrispettoso e la rassicuro che mi parrebbe esagerato chiudere le Poste per lutto.

La bionda prepotente passata davanti a tutti ad un tratto mi pare la perfetta incarnazione di quell’atteggiamento di berlusconismo rampante che ha cambiato in peggio la nostra qualità della vita .

Sicuramente l’associazione mentale è un po’ azzardata , ma per tanti anni abbiamo subito  questa specie di stigma come se essere italiani fosse sinonimo di furbetti seguaci di un tycoon che si è permesso di tutto passando allegramente sulle regole di civiltà vincendo cause con squadre di avvocati magari eletti in parlamento e quindi pagati da noi , facendoci anche passare da fessi con la storia della nipote di Mubarak.

Mi dispiace , umanamente quando suona la campana suona per ciascuno di noi , ma non avrà la mia santificazione  , né le mie bandiere a lutto. E’  morto un uomo molto malato che solo alla fine è diventato degno di pietà.

Respingimenti

Una foto sul molo dell’isola di Lampedusa , una delle solite .

Appena sbarcati da qualche barcone o da qualche motovedetta della Guardia costiera osservo quei volti vuoti di speranza di persone giovani che vengono da tanto lontano e hanno davanti un futuro molto incerto in questa terra ad un tempo sognata e inospitale che si chiama Europa. Non so se provare tristezza o sgomento.

Leggo che la politica cerca risposte , si muovono le istituzioni per cercare di mettere ordine in questo esodo biblico che di ordinato non ha proprio nulla.

Credo che le regole un po’ complicate e cervellotiche circa i rimpatri siano destinate all’insuccesso. Ma chi li vuole indietro questi esseri umani assetati solo di un lavoro credibile e desiderosi di uscire dalla fame atavica per entrare in un mondo  che non sia loro ostile?

Nessuno vuole  pagare pegno se non li vuole nella propria casa eppure la soluzione sarebbe tanto semplice se non ci fermassimo alla paura che incute  il diverso colore della pelle , il diverso atteggiamento di chi parte dal presupposto di una superiorità culturale tutta da dimostrare.

I bambini indios sopravvissuti nella jungla ( ci avete fatto caso al tempo biblico dei quaranta giorni di attraversamento del deserto che è raccontato nella Genesi?) ci dicono che ci sono conoscenze ataviche perdute per molti di noi e che una nuova linfa vitale , fatta di conoscenze “altre” potrebbe riportare i nostri esangui fratelli europei a risalire una china di indifferenza umana nella quale siamo precipitati in questo terzo millennio.

Servono braccia nuove per lavorare una terra abbandonata da chi non ama più coltivarla , ci sono interi paesi abbandonati e vuoti sulle nostre montagne , ci sono frutta e fiori da cogliere nelle terre ricche di questo nostro ricco suolo europeo , ci sono ospedali che cercano personale sanitario , medici e infermieri capaci di una umanità altrimenti perduta , credo davvero che ci sarebbe posto per tutti se non si pensasse soprattutto a difenderci nel nostro asfittico mondo occidentale.

E invece studiamo solo regole per rimandarli indietro , anche se l’unica cosa  da dire  è che non si ferma l’acqua del mare con le mani e non si ferma la Storia che da sempre ha raccontato le migrazioni e le contaminazioni dei popoli.

UNA RISATA

 

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Un incontro consueto ,, di quelli che la ROH manda in streaming regolarmente prima di ogni Prima : una intervista generica , i cantanti in fila , quattro chiacchiere sull’autore Massenet   , le differenze tra  la musica francese e quella tedesca o italiana.

Ma c’è Jonas Kaufmann  . non è solo il protagonista dell’opera , è anche lo startenor che riprende dopo tanti anni un suo ruolo carismatico e lo fa con il suo caro amico Sir Tony Pappano , in questa estate londinese che vede questo titolo come spettacolo di punta della stagione.

Ma c’è una perla nascosta nella conversazione quando il conduttore chiede ai cantanti Il senso dei loro ruoli e tutti seriamente rispondono cercando di spiegare il modo di affrontare il personaggio , le motivazioni di una scelta .

Ma è allora che il sornione Jonas se ne esce con una clamorosa boutade accompagnata poi dalla sonora risata che spiazza anche l’intervistatore molto british: nel melodramma la soprano ama il tenore , nessun equivoco possibile!

E con questo chiude tranquillo , non c’è più storia.

Tutto il resto è burla , pare sentirlo trasformarsi verdianamente in Falstaff e compagni. Non andrò a Londra , una decisione presa da tempo perché preferisco serbarmi il ricordo di un Werther che fu ,ma adesso un po’ mi dispiace perché credo sia affascinante vedere ancora una volta il grande istrione entrare in scena per suicidarsi , masticando un orsetto gommoso , lui che ha spesso dichiarato che è veramente matto uno che si spara per amore e poi riesce a  trasformarsi  a vista nel dolente eroe ghoetiano che tutti abbiamo amato perdutamente

Una replica

Certe volte , non volendo , nello scrivere un mio modesto pensiero provoco un effetto quasi di indagine psicologica ed è di questo che vorrei parlare oggi.

Avevo scritto , a scanso di equivoci , un requiem per la lirica anche dichiarato nel titolo e la chiusa ne era la triste conferma.

Ebbene le reazioni vivaci si sono  tutte focalizzate sulla questione degli applausi che hanno avuto tanti difensori e tante spiegazioni che non era mia  intenzione provocare né mettere in dubbio.

Come se molti miei lettori , evidentemente appartenenti quel quel mondo di ieri ( per citare Stefan Sweig) non volessero accettare la realtà di un mondo che cambia e si rifiutassero , anche solo ipoteticamente , di ammettere che c’è un tipo nuovo di spettatore , ammesso che ci sia , che vede il mondo della lirica in un modo diverso e nella  loro valutazione  considerarlo obsoleto anche nei riti che lo compongono.

Metà , più o meno , dei miei lettori aveva capito quello che avevo scritto , ne avevano colto l’amara conclusione e la triste prospettiva.

A loro va il mio modesto grazie , a tutti i difensori degli applausi , una sorta di Fort Apache della lirica , tutta la mia comprensione .

Siamo sul Titanic e stiamo ballando insieme la fine di un’epoca , si tratta solo di accettarla e di essere più o meno consapevoli di essere una specie in via di estinzione.

Non basta fare appello ad una inutile e retorica speranza che ci sia bisogno della scuola per riportare i ragazzi a teatro : dove sono gli insegnanti capaci di insegnare quello che non sanno neppure loro ?

Requiem operistico

Ho cercato di seminare amore per l’0pera , prima con i figli e poi con i  nipoti con risultati alterni e tutto sommato modesti.

Ce lo ho portati tutti : chi si è vistosamente annoiato , chi invece ha mantenuto un dignitoso e freddo consenso , per la verità uno solo sembra mantenere ,con moderazione , la tradizione.

Solo che recentemente anche lui , il più acculturato, il  meno annoiato mi ha posto la domanda curiosa : serve quel rito finale  sempre uguale dei saluti ,scandito rigorosamente ?

Non ci avevo ma pensato , in effetti alla prima riapertura del sipario i protagonisti che magari erano morti in scena , sorridenti e abbracciati, poi il coro , i comprimari in rigoroso ordine crescente , poi tutti insieme e la corsetta della diva a prendere il Maestro in quinta , corsetta collettiva , grazie all’orchestra , qualche volta mano tesa al suggeritore : insomma tutto sempre uguale a se stesso.

Il bello è che questo avviene dappertutto , non ci sono confini culturali , il rito finale fa parte dell’opera da Milano a New York, da Berlino a Venna , a Parigi , a Londra ….

Mi era sembrato sempre così normale che non ci avevo fatto caso finché il nipote curioso non me lo ha fatto notare , perché lui non lo capisce , lo trova una perdita di tempo , un applauso , magari caloroso ,basta per questo pubblico giovane che ha fretta di tutto e non capisce la gioia di noi vecchi appassionati che proprio in quella coda godiamo l’attimo della condivisione felice con chi ci ha regalato quelle poche ore di vita diversa dalle brutture del mondo che ci circonda.

E’ possibile che uno degli effetti collaterali del fermo immagine della vita imposto dalla pandemia abbia avuto anche questo risultato .: l’accelerazione di una fine tra le tante che hanno segnato la ripresa della vita ante- Covid.

Eravamo soliti dire l’opera non morirà mai , comincio a dubitare anche di questo . La selva di teste bianche nei teatri non è rimpiazzata da teste bionde o brune , anche in area germanica .

Credo che finiremo noi e i nostri amati idoli più o meno insieme , ha ragione quel signore bergamasco colto e intelligente : non serve mettere il costume da bagno a Donizetti o a vestire  Verdi da donna ; la festa sta finendo , godiamoci questo tramonto culturale , perlomeno essendo consapevoli di essere gli ultimi epigoni di una civiltà in estinzione.

Gli spiriti dell’isola

Mi piace il cinema quando fa pensare , quando mi racconta storie che contengono messaggi di paesi lontani , un cinema letterario e che non da niente per scontato sull’esistenza degli uomini , un cinema di idee.

A questa categoria appartiene un film irlandese che oltre tutto è opera di un autore del quale avevo amato un altro strano film : In Bruges e che ha gli stessi attori come protagonisti.

L’isola  del racconto è inventata , ma non lo è quella in cui sono state fatte le riprese magnifiche che fanno da cornice alla storia.

Eccellenti le prove degli attori , grandissimi Colin Farrell e Brendan Gleeson  canditati ambedue agli Oscar dello scorso anno  che si sono immedesimati perfettamente nei rispettivi ruoli.

Una dotta recensione mi avverte che il film perde molto nel doppiaggio , ma dubito pensare che sarei in grado di apprezzare la versione originale con il mio inglese scolastico.

Una storia sull’amicizia , anzi sulla sua perdita , un evento minimale che sconvolge la banale ritualità di una comunità chiusa nella quale si muovono tutti i personaggi e racconta una vicenda apparentemente semplice che affonda le sue radici nelle leggende della verde Irlanda.

Il titolo originale . The Banshees of Inisherin si riferisce alle streghe che popolavano le vecchie saghe e si avvale anche di una colonna sonora .preziosa , anche quella premiata per la sua originalità.

Un uomo ingenuo vive felice fino a quando il suo più caro amico decide di rompere questa amicizia , una storia apparentemente banale ma fin 

dalle prime immagini si avverte qualcosa di impercettibile e si sente un sentimento di tragedia imminente anche se non sarà poi così prevedibile un finale che sposta di lato gli eventi tragici scegliendo una fine obliqua nella quale si finisce per contare tra le vittime anche il piccolo mite asinello.

Da rintracciare in rete.

Un colpo al cuore

Forse andai in Unione Sovietica con un unico segreto scopo : vedere le opere di Andrej Rublev.

Un film ispirato alla sua vita , opera stupenda di Andrej Tarkowskij me lo aveva fatto conoscere e quel viaggio strano conteneva la speranza di vedere gli affreschi e le poche opere che sapevo essere ancora visibili in Russia di quell’autore misterioso.

Gli affreschi li vidi e invano cercai riproduzioni , non esistevano libri d’arte che mi aiutassero a conservare la memoria , ovviamente proibite le foto.

A Mosca , ad un attonito e ignaro tassista spiegai che c’era una galleria d’arte che si chiamava Tretyakov che conteneva una importante icona , ma fu difficile rintracciarla anche perché non ne conosceva l’esistenza e l’indirizzo.

Finalmente lo convinsi a seguire le mie scarse indicazioni e arrivai davanti alla Trinità di Rublev , una icona misteriosa nei suoi significati simbolici che un caro amico , un religioso sui generis , mi aveva raccontato e spiegato come leggere in quelle tre figure un mondo di fede e di preghiera.

Mentre stavo in contemplazione silenziosa arrivò da dietro le mie spalle un giovane , tanto modestamente vestito da sembrare un mendicante e fece un gesto bellissimo : pose uno stupendo fiore rosso ai piedi dell’icona , forse una peonia e se ne stette accanto a me , in silenziosa preghiera.

Oggi apro il giornale e leggo che Putin ha ordinato lo spostamento della fragile immagine su legno dalla Tretyakow alla cattedrale , da quel Kiril patriarca di regime al solo scopo di permettere al popolo di pregare per la vittoria del popolo russo contro il diabolico esercito ucraino.

Pare che , per fortuna , la reazione delle autorità culturali non permettano una lunga permanenza dell’immagine , che deve essere protetta per la sua fragilità , anche dagli sbalzi di  temperatura pericolosi per la sua conservazione e che tra quindici giorni l’icona preziosa deve ritornare a casa , nel museo.

Qui nella mia stanza ho una riproduzione della trinità di Rublev , comprata a Roma al Russicum e fa parte di una parete in cui ci sono quasi tutti i miei viaggi della mente.

Spero veramente che l’originale torni presto nella sua dimora , certe offese all’arte mi fanno male come i droni sul cielo di Kiev.

Un punto sulla carta

Un caro amico di Facebook mi scrive a proposito di una notizia che riguarda Jonas Kaufmann : quel festival è in un posto magnifico , ti piacerà.

Ma io che sono ignorante in geografia e temo che questo magnifico posto sia veramente lontano da ogni mia possibilità di viaggio mi metto su Google Map per capirci un po’ di più.

Lo trovo subito , ma non riesco a localizzarlo , allora allargo la visione , neanche tanto ,e leggo da una parte Monaco di Baviera e dall’altra Salisburgo. Praticamente equidistante ! poi leggo meglio e riconosco nomi noti come Traunstein  ( ci sta una cara amica ), Roseneim , da lì ci passo spesso col treno e poi allargando ancora un po’ lo zoom mi trovo a casa mia , tra le mie adorate montagne : San Candido e a un tiro di schioppo la mia meta dell’anima : Cortina d’Ampezzo.

Quasi dalle parti del Maso Malher , sono in  quel regno di che fu di Maria Teresa e nella valle d’Ampezzo dove ancora si servono del catasto teresiano.

Sorrido all’idea che questa località , fino a ieri a me totalmente sconosciuta , sarà un nuovo impegno per quella persona intelligente che fra tanti programmi teatrali ancora tutti possibili per lui pensi anche ad allargare la sua attività verso nuovi orizzonti musicali.

Festspielhaus Erl , festival del Tirolo , adesso che ho visto dov’è penso con gioia che tra le mie amate montagne ci sia un punto di incontro tra la  musica che amo e quel personaggio straordinario che ha allietato con la sua voce tanta parte della mia vita.