Amici miei

Comincia con un impietoso confronto il concerto di Baden Baden due due amici cantanti .

La sinfonia dell’Innominata apre come a Berlino , ma altri suoni echeggiavano sotto la strepitosa bacchetta di Petrenko, i Berliner la vincono facile e il confronto dispiace per il povero Rieder che comunque fedele e sorridente accompagna i trionfali concerti di Kaufmann da quando era maestro suggeritore a Zurigo.

La prima parte del concerto è tutta un collage di pezzi dell’opera che mi riportano nostalgicamente alla versione di Monaco : praticamente tutto quello che tenore e baritono cantano insieme fino allo strepitoso salto di Alvaro frenato  giusto alla gola di don Carlo che qui adesso ovviamente rischia molto di meno.

Ma lo strepitoso mestiere dei due grandi ci fa dimenticare il passato e se la giacca di Tezier si è allargata alla taglia giusta lo stesso non si può dire di quella di Kaufmann che seguita a mettersi vestiti che farebbe meglio a regalare e a non ostinarsi ad abbottonare giacche della taglia di qualche anno fa.

Molto più prestigiosa la seconda parte , più variata, che ha la sua punta di diamante e che provoca brividi nel duetto dell’Otello dove l’arte e la recitazione dei due grandi cantanti ci fa dimenticare di essere ad un concerto.

Anche i brani individuali  Cielo e mar e il Credo sono strepitosi e comunque è bellissima l’atmosfera che non conosce la competizione e fa godere l’uno dell’altro del giusto plauso del pubblico.

Pubblico che ogni tanto viene inquadrato e rivela una selva di teste bianche che mi mettono tristezza perché se è chiaro che il costo dei biglietti non è per i giovani il fatto che comunque ci siano solo vecchi ad ascoltare non depone certo a favore del futuro della lirica.

Veri gioielli sono anche i bis programmati : decisamente abbandonata da Kaufmann la pretesa di allacciare il bottone i due sodali si divertono nel breve bozzetto dallaBohéme e soprattutto nell’inno all’amicizia , talmente vera da superare anche la versione di scena del Don Carlo che i due si concedono abbracciati davvero :Tu che nell’alma infondere è come un’apoteosi di due vite diverse che hanno trovato una straordinaria armonia nelle voci e ,  credo , anche nella vita.

Un teatro nuovo

Se è vero come è vero che gli architetti di oggi non sanno più progettare le chiese e salvo un paio di luminose eccezioni non è che nel Novecento siano state costruite chiese nelle quali si possa cercare di pregare in raccoglimento , altrettanto direi della recente progettazione di teatri.

Pensavo a questo qualche sera fa , quando prima dell’inizio del Don Carlo a Firenze passeggiavo in quella sorta di hangar grigio che è la hall del teatro nuovo del Maggio Musicale Fiorentino.

Un lungo corridoio ,  vuoto di riferimenti , in fondo un bar senza logica , provare per credere a fare una fila , tutto  è senza capo ne coda e grazie alla maleducazione italica per la nota allergia a mettersi in fila neppure facendo uno scontrino prima dell’inizio dell’opera sono riuscita e bere un caffè in nessuno dei due intervalli.

Gente disorientata in cerca di informazioni circa tutto : dove sono le toilettes, dove si va per sentire la presentazione dell’opera , dove lasciare un cappotto.

Un guardaroba , uno solo ! , ovviamente poco frequentato perché molti preferiscono non rischiare all’uscita cosicchè si sta in sala come in attesa nell’ambulatorio dal medico.

In sala poi con pazzeschi scalini di diverse misure e mi dicono che ogni tanto si vedono precipitare spettatori e che in galleria è peggio , anche perché il pregiato pool di architetti progettatori non ha previsto corrimano utili alla protezione dei deabulanti precari spesso non giovanissimi spettatori.

Il colore dominante è il grigio-tristezza e grande è il mio rimpianto per il vecchio Comunale nel quale passai i verdi anni della mia giovinezza.

Abbastanza pratica di teatri in giro per l’Europa posso dire che a Firenze si è raggiunto il non invidiabile primato di bruttezza unito alla scomodità.

Pare che tutto sia stato reso necessario dalla mancanza di torre scenica del vecchio teatro .

A giudicare da questo primo nuovo allestimento penso che quei soldi di tutti se li sarebbero potuti anche risparmiare.

Don Carlo a Firenze

Valeva la pena di andare a Firenze per il Don Carlo ? Direi tutto sommato di si anche se sentirlo in quattro atti e senza il Lacrimosa sul corpo di Posa è per me quasi offensivo.

Ma c’era da rivedere una sorella amata , il respirare quell’aria di casa che mi da la sola vista dei colori fiorentini delle case ; quel grigio della pietra serena che si valorizza nel giallo degli intonaci , quella cupola del Brunelleschi in fondo alla Santissima Annunziata , insomma la somma degli addendi mi fa considerare il risultato positivo.

Per quanto riguarda lo spettacolo al classico Viva Verdi aggiungo un Viva Daniele Gatti , la sua direzione intensa e originale mi ha fatto scoprire preziosità nuove in un’opera amatissima che mi canta dentro dalla prima all’ultima nota.

Poi c’è da dire tanto sul nulla cosmico di una regia inutile e forse offensiva per un grande teatro un tempo considerato molto in alto per la qualità dei suoi allestimenti tanto che arrivata all’Autodafè sono sbottata in un : ma facciamolo in forma di concerto che è molto meglio !

L’orchestra del Maggio è decisamente all’altezza e anche il coro se non sbattuto fuori scena si fa apprezzare, ma che dire del buio delle brutte scene inutili , delle dame di corte con i veli neri nella festosa Canzone del velo, del Grande Inquisitore con la papalina di Buoso Donati del Gianni Schicchi?

Il cast molto disomogeneo mi fa rimpiangere ben altri allestimenti : il Don Carlo o Carlos che dir si voglia abbisogna di cinque gradi voci e , aggiungo; di interpreti che si ricordino del detto verdiano “ del recitar cantando” e in questo caso di interpreti grandi ce n’era uno solo : Eleonora Buratto , un soprano che seguo da anni e che sarei andata volentieri a salutare , se non fosse che una delle difficoltà pratiche di quel teatro è anche quella di trovare un taxi all’uscita se non nell’immediatezza della fine dell’opera.

Glielo scrivo qui , ho trovato che lei era l’unica che aveva capito Gatti e mi ha regalato una splendida Elisabetta.

Meli è bravo , forse il nostro miglior tenore su piazza, ma lo amavo di più in un repertorio puramente lirico e Don Carlo necessita di salite vertiginose che possono essere in dote naturale o ricercate con tecnica , ma allora ne va della naturalezza della recitazioe , insomma bravo , ma non è colpa sua se io amo altre voci…

Poi a scendere : una Eboli a fase alternata , un Posa inesistente ,un Filippo non abbastanza basso , un basso profondo che non c’era :

Insomma mi sono accontentata di seguire il Maestro e ascoltare l’orchestra.

Con questo chiudo e torno all’inizio del mio pensiero aggiungendo : ma è cosi difficile mettere in scena un Don Carlo degno di essere interamente apprezzato ?

Ma questo lo ha già scritto anche Enrico Girardi.

Pensiero sulla morte

C’è qualcosa di osceno nella foto di un selfie col morto anche se si tratta di un morto molto amato e a suo tempo molto famoso.

La foto fa il giro del mondo e mi provoca una serie di considerazioni che trascendono l’episodio e oltre tutto lo riallacciano ad un altro casualmente coincidente evento di una vera portata mondiale.

L’esposizione contemporanea della salma di Pelé e del Papa emerito Benedetto XVI scatenano lo stesso impudico accorrere di masse .

Mi domando cosa può spingere i brasiliani ad omaggiare il loro idolo calcistico e a questo riesco a dare una facile risposta , un idolo calcistico mitizzato in un paese sudamericano lo capisco.

Molto più difficile per me capire la fila di persone che lentamente in San Pietro scorrono davanti a quella ormai terribile statua di cera di un vecchio uomo che fu Papa e che credo avrebbe poco gradito tutta quella esposizione post-mortem.

 Se per le suore in fila la risposta è chiara e lo è anche per quei pochi osservanti cattolici , non credo che le migliaia di persone che rendono questo omaggio all’ex pontefice siano spinte da rinnovata devozione.

C’è uno strano sentimento di curiosità accompagnato dalla voglia di dire “io c’ero” che spinge i tanti anonimi nessuno che fanno la fila , solo per poter dire un giorno che quella volta avevano partecipato all’evento clamoroso di un ex papa che aveva scelto volontariamente di rinunciare al papato.

Ciò non toglie che quelle masse mi provochino un grande malessere , c’è in me un grande rispetto per la sacralità della morte e faccio fatica a comprendere quello sfacciato accorrere laddove chiunque sia il morto dovrebbe restare nel silenzio e nell’ombra della sua immagine passata, mi verrebbe da dire : chiudete quella bara!

Un semplice saluto

Una grande abbondanza di Patria e Nazione , ovviamente tutto molto maiuscolo nei falsamente colloquiali discorsi del “ presidente del consiglio” tanto femminile da volere essere chiamata al maschile per paura di non essere abbastanza virile nelle sue decisioni.

Onore al merito, anzi l’onore delle armi che sicuramente a lei piace di più.

Ma a me questa abbondanza retorica fa venire una strana orticaria mentale , mi puzza di ricordi lontani perché data l’età ragguardevole fui un giorno anche Figlia della Lupa e (con mio grande rammarico infantile) cadde il fascismo e non potei mettere la gonna svolazzante di Piccola Italiana.

Ma torniamo ai discorsi retorici del Presidente : mai che gli sfugga un “paese” , bellissima parola che profuma di pane e di basilico.

L’illustre intelligente signora sfoggia un notevole inglese e anche un acclamatissimo spagnolo e mi permetto di darle  un suggerimento linguistico diverso : esiste in tedesco una parola bellissima e intraducibile :Heimat che io amo molto.

Sul vocabolario si traduce con “paese natale “ anche se è molto di più.

E’ l’appartenenza ai valori , alla memoria ,(forse anche ai disvalori ) ma è qualcosa che attiene all’intimo e non ha niente di trionfalistico e retorico.

Dato che perlomeno a parole la ragazza dice di non volere deludere e vuole restare a lungo al comando e in questo ha un grande alleato nelle derelitta sinistra , cerchi qualche volta di dismettere tutte quelle retoriche maiuscole utili per i Patrioti che magari hanno anche nostalgia di preoccupanti strani gesti a braccio virilmente alzato , ci conceda un semplice ciao con la mano.

Siamo un grande paese , molto minuscolo e molto complicato e con questo spirito paesano le mando il mio saluto assolutamente non cameratesco.

Concertando

Ho viaggiato da Berlino a Dresda , da Venezia a Vienna e tutto senza muovermi da casa .

Ormai i concerti di Capodanno sono parte della tradizione e la devono subire anche i miei poveri nipoti da quando il mio ultimo figlio mi accoglie al pranzo tradizionale col suo mega televisore acceso perché sa che la mamma ama questa tradizione.

Un tempo molto lontano , quando eravamo tutti in pista a sciare verso l’una si aprivano le portiere della macchina e se era una giornata di sole i valzer viennesi riecheggiavano tra le Dolomiti innevate , tenere immagini lontane che fanno sorridere al ricordo.

Adesso mi viene anche naturale fare una specie di graduatoria , ormai tutto lo si giudica in base al gradimento , ovviamente in base al mio personalissimo gusto.

La vince Berlino ma soprattutto per il divertimento che emanava dal piccolo gigantesco Petrenko alle prese con un programma vario e intelligente ,ovviamente anche grazie al cantante -star che sfoggiava come perle le sue arie consuete .

Malignamente posso dire che mi è mancato un famoso “passaggio” dell’Improvviso dell’Andrea Cheniér ,ma sappiamo che il nostro esce da giornate di non perfetta forma delle sue corde vocali e dove non arriva con la voce arriva con la sua tecnica sublime.

A Dresda una Nona perfetta e scolastica quanto basta . Grandissime voci anche se KFV mi pareva un po’ leggerino nel suo pezzo solistico del finale.

Vienna , noiosissimo direttore e Wiener con la solita morbidezza di suono, altri direttori abbiamo visto in tempi neanche tanto lontani scaldare di più il pubblico festante e ben pagante che assistevano al “sacro rito”.

Ultimo metto Venezia , città amatissima , teatro rinato dalle ceneri lustro e dorato quanto basta : ottimo soprano , buon tenore ( molto americano nella pronuncia) e validissimo Harding alle prese con un repertorio troppo ..usato sicuro .

Notazione a latere : le coriste veneziane avevano tutte finalmente un uguale abito d’ordinanza , certe cose io le apprezzo davvero.

Fine d’anno

Ieri mi è arrivato un piccolo pacco da molto lontano : un calendario con le bellezze della Lituania e una deliziosa scatola di dolci.

Il dono mi arrivava da Riga , da parte di un’amica deliziosa , di quelle che si trovano come un miracolo tra le astratte fila del web , una lontana affezionata lettrice del mio blog con la quale ci siamo anche incontrare fisicamente un giorno davanti all’Arena di Verona .

Con la curiosità tipica di chi tira le somme dell’anno trascorso ho voluto contare anche le mie piccole statistiche : nonostante il calo dei miei viaggi e quindi delle mie cronache musicali il mio blog è rimasto nella media statistica degli anni passati : nel 2022 ho avuto 35237 visitatori e forse a mezzanotte saranno qualcuno di più. Ovvero 35334.

E’ anche salito a ben undicimila il numero dei visitatori di un mio piccolo video privato e clandestino che rubai durante un concerto a Lubiana in Slovenia : Ombra di nube , non passa giorno che ancora qualcuno lo scopra  sul mio profilo Fb: quando lo confessai a Kaufmann durante la piccola cena che seguiva la cerimonia dell’assegnazione del Premio Corelli ci rise di cuore , anche perché gli dissi che avevo anche registrato un suo piccolo colpo di tosse.

Tra mezz’ora per chiudere l’anno in bellezza ( anno che in realtà di bellezze ne ha regalate ben poche ) mi connetterò sul canale dei Berliner e so che insieme a me molte altre persone nel mondo si uniranno in questo ascolto.

Non fosse per altro dobbiamo al grande tenore  , a Jonas Kaumann questo nostro legame fatto di gioia dell’ascolto e comune passione per la musica.

Buon anno a tutti , a quelli che tra un po’ si metteranno in ascolto e a tutti quelli che potranno recuperare il concerto su Arte per i prossimi tre mesi.

Magari ne parlerò anch’io.

Il ritorno di Charlotte

Il ricordo di un libro letto tanto tempo fa ,l’ennesima visione del Werther e la voglia di rileggere una storia che riaffiora dal troppo pieno di chi ha letto tanto ma che crede di essersi dimenticato le emozioni lontane.

Ho trovato il tempo , tra Natale e Capodanno i giorni sono più quieti, e sono andata a riprendere il libro nello scaffale.

La storia di Carlotta che arriva a Weimar ormai sessantenne per levarsi uno sfizio femminile è quanto di più sottilmente cinico poté venire in mente a quel grandissimo scrittore che fu Thomas Mann.

Carlotta a Weimar , rileggerlo è stato all’inizio anche lo stupore nel constatare quanto più elaborato ed elegante fosse lo scrivere nel secolo scorso .

La forma elegante e preziosa , la cura delle descrizioni , i personaggi tratteggiati con cura fino dall’inizio mi hanno colpito nella forma oltre che nella sostanza.

Il mito suo malgrado che si rivela ai lettori di un tempo stupiti di trovarsi di fronte la vera Charlotte di Wetzlar, quella giovinetta di cui si invaghì il giovane Goethe che rimase immortalata nelle pagine di quel libro tanto famoso e che fu ,si direbbe oggi ,il best seller di un’epoca .

Werther , tormentato dall’amore impossibile per Charlotte si sparò, non altrettanto fece il giovane Goethe che scrisse la storia dell’infelice e romantico giovane consegnando alla letteratura mondiale un capolavoro ma si guardò bene dal compiere il tragico gesto .

Lascio al lettore di oggi e al ri-lettore che come me hanno ripreso in mano il lungo racconto manniano la gioia di rileggere il sottile e ironico gioco delle parti dei protagonisti invecchiati.

La civetteria tutta femminile dell’anziana signora , il vestito galeotto di un lontano incontro , la curiosità sottile nella speranza di rinnovare un’antica  emozione , tutto raccontato con una lievità oggi impossibile da ricreare nella scrittura del nostro tempo.

C’è un orribile modo di dire oggigiorno molto usato dalle nuove generazioni : non si deve spoilerare , traduco per i vecchi : non raccontare come va a finire la storia .

Invito i miei lettori a divertirsi da soli , io mi sono ricordata la fine già dopo avere letto le prime dieci pagine!

Si crede di dimenticare ,invece tutte le emozioni sono semplicemente chiuse nei tanti cassetti della memoria .

25 dicembre

La città è scomparsa , nascosta da una fitta coltre di nebbia , di quelle nebbie tipiche di questo medio adriatico in cui si aggirano ombre mattutine: i forzati della corsa con il berretto di babbo Natale in testa , i ciclisti tenaci , i rari passanti senza meta.

Mi sento come il nonno di Amarcord di felliniana memoria : sarò forse già morto ?

Questo silenzio ovattato nasconde tutto e forse questo mondo bislacco pensa di nascondersi nella fitta nebbia per non vedere i migranti che muoiono di freddo sotto i cavalcavia , quelli in fila per un pasto caldo davanti alle mense dei poveri e tutti quelli che il Natale lo sentono come una ferita del cuore nella loro solitudine.

La Messa dell’Aurora , così si chiama la prima messa del mattino perché tanti molto più festosi sono andati in massa alla messa di mezzanotte , quella bella con canti , luci e suoni  e questa è invece una messa raccolta per intimi e beghine.

Celebra un sacerdote che non conoscevo , tanto era simile ad un altro altrettanto nero che invece celebra spesso in questa parrocchia che ho adottato come mia , tanto ormai la burocrazia ecclesiastica  non conta più.

Le letture sono molto teologiche , l’indifferenza regna sovrana.

Ma ad un tratto mi accorgo che dalle parole di una omelia niente affatto scontata mi arriva una bella citazione di Saint -Exupéry, un pensiero alto sul senso della morte che chiude questo nostro passaggio breve nel mondo.

Oggi celebriamo la nascita dal buio del nulla nel quale ritorneremo e forse in quel nulla c’è una scintilla che chiamiamo Dio , anche se ostinatamente gli uomini seguitano a chiamarlo con nomi diversi.

Penso a questa nostra nebbia che nasconde il freddo e il buio delle città ucraine , le impiccagioni  iraniane , i lager libici , le guerre e le carestie di tanta parte del mondo in cui noi siamo una piccola parte di privilegiati solo per il caso di essere nati in questa fetta di mondo tanto egoista che chiamiamo Europa.

Chissà se durante il giorno la nebbia si alzerà?

Auguri per tutti

Il buio si accorcia nel solstizio d’inverno , tutto avviene ed è Hanukà , ed è Natale e sono anche le Sigillarie : a Roma in questi giorni si regalavano ai bambini delle piccole statuine di bambinelli , piccole statuine di coccio per questo tempo festoso , un ponte di sosta prima dei Saturnali , ma quella è un’altra storia.

Qualche giorno fa ad un tratto mi è tornato in mente uno strano saluto che si scambiavano i cittadini di Ancona ebrei , una città piena di mercanti e porto di mare : Buon navale e buon anno commerciale! Ovviamente era uno scherzoso aggiramento della formula augurale .

Il buon commerciante ebreo , totalmente inserito  nella vita cittadina faceva gli auguri a modo suo e ancora ricordo quando giovine e straniera venni in questi lidi ancora qualche vecchio ci scherzava sopra.

Un cambio di consonante e una definizione dell’anno che ovviamente non coincideva col capodanno ebraico e le convenzioni erano salve .

Oggi tutto questo , anche l’aneddoto ebraico , non esiste più , un po’ perché di quegli ebrei osservanti in città non ce ne sono più e un po’ perché ormai , perlomeno dalle nostre parti è scomparso talmente il senso religioso che si farebbe fatica a pensare alla diversa religiosità delle genti.

Ma in questo tempo laico e poco osservante di ogni fede sopravvivono i rituali pagani , luci abbondanti in ogni strada e vetrina , festosità fittizia di canti natalizi che scendono sulle folle indaffarate per le strade affollate di finti mercatini con casette di legno anche a latitudini ben lontane dai mercatini veri , quelli del freddo e della neve.

Anche le musiche natalizie sono quasi tutte importate e tradotte , se si escludono un paio di classici : tu scendi dalle stelle e  venite adoriamo la quasi totalità dei canti è tradotta dal tedesco e in minima parte dall’inglese  e direi che sono tradotte anche male.

Questo è quello che offre il nostro tempo , una falsa festosità accanto però a un vero desiderio di ritrovarsi .

Tanti auguri a tutti!

Una docente

I suoi allievi dicevano che secondo loro la Bellagamba pensava in greco.

Minuta e determinata non era il terrore dei ragazzi che capitavano nella sua sezione , semplicemente si sapeva che con lei non c’erano scorciatoie e che dietro quella calma apparente c’era una docente comprensiva ma molto  rigorosa .

A me è capitato di lavorarci insieme , quando con molta incoscienza mi accingevo alla riduzione per il teatro scuola dei suoi sacri testi teatrali greci, qualche volta tagluizzandoli per motivi tecnici , qualche volta manipolandoli per renderli più appetibili per i ragazzi del Centro Teatrale.

Un suo mini garbato consiglio , una sua piccola correzione di rotta e di sicuro tutto migliorava nel risultato finale.

Poi tutto finisce , anche la bellissima storia del glorioso Centro e piano piano le insegnanti paladine del progetto sono andate in pensione.

Anche lei ci è andata via  ma seguitavamo a incontrarci spesso anche per la strada , per anni lei con una grande madre vecchissima che  ha assistito con rigoroso rispetto poi , rimasta sola  ogni tanto mi telefonava rinnovando il ricordo delle nostre bellissime trasferte siciliane , quando tra uno spettacolo e l’altro delle scuole a Palazzolo Acreide scendevamo a Siracusa per gli spettacoli dell’ Istituto Nazionale del Dramma Antico.

Piano piano però il tempo ne ha levigata la persona e la memoria : era diventata piccola piccola , quasi trasparente nelle sue vecchie improbabile giacche a vento che le cadevano addosso.

Un piccolo cencio con la sua prestigiosa memoria cancellata , i suoi saperi perduti : se n’è andata in silenzio ma resta nella memoria dei tanti suoi allievi ai quali lei , in tempi neanche tanto lontani , è riuscita ad inculcare un vero amore per quel mondo classico nel quale penso che alla fine si sia perduta.

Sull’ascolto dei Meistersinger

Leggo sempre e con molto piacere le riflessioni e le critiche di un illustre esperto in tutto : FMC e lo seguo dagli anni in cui mi deliziava con i suoi inarrivabili Papillon che poi ho ritrovato raccolti nell’Aristocratico di Leningrado a uso e consumo di coloro che non ne godevano su Classica.

Recentemente il Nostro è stato a Francoforte per dei Meistersinger che per una buona metà non gli erano piaciuti ( ah! la regietheater) e poi  ha cambiato idea attraverso una specie di divinazione circa il rapporto tra Eva e Hans Sachs. 

Strano , perché io quel rapporto nascosto lo avevo capito tanti anni fa in una edizione del Maggio Musicale al tempo in cui amavo i baritoni perché quel bel calzolaio di mezz’età mi aveva conquistato e avevo capito il nascosto desiderio della giovinetta. Era il 1986 e dirigeva Zubin Metha, il cantante era   Bernd  Weikl

Poi a Salisburgo , in una deliziosa edizione tutta in miniatura scoprii il lato tragico e umano di Beckmesser , non una caricatura ma un povero essere pensante e vittima della sua stessa intransigenza , di quello ricordo anche il nome : era Markus Werba.

Dove però divergo totalmente dal giudizio del colto spettatore è nel valutare come la figura più debole e incongrua sia nel ruolo  di Walther von Stolzing ;  ci credo se lo mascherano da cavaliere ridicolo delle fiabe o se  lo relegano a partner stucchevole da principe azzurro!

Ma se hanno avuto la fortuna che ho avuto io in ben due repliche di godere le fortunate peripezie di Jonas Kaufmann nel ruolo possono capire quanto divertente ed esplosivo sia il messaggio wagneriano affidato al rinnovatore musicale ( che poi è praticamente lui stesso).

Intanto la sua entrata in scena da cantautore con chitarra e cuffia auricolare al collo ci racconta già la sua estraneità al mondo ammuffito dei cantori , poi le gags si seguono , addirittura diverse in ogni replica  ( dalla clamorosa uscita alla fine del primo atto con il gesto dell’ombrello fino al divertente ruttino sul tetto del camioncino di Hans sorseggiando una lattina di birra ) , tutto un susseguirsi di gioiose invenzioni che accompagnano il canto mirabile che scorga con naturalezza e che lo porterà alla vittoria sulla Pegnitz

Tutto questo per dire che in una stupenda opera come sono i Meistersinger giocano con notevole importanza le capacità attoriali e di introspezione dei vari cantanti chiamati alla bisogna.

Dove sono perfettamente d’accordo col mio illustre esperto è nel dire che il Quintetto è una delle più belle pagine mai scritte in tutta la storia della musica  ( Selig vie die Sonne) dall’attacco di Eva fino alla fine è una pagina che quando il morale scende serve a riconciliarmi con la vita.