Ritrovare il segno

Un mare di melassa scende dai teleschermi inondandoci di tavolate di famiglie felici , di sorridenti scambi di doni sotto alberi di Natale sempre più brillanti mentre da ogni malefico altoparlante calano le caròle natalizie e contemporaneamente come in un film dell’orrore scorrono sotto i nostri occhi indifferenti le stragi  nella neve vera che mette freddo , non  quella sorridente e pubblicitaria delle stazioni sciistiche .

Avviene così che il Natale sia il giorno più odiato da miriadi di persone moderatamente infelici , spesso avvolte nel freddo della solitudine che diventa più evidente in cotanto buonismo imposto.

Dove sono più “ les neiges d’antan?”

Si dovrebbe cercare di ritrovare  il senso vero di questa luce che arriva dopo il buio del solstizio d’inverno e che poi per convenzione fu adottata dal Cristianesimo come luce divina che scende nel mondo a illuminare le genti.

Intorno si respira una speciale speranza che superi la ricorrenza e che  fu sintetizzata nel cereberrimo : – “e anche questo natale ce lo siamo levato dalle balle!” di un famoso cine.panettone dei felici anni ottanta.

Poi però avviene che , nonostante tutto quello che ho scritto finora per una specie di rito scaramantico io abbia finito per rifare il classico albero davanti alla vetrata e il presepio con le statuine sempre uguali e sempre più stupite di uscire ancora una volta dagli scatoloni della cantina .

Così una sera è venuto qui per pochi attimi il mio nipote più piccolo , un bambino vero che si è incantato davanti alle luci della sacra rappresentazione   , fermo e attento guardava incuriosito dietro i suoi spessi occhiali la scena che io cercavo di raccontare come un cronista laico.

Poi ha visto anche l’albero e mi ha detto : questo si vede di notte anche da lontano ! e anche se io so che non è vero la sua ammirazione mi ha intenerito.

L’unica strada possibile per recuperare il senso vero del Natale , quello con la maiuscola ,lo dobbiamo cercare  guardandolo attraverso con gli occhi di un bambino , forse solo così ne potremo ritrovare il messaggio e la poesia perduti.

Il campanello

Poi arriva un giorno in cui pensi che sia ora di finirla con questo blog , viaggi sempre meno frequenti , le occasioni più rare.

In un triste giorno di dicembre arriva anche la notizia dell’improvvisa scomparsa di un vecchio “compagno” che mi inondava quasi giornalmente di poesie o meglio di filastrocche ironiche .

L’ultima ha la data del 13 dicembre e ha questo incipit:
Dov’è che andremo privi di compagni e compagne , e bandiere nel gran vento?

Non ha molto senso parlarne in questo mio spazio sempre più privato e che ha statistiche gratificanti solo quando scrivo di quello che ormai sembra più un ricordo lontano piuttosto che una star mondiale e che ormai fatico a rincorrere nella fatica dell’età che avanza .

Ma eccomi qua ,: davanti ho il campanello da “ presidente di assemblea “ che ironicamente il mio caro ex compagno  mi regalò quando gli tolsi la parola nella mia rigida regola che “ tre minuti bastano anche al parlamento europeo… “ e a te che amavi fare lunghe dissertazioni sembrò un’offesa da lavare col sangue.

Stamani si sono alzate le nebbie costanti di questo Medio Adriatico così poco attraente alla fine dell’autunno , si è alzato un vento di terra che porta squarci di azzurro e anche se sto pensando di smetterla di raccontarmi ai generosi amici che mi seguono fedelmente mi sono messa ancora una volta davanti alla tastiera ,so che non avrò tanti Like, ma se questo che nacque come uno spazio di omaggio per un grande tenore nel tempo è diventato il mio diario pubblico oggi un argomento per scrivere ce lo avevo davvero ed eccomi qua ad annoiarvi.

Ma prima o poi smetto davvero , prima che siano costretti gli altri ad annunciarne la chiusura.  

Père, Père !

Ieri sera ho rivisto il Werther di Massenet in televisione sul canale Classica e nonostante che a suo tempo lo avessi rivisto tante volte ho provato ancora una volta la stessa emozione e ho subito lo stesso fascino che ormai dodici anni fa la visione di quello spettacolo parigino mi aveva procurato.

Negli anni ero pure andata a risentirlo al Metropolitan a NewYork  ma quel giovane disperato ,nel perfetto vestito indicato da Goethe nel suo capolavoro romantico , era stata una delle grandi emozioni della mia vita di melomane.

Jonas Kaufmann in quegli anni era veramente l’incarnazione dell’infelice giovane che tanto aveva fatto vittime nel tempo in cui il romanzo fu scritto e dopo un paio di secoli anche in tutti quello che lo sentirono all’Opera Bastille o ne videro il video diffuso da Arte-

La perfetta e scarna regia di  Benoit Jacquot  e anche la ripresa televisiva di  Louise Narboni che introduceva il protagonista già nelle quinte avevano avuto buon gioco nel trasportarci in quell’atmosfera semplice e rarefatta di quel microcosmo familiare di quella lontana provincia tedesca.

Mi ricordo che a suo tempo parlammo del cinema di Ingmar Bergmann per trovare qualcosa di simile e il povero Ludovic Tezier si è portato dietro negli anni con quella marsina amaranto l’ingrato ruolo del marito di Charlotte.

Nella ripresa video diretta il povero Kaufmann era davvero malato e in alcuni momenti sembrava soffocare nascondendo a fatica dei colpi di tosse che comunque aggiungevano , se possibile , ancora più fascino al personaggio.

Era l’epoca in cui aveva i suoi denti storti poi nel tempo sfoggiò l’attuale sorriso merito anche di qualche anno di lavoro di dentista.

Come molti ammiratori del tenore ho anche il DVD ufficiale nella mia ,credo integrale collezione di video ,ma ormai i video quasi nessuno li guarda più , se ne stanno allineati sulla scaffale a futura memoria.

Diverso è stato ieri sera rivedere sullo schermo grande della tv l’amato spettacolo.

Anche stavolta sono arrivata alla fine col cuore in gola.

Le notti della peste

Ho finalmente finito di leggere un libro lunghissimo che mi ha fatto compagnia per qualche settimana e mi ha divertito moltissimo.

Dello stesso autore avevo già letto altri libri ma Le notti della peste di Orhan Pamuk è particolarmente interessante anche se , devo ammetterlo , la inusuale lunghezza mi aveva inizialmente intimorito.

Invece questo fluviale libro- mondo si legge con leggerezza e pagina dopo pagina ci si accorge che dietro il presunto libro storico di denuncia corre una sottile e continua vena di umorismo , un disincanto totale verso tutte le storie ufficiali che tutti abbiamo letto e magari studiato durante la nostra vita .

Non inganni l’idea superficiale che sia un libro  sul Covid o che sia una denuncia contro l’attuale regime turco.

In realtà nelle pagine di Pamuk c’è un po’ di tutto , ma soprattutto c’è l’intelligenza dell’autore che smettendo i panni di narratore si fa portavoce di un’autrice apocrifa e con il sistema delle scatole cinesi ci racconta un libro- nel libro- nel libro.

Cosìcchè l’inesistente isola di Mingher diventa uno specchio del mondo e ci racconta con sublime ironia tutte le inutili storie di eroismi passati , tutte le leggende storiche più o meno plausibili che hanno riempito i nostri libri di storia.

Ne consiglio la lettura agli amici che abbiano avuto un po’ di domestichezza con la Grecia , la Turchia , le isole greche e che si ricordano un po’ di storia anche del nostro passato.

Con una felicità unica ci si trova a familiarizzare  con i deliziosi nomi inventati di tutti i personaggi , il gioco leggermente faticoso all’inizio si apre piano piano e la peste che invade le strade della incantevole isola , somma e compendio di tante bellissime isole sparse nel Mediterraneo ,diventa il pretesto su cui si fondano tutte le agiografiche vicende pseudo-eroiche delle nostre letture passate.

Parole nuove

Le notizie curiose di fine d’anno. C’è chi si diverte a cercare le parole nuove e gli stili di tendenza e allora la Oxford University Press ha studiato la le parole dell’anno e quella che è risultata vincente è Goblimode ( letteralmente moda del folletto ) e consiste nello stare comodi e rilassati come è successo durante il lookdown , quando costretti a stare in casa per lavorare e/o  per studiare si ricorreva allo smartworking e a tutte le forme di contatto remoto restando comodi e informalmente coperti davanti al computer .

Quando poi si è lentamente potuto tornare a uscire di casa molti che avevano scoperto la comodità di restare praticamente in felpa o in pigiama hanno rinunciato a fatica a questa conquistata libertà nel loro abbigliamento.

E’ nata così la goblimode , versone un po’ meno sciatta dell’abbigliamento casual diventato universalmente usato da chi si alzava dal letto e comodamente vestito spesso a metà si siedeva davanti al proprio pc.

Gli stilisti attenti e in generale i venditori di abbigliamento di moda hanno  introdotto sul  mercato una gran quantità di tute e felpe , rigorosamente bi-sex così che ciascuno , pure sentendosi gratificato nel nuovo acquisto, trovasse in giro tutta una gamma di outfit comodi e che contenesse quel tanto di modaiolo che ne giustificasse la spesa.

Giorni fa , cercando in vecchie riviste di cucina alla ricerca di una ricetta natalizia che non trovo più , mi è saltato all’occhio quanto la moda e il costume siano cambiati diciamo così dalla seconda metà del Novecento.

Addio alle cravatte , addio alle calze di seta , al mezzo tacco delle signore bene, addio alle teste cotonate , addio ad ogni forma di abbigliamento che ne indicasse la classe sociale.

Oggi è tutto appiattito in una libertà globale , giovani e vecchi , ricchi e poveri tutti in goblimode, non è detto però che questa libertà porti ad una nuova eleganza diffusa.

Mistero giallo

Leggo da qualche giorno strane storie di polizia cinese in Europa con uffici anche nel nostro paese e ad un tratto mi viene in mente una strana vicenda che riguardava un emporio molto divertente e pieno di mercanzia di ogni genere che stava nel vicolo dove passo ogni giorno per andare al parcheggio.

Da un giorno all’altro quell’emporio , un vero dedalo di stanze cariche di oggetti di ogni tipo : dalla cartoleria ai casalinghi , dai giocattoli alla biancheria l’ho trovato chiuso , sbarrato il cancelletto esterno, cartellino misterioso in caratteri cinesi e nessuna spiegazione in italiano.

In un primo momento avevo pensato che fossero andati in ferie , una famigliola gentile e sempre sorridente, poi sono passati i mesi e il mistero ha finito per non appassionarmi più fino a quando ho cominciato a leggere quegli strani articoli su misteriose stazioni di polizia cinese in Europa con finalità abbastanza vaghe e giustificazioni della loro presenza altrettanto risibili.

Il controllo della repubblica cinese sui cittadini all’estero sembra essere molto capillare , dal sistema delle rimesse economiche alle attività di dissidenti politici , tutto rientra in un calderone di controlli che è sembrato sfuggire per anni alle polizie occidentali.

Mi sembra impossibile pensare che quella sorridente compagnia di cinesi che lavoravano tranquilli nel loro fornitissimo regno potesse nascondere attività irregolari per il loro paese o peggio che complottassero contro la  loro patria lontana.

Certo è che da quando leggo certi articoli sempre più frequenti sui nostri quotidiani ho cominciato a guardare con occhi molto più incuriositi a quel cancelletto chiuso sull’emporio del vicolo che sicuramente nasconde ancora tutta la merce e che in nessun modo e in una sola notte penso sia stato possibile portare via.

Sant’Ambrogio

Finalmente una prima scaligera che mi ha  riportato a emozioni lontane, al sincero plauso  finale , al tempo di ascolto volato .

Non era il mio mio primo Boris , anzi per l’esattezza non era neanche il mio primo Ur-Boris perché una diecina di anni fa lo avevo ascoltato a Monaco  , diretto da Kent Nagano e con la regia di Calixto Bieito e se vado molto più lontano ,arrivo al Boris di Boris Christoff a Firenze quando seguivo giovinetta la mia mamma  nel suo amore sconfinato per questa musica russa .

Nel mezzo tante altre volte , non è opera rara nei nostri teatri , nelle varie edizioni e rimaneggiamenti di Rimski-Korsakov, ma questa volta ho ritrovato tutte le emozioni e tutto il godimento nell’ascolto di questa musica piena di echi popolari e al tempo ricca di sottigliezze psicologiche raffinate.

La scelta registica quasi didascalica del danese  Caspar Holter, ma di formazione inglese per i molti anni alla direzione della ROH mi è piaciuta , lontana da compiacimenti interpretativi superflui .

Sapeva di avere un grande , grandissimo protagonista e una compagnia di canto di tutto rispetto  , sapeva di potere contare su una direzione musicale  raffinata e attenta e sapeva anche che il grande co-protagonista , il coro della Scala ,avrebbe fatto la sua grandissima parte mirabilmente.

Ibdar Abdrazakov è stato magnifico per la presenza scenica e soprattutto per essere entrato nel personaggio lentamente , dallo ieratico ingresso dell’incoronazione , fredda a regale fino al ripiegamento anche fisico nel finale tormentato  e perdente .

 Unico neo , non c’era bisogno di pugnalarlo , si era già ucciso da solo , raggomitolato nel suo terrore e nella sua colpa. 

Ho trovato bravissimo Norbert Ernst ,un cantante dell’Opera di Vienna ,nel ruolo di Sujiski e Alezey Maikov ( già ammirato recentemente nella Dama di Picche) , ma chi mi ha colpito particolarmente è il giovane Yaroslav Abraimov nel ruolo dell’Innocente , lo vorrei risentire come Lenski , ne ho molto ammirato la purezza del canto e la presenza scenica.

Un po’ sottotono mi è sembrato il Pimen di Ain Anger , ben altro monaco avevo sentito a Monaco, devo dire però che forse si è molto migliorato nella perorazione finale.

Fisicamente abbastanza ambiguo il falso Dimitri e spettacolare la sua fuga verso l’alto nella chiusa della prima parte , uno delle poche concessioni ad effetto dell’intera rappresentazione.

Qualcuno ha trovato superflua la presenza visiva dell’incubo di Boris , il perenne spettro insanguinato dello Zarevic , ma la sua presenza diventa molto più importante nel momento in cui si ammucchiano i cadaveri degli innocenti uccisi nel massacro di San Basilio e non si va molto lontani nel vedere quel mucchio di bambini morti pensare a tante più recenti vittime di ogni guerra infame.

Ci sarebbero anche altre cose da dire della serata : dalle sgangherate ciarle del duo Carlucci- Vespa ( con toppata gigantesca di Augias ! ) al prezioso contributo preso al volo su RaiNews24 del bravissimo Alberto Mattioli che in pochi minuti ci ha detto tutto quello che serviva per capire l’opera , solo che bisognava essere gatti di telecomando per correre da qua a la in breve tempo, non tutti sono così gatteschi da seguirlo ovunque , fino al commento dovuto sulle toilettes blu-nere delle signore che contano.

Devo ammetterlo , la Meloni non ha sbagliato neanche stavolta , affidandosi all’Armani sicuro si è messa al riparo delle cattiverie che volentieri le penne meneghine avrebbero scritto su di lei.

Per addetti ai lavori

Una colta amica francese ha aperto un elegante dibattito sul suo personale dubbio che in ultima analisi JK interpreti sempre lo stesso ruolo , qualunque sia il personaggio che interpreta.

Forse la questione era leggermente provocatoria , almeno a mio avviso e la cara amica voleva solo essere smentita.

Lo abbiamo fatto in tanti, evidentemente il gruppo al quale si è rivolta è formato in gran parte da fedeli seguaci dell’amato tenore ed è stato facile leggere nelle risposte una linea comune , non una banale difesa d’ufficio , più un’analisi riguardante nel tempo la naturale evoluzione in termini di interpretazione ( e aggiungerei io ) anche di evoluzione della voce.

L’intelligenza di Kaufmann è stata anche quella di lasciare certi ruoli giovanili per avventurarsi in personaggi più vicini alla sua età anagrafica anche se in tempi di pandemia durissima fu capace di ritornare ad un Rodolfo incredibilmente quasi più giovane dei suoi giovanissimi compagni di cast.

In questo senso mi mette qualche dubbio il fatto che abbia in calendario un ritorno a Wether la prossima estate a Londra , anche se credo la voglia di riprendere il personaggio sia più dovuta al piacere di tornare a lavorare con Pappano.

Vero è che io ho il ricordo di Alfredo Kraus , probabilmente molto avanti negli anni sentito a Firenze nei panni del romantico suicida , ma è anche vero che non aveva un repertorio vastissimo e il suo Werther era comunque di riferimento in tempi lontani.

Tornando al nostro bien aimé dobbiamo sempre tenere presente che anche se musicalmente il suo è un approccio approfondito e intelligente al personaggio purtuttavia resta comunque il fatto che l’interpretazione musicale del ruolo e la gamma di espressioni e azioni  di un cantante sono sempre più limitate di quelle di un attore di prosa .

Quello che a volte però tuttora mi stupisce che spesso riesca a entrare nel personaggio per sottrazione , arte difficile e raffinata che si riscontra solo nei grandi , prosa o musica indifferentemente.

La ruota

Sempre più strana la natura : la scorsa estate le ortensie davanti casa erano scolorite e smunte , un pallido ricordo di quello che furono l’anno prima.

Andavo a riguardarmi le foto perché mi sembrava impossibile che gli stessi fiori , nella stessa aiuola , con lo stesso annaffio automatico fossero davvero così diverse nella consistenza e nei colori. 

Poi è arrivato questo lunghissimo autunno fino all’inverno tra alti e bassi e oggi , 4 dicembre, le ortensie che dovranno per forza essere potate sono di un rosso sfolgorante, bellissime come non lo sono state mai dal momenti della loro fioritura primaverile.

Le ho fotografate per mio compiacimento , devo dire che mi affascina il diverso e talvolta improbabile andamento delle piante.

Con il telefono in mano sono entrata in casa : fuori dalla vetrata sul platano in giardino erano rimaste tre foglie tremanti nel vento e ho pensato di essere un po’ come loro, e ungherettianamente le ho fotografate.

Ed ecco , proprio mentre scattavo la foto alle ultime tre foglie  due sono volate via , la foto è praticamente la rappresentazione di un tronco nudo.

E’ la plastica rappresentazione dell’inverno in arrivo , stranamente però non mi mette tristezza anzi mi piace osservare nel ciclo naturale del tempo i segni delle giornate più corte e anzi so che siamo quasi alla fine del calare della luce.

Forse sono un po’ matta , ma mi mette più tristezza l’estate quando nel massimo splendore so che è proprio lì che comincia a spuntare il declino . Qualche volta penso di avere la testa decisamente rovesciata all’indietro.

Dialogues des Carmélites

Lo spettacolo inaugurale della stagione del Teatro dell’Opera di Roma segna un punto alto nella produzione di questo teatro che seguita a dimostrare vivacità di intenti e coraggio nelle scelte.

Questi Dialogues sono un particolarmente riusciti per una serie di circostanze.

Un momento felice della  regista Emma Dante che spogliatasi di alcune sue ricorrenti tematiche ,spesso anche troppo riconoscibili ,firma uno spettacolo rigoroso e asciutto come il testo richiede.

Una felice direzione musicale , un  Michele Mariotti maturo e sensibile che si è avvicinato alla straordinaria partitura con la necessaria linearità, un cast di tutto rilievo dove ovviamente brilla la stella di Anna Caterina Antonaccci di cui non finirò mai di dire tutta la straordinaria capacità di entrare nei personaggi con tutta la sua persona.

La ripresa RAI non ha levato niente alla rappresentazione , semmai , valorizzando le riprese con eccellenti luci , ha reso anche più lineare la comprensione del testo .

Inutile dire che si tratta di uno dei pochi capolavori della seconda metà del Novecento .

Gli stupendi e spiritualmente emblematici dialoghi di Georges Bernanos credo siano statiall’origine del felice risultato musicale di Francis Poulenc.

La possibilità di seguire con la facile lettura dei sottotitoli in italiano penso abbia permesso a molti spettatori digiuni di tanta spiritualità quanto siano totalmente interconnessi testo e musica fino a farne un Unucum perfetto.

Le sedici suore del Carmelo che scelsero la via del martirio , nonostante la umana paura e i tentennamenti della coscienza segnano una tappa del percorso spirituale della natura umana davanti alla scelta estrema nella quale il coraggio prevale , oserei dire , senza passare per il fanatismo.

Grande emozione e il silenzio che ha accompagnato la chiusa dell’Ave Regina dopo l’ultima sciabolata della ghigliottina ha forse dimostrato palpabilmente il livello emozionale raggiunto dallo spettacolo.

Chi può vada a Roma e non si perda questa rappresentazione , comunque è anche recuperabile perfettamente su Raiplay , ne vale la pena,

Facciamoci del male

Forse esiste uno strano complotto tra i registi affermati a chi fa il Don Carlo più brutto e Claus Guth è in buona posizione.

Aveva in mano tutti ( o quasi ) gli elementi migliori su piazza , il testo monstre della versione di Modena e che fa?

Condito con tanti luoghi comuni che bastavano la metà riesce a tirare fuori dal  massimo , difficile e problematico capolavoro verdiano una versione che definire modesta è già un regalo.

La televisione poi riesce a enfatizzare tutte le magagne , a cominciare da Don Carlo che ,vestito da cameriere di pizzeria che nel primo atto si è vistosamente perso pure il microfono per il resto ,non sapendo assolutamente recitare ,lo hanno sbattuto per terra in posizione fetale , così perlomeno si notava poco.

I pezzi da novanta Tezier e Garança alle prese col testo , cattivissimi i sottotitoli , fanno la loro parte come la sanno fare , da grandi interpreti ma lui , nonostante i ricci alla Jonas ,ormai è incinto di otto mesi e lei con una gorgiera sempre di traverso è pure costretta allo spogliarello inutile durante la sua grande aria.

La povera Elisabetta così nana da confondersi spesso col nano malefico svolazzante ,( un Monaciello inutile e molto fastidioso e purtroppo quasi perennemente in scena,) ha una voce potente , purtroppo le cola il trucco pesante ,ma alla fine” le sue vanità” sono di tutto rilievo

Pertusi il mestiere lo sa da secoli , forse quello che si salva meglio anche se mascherato da Guglielmo II si muove bene nelle pieghe del testo tante volte rimaneggiato.

Tagliato , e mi fa male , il Lacrimosa sul corpo di Posa ,seguitiamo a vedere i ragazzini delle proiezioni video , il teutonico “non innovatore” pensa così di spiegarci la vecchia amicizia come se non bastasse la splendida musica verdiana a sottolinearlo ogni due per tre.

Direzione arruffata quanto basta , Valçuna non regge l’organico e lo scroccare dei corni è fastidiosamente esaltato.

JeanLuis Basso , bravissimo con i cori , se la cava meglio , costumista e scenografo da passare alle armi.

E non diamo la colpa al pessimo audio RAI, stavolta la montagna ha partorito il topolino.

PS: irritante “spiegone “ finale , all’una e mezzo non si perdona più niente,

Chénier , mon amour

Un’opera che amo , il mio amatissimo tenore , la dolcissima Maria otre tutto carissima amica , avrei avuto anche la possibiità di comprare un bel biglietto , ma sono qua a guardare con rimpianto le foto delle prove .

Il banale motivo è l’esuberante costo del biglietto aereo Ancona- Vienna , oltre a tutto neppure diretto.

La saggezza , (ma si chiama anche vecchiaia ) mi trattengono a casa anche se vedo in lontananza la prospettiva di incrociare di nuovo il poeta , forse a Milano , forse a Aix.. 

Questa opera per tanti anni messa nel dimenticatoio dalle mode che avevano disdegnato il periodo musicale del verismo è ritornata in auge proprio grazie alla prima bellissima ripresa londinese con Jonas protagonista .

C’è stata poi la stupenda risposta di Monaco , uno Chénier diverso e altrettanto affascinante .

Poi l’opera è tornata in repertorio  ,corsi e ricorsi  ( anche se al mio amico Mattioli seguita a piacere poco la “Rivoluzione à la carte” di Giordano.

Eppure il mio blog che ormai , come un piccolo sismografo , segna i gusti di chi generosamente lo legge registra al primo posto un titolo “le arie di Andrea Chénier “ che seguita a essere gettonato anche col passare degli anni.

Ricordo quando in un lontano backstage a Salisburgo portai a Jonas una foto di Franco Corelli nelle vesti di Chénier presa dall’archivio del teatro delle Muse di Ancona , forse cominciò da lì l’ipotesi del progetto di consegnarli il premio che sarebbe stato il coronamento del centenario della nascita del grande affascinante tenore nato a Ancona.

Proprio in questi giorni a coronamento di un anno di manifestazioni in onore della gloria cittadina hanno posto una lapide davanti la sua casa natale .

Ci eravamo passati davanti anche il giorno della consegna del premio a Kaufmann.

Oggi il mio blog sospira e rimpiange . Senza invidia e con tanti affettuosi toi toi toiper la Prima tra pochi giorni.