Dell’ Ippolito

Leggo la notizia di una pubblicazione dell‘Ippolito di Euripide , una versione per i giovani .
Ma nessun testo è cosi vicino ai giovani e ai loro problemi di Ippolito .
Quando l ́abbiamo messo in scena col Centro Rinaldini ( al Liceo classico di Ancona ) abbiamo lavoro mesi e mesi con i giovani coinvolti nel progetto .
La storia di un giovane indifferente alle donne che amava solo la caccia e i compagni, la folle passione che provoca nella matrigna Fedra , la reazione rabbiosa del padre Teseo , la tragica fine magistralmente narrata dal messaggero è talmente moderna da non avere bisogno di commenti.
Ricordo le due Dee in in competizione : Afrodite e Atena in lotta fra loro ( le giovani bravissime si erano addirittura scritte i versi greci e inventate le musiche ) , il pianto di Teseo sul corpo del figlio morto e le tante ragazze del coro
( con tante gonne comprate in svendita su una bancarella! )
Ci eravamo inventati anche un Minotauro che avvolge Fedra nelle sue spire, fantasia al potere, soldi pochissimi ma tanta voglia di riuscire in uno spettacolo degno che potesse ben figurare in Sicilia al Festival dei giovani dell‘INDA.

Fu molto bello lavorare con una libertà oggi inimmaginabile , ci lasciavano rientrare la sera a scuola , mai successo niente di sgradevole , quando c’è l’impegno si collabora in serietà, la grandezza dei versi immortali , tutto contribuiva a rendere il nostro lavoro addirittura più utile delle comunque importanti lezioni curriculari di greco.

So per certo che molti di quei giovani riportano dei loro ricordi scolastici l’esperienza teatrale tra le cose più importanti del loro percorso al liceo.
Oggi mi va di scriverne e di ricordarli tutti i mei ragazzi , oggi professionisti affermati in tante diverse discipline .
Spero mi leggano e magari tornino a riguardare le foto di allora .

Quanto a me , il ricordo fortissimo di quelle esperienze lontane e’ il lusso che mi concedo con orgoglio e tenerezza.

Der Abschied

Oggi 7 luglio nel lontano 1860 nasceva a Kaliste nella lontana Boemia Gustav Mahler .

Amo la sua musica che riconosco sempre , quasi senza averne una immediata riconoscibilità , non sono una musicista e la mia cultura musicale  è sicuramente modesta.

Eppure appena ascolto qualcosa che in qualche modo mi turba e mi affascina contemporaneamente so che sto ascoltando una sua composizione.

La radio è sempre accesa in macchina e la musica parte senza una mia scelta.

Difficile rendere a parole la sensazione di qualcosa che struscia nel profondo dell’anima , che mi fa tendere all’ascolto come se mi sentissi attraversata e sollecitata come una corda di violino .

Ma c’è una pagina particolare di Mahler che tengo nel cuore in un modo così tanto struggente che rischia addirittura di farmi male.

E’ il lungo lied finale del Canto della terra: Der Abschied e quando lo dissi in un breve colloquio a Jonas Kaufmann  ( avevo ascoltato la sua versione a Parigi e avevo con me il Cd che ne era stato realizzato), lui mi ha sorriso quasi con complicità , evidentemente anche per lui quella pagina ha un valore particolare  e allora mi scrisse una strana dedica con un pennarello rosso e io ci avevo messo un po’ per capirne il testo , comunque bellissimo.

Quegli ultimi sette Ewig che finiscono nel nulla sono una dissoluzione dell’anima .

Ha scritto un colto amico che leggo sempre con piacere che forse vorrebbe che quel sublime finale risuonasse nella sua mente nel momento dell’ultimo addio . 

Credo che sarebbe una bellissima fine per ognuno di noi che amiamo il grande genio e che nel ritiro di Dobbiaco l’ha composta  lasciandola  a noi , che ancora possiamo goderne la sublime bellezza.

Tempi moderni

Doveva essere l’estate in cui ci saremo messi alle spalle il brutto sogno che è stata la pandemia e invece siamo di nuovo nell’incubo aggravato da tanti altri pesanti eventi : una guerra in Europa , un siccità biblica , un caos aeroportuale ( e non solo ) che fanno aasomigliare gli speranzosi vacanzieri a dannati senza gloria accomunati nella vana speranza di una qualche regolarità nei voli che sono diventati anche carissimi , nonché aleatori.

Sembra un bollettino di guerra : scioperano tutti e in tutti i paesi.

Un disincantato dirigente di una una famosa compagnia low cost ha detto chiaramente che quello che stiamo vivendo non è un episodio transitorio , ma  la fine di un epoca nella quale si poteva pensare di spostarsi con leggerezza inseguendo i propri sogni di vacanze e di eventi da raggiungere facilmente.

Personalmente una nota , anzi notissima compagnia aerea mi ha spostato per quattro volte un piano di volo semplicissimo in tempi normali , una specie di fly-game thriller e alla fine sono crollata ,

ho pensato che stare a casa , in riva al mare , alla fine sarà la soluzione ottimale visto anche la mia venerabile età che non consente più avventure .

Viviamo un’estate piena di sensi di colpa : il prato ingiallisce e non si ha il coraggio di annaffiare pensando alle regioni già in stato di calamità, verrebbe quasi voglia di intonare riti propiziatori per la pioggia e poi la si teme perché quando arriva insieme a vento e grandine a falciare le povere rose che non riescono a fiorire perché sono già appassite.

Il Covid ha rialzato la testa , siamo all’estate indiana e non è il titolo di un romanzo.

Invidio gli intrepidi che hanno ancora voglia di spostarsi per raggiungere i Festival che hanno ripreso la loro attività culturale , che Caronte li protegga  mentre mi viene da pensare che solo una ragazzina svedese , fastidiosa e petulante ci aveva avvertiti tutti , la terra si è stufata di farci i suoi doni e i cretini stanno ancora attaccati ai loro condizionatori.

Sarà da ridere quest’inverno quando ci dovremo rimettere i piumini anche in casa !

Vittoria della minestra

In questo tristissimo tempo di guerra come il baleno di un sorriso arriva una notizia lieve : l’Ucraina ha vinto la battaglia del Borscht.

Sembrerebbe una frivolezza , in realtà è una sottile vendetta culturale perché la giuria internazionale che doveva decidere se il famoso piatto tradizionale fosse russo o ucraino ha deciso che  la storia russa nascendo in realtà dalla grande Kiev dovevasi attribuire all’Ucraina la progenitura del sollodato piatto tipico.

Devo dire , obbiettivamente che avendolo dovuto assaggiare durante il mio antico viaggio in quelle terre lontane non ne serbo un gran ricordo.

Odiando le barbabietole e la panna acida non è che il connubbio fosse per me fonte di delizia del palato.

Oggi però la notizia mi ha riempito di allegria e mi riserbo magari di dare al mitico piatto a suo tempo orripilato una prova d’appello : hai visto mai che alla luce di tutte le sacrosante rivedicazioni  ucraine firirebbe per piacermi anche l’esotica aborrita minestra ?

Si dice che i gusti cambiano ogni sette anni , dal tempo in cui mi ritrovai a mangiare il borscht di anni ne sono passati due o tre volte sette , giusto in tempo per dare una prova d’appello alla minestra che adesso so di essere ufficialmente ucraina.

Addio a un maestro

Non avrei mai conosciuto un antico poema indiano se non ci fosse stato un mago della scena che si chiamava Peter Brook : il suo Mahabharata , quante ore costretti nel silenzio di partecipanti alla lunga saga ( e un ricordo qui va anche a Vittorio Mezzogiorno ) un  italiano che eccettò la sfida partecipando alla kermesse , un modo totale di fare teatro che non ha più eredi sulla scena di oggi.

Poi il suo Marat- Sade , uno spettacolo e poi un film , una sconvolgente messinscena , indimenticale quel manicomio di Charenton.

Qualche volta mi domando se sia solo la pigrizia che non mi fa più andare a teatro oppure la sensazione di noia che mi prende perché mi sembra di avere già visto tutto , perché salvo rare preziose eccezioni il teatro oggi non riesce più a darmi quel senso di partecipazione totale , quel coinvolgimento dell’essere tutt’uno con lo spettacolo che mi davano gli spettacoli una volta.

Forse solo la gioia di avere fatto teatro classico con i ragazzi , la meraviglia di un coro greco , un teatro povero fatto con poche sedie e tanto entusiasmo : tutto questo forse per avere visto in un tempo lontano qualche spettacolo di quel mago della scena che è stato Peter Brook .  

In fondo credo che la magia irripetibile del teatro consista proprio nel ricreare l’attimo nel quale si vive insieme il palpito dela vita vera , quella che solo la scena riesce a ricreare.

Una canzone

Luglio , col bene che ti voglio , vedra’ non finirà…..ho cominciato a canticchiare stamattina e piano piano mi è tornato il mente un mondo lontano : il’68 che è stato  tante cose per tutti e per ciascuno di noi anche tanto altro.

Piano piano ho ritrovato i versi piani e gentili nella mia testa , poi il nome del cantante : si chiamava Riccardo Del Turco ed era , forse , anche parente di una  mia compagna di scuola .

Una buffa e simpatica biondina che riemerge nei miei ricordi fiorentini lontani insieme alle note della canzone , il testo ( poi oggi si fanno delle rapide ricerche su tutto ) è di Bigazzi , uno che decisamente ci sapeva fare con le parole.

Una televisione in bianco e nero , una fetta di vita lontana e un ritornello che torna puntualmente ogni anno.

Si apre questo luglio caldissimo con il refrain che sa di cose lontane, chissà perché mi sembra di ricordare che fosse un tempo più garbato , forse faceva meno caldo.

Del Turco , cognato di Endrigo , il mondo delle canzoni dai versi che avevano un senso , roba di un altro mondo :

Luglio, ho tanto freddo al cuore…….

Altri tempi

Nellla preistoria dell’automobile c’era una tecnica misteriosa che bisognava imparare per cambiare le marce , soprattutto per scalarle e questa operazione complicata si chiamava “ la doppia debragliata.”

Bisognava impararla , specialmente se si doveva guidare la mitica  Fiat 500 e consisteva in una piccola serie di movimenti sincronizzati tra il volante e il pedale della frizione.

Quando poi l’avevi imparata ti sentivi pilota di Formula Uno e affrontavi tornati e curve sulle strade impolverate con vera maestria.

La macchina era piccola  ma aveva in proporzione un volante grandissimo e poi c’erano le porte che si aprivano verso il davanti per cui la vera signora doveva imparare a uscire con rotazione totale del corpo tenendo le gambe ben unite , anche questa una speciale tecnica onde non sembrare come quelle signorine un po’ chiacchierate che non facevano il gesto elegante e che si dedicavano ad un antico mestiere.

Poi arrivarono le porte antivento , il volante divenne sempre più piccolo e soprattutto le marce furono sincronizzate  per cui la ragazza emanicipata che fu e che sapeva guidare come un camionista perse un po’ della sua aura sportvo-elegante.

Tra un po’  ci saranno macchine che si pilotano da sole e che non faranno correre i rischi relativi alla figuraccia di grattare sul cambio come succedeva con grande onta in tempi lontani  nei quali si poteva avere da parte dell’istruttore di guida un consiglio :
quando devi cambiare fai anche un bel colpo di tosse , tanto così per fare e soprattutto per coprire l’orrendo urlo del cambio di chi non aveva proprio la sensibilità necessaria a superare il test della “doppia deragliata”.

Valla un po’ a raccontare oggi una storia di questo  tipo , praticamente sei guardata come se venisse direttamente  dal pleistocene !

La commedia è finita

Il Covid non è finito  nonostante i  miei ripetuti richiami ( ho detto che per quanto mi riguarda posso emulare anche Beethoven e arrivare anche alla nona ) ho schiavato tutte le varianti e sottovarianti tanto che fino ad ora sono riuscita a evitare il virus.

Ma il Covid colpisce ancora , indirettamente e forse anche psicologicamente, anche me.

Ho deciso di non andare a Londra , buttando via un bel po’ di soldi ma la rinuncia , complice anche la confusione dei voli , i disagi che comunque comportano i medesimi e soprattutto le connessioni a rischio , il caldo che magari tra venti giorni sarà meno atroce , ho cancellato il breve programma estivo che mi ero concessa.

Doveva essere l’evento più importante dells stagione del ROH , è diventata una specie di Waterloo: prima la dolorosa sostituzione di Anita poi un Canio , anche se rispettabilissimo , che non avrà mai per me quel    violento impatto che provai a Salisburgo in quel mitico Festival di Pasqa del 2015.

Anche se sono certa che non si ripete mai una emozione così forte avevo sperato in un altro miracolo interpretativo di Kaufmann , lui è sempre capace di reinventarsi ( anche il Turiddu del SanCarlo ne  era stata  la conferma) , ma soprattutto i Pagliacci dovevano essere la punta di diamante della stagione londinese.

Passo al programma d’autunno , con molta tristezza e sperando che nel frattempo il virus non si inventi un’altra variante  che mi impedisca gli ultimi sprazzi di vita musicale che mi potrò concedere.

Dove sta Zaza


Alla fine della visione di Zazà di Ruggero Leoncavallo sul Canale Classica , canale 126 di Sky , mi sono chiesta perché nel nostro belpaese in cui non si esce mai dal seminato di Tosche e Rigoletti avessi dovuto aspettare che una bella opera del Novecento verista mi venisse offerta , devo dire in maniera splendida,da un teatro viennese.
Il Theater an der Wien di Vienna è un teatro vecchiotto e non ha il lustro dello Staadsoper ,ma le sue messinscene sono molto interessanti e spesso niente affatto banali.
In questo caso per me si è trattato di una vera scoperta anche perché non avevo mai avuto occasione di vedere l’opera in nessun teatro italiano nella mia lunga vita di frequentatrice melomane.
All’An der Wien hanno chiamato uno dei registi a mio avviso più interessanti attualmente in attività : Christof Loy.
Avevo visto da poco la sua splendida Salome da Helsinki e ne avevo apprezzato la preziosa eleganza e la sua rara qualità di far “recitare “ ogni cantante o comparsa in scena-
Niente è lasciato alla sciatteria dei coristi nostrani che se escono un momento dall’inquadratura li vedi persi nei loro pensieri lontani , qui tutti , dico veramente tutti ,sono sempre veramente in parte.
Ovviamente la qualità d’insieme è enormemente più realistica e il risultato finale è di preziosa fattura.
La compagnia di canto all’altezza : ho riconosciuto Nikolai Schukoff e Christopher Maltman , non conoscevo Sveltana Aksenova nel ruolo del titolo , ma l’ho trovata veramente perfetta.
Orchestra della ORF , scene semplici e funzionali , evviva il teatro fatto bene!
Dell’opera che dire ? Ci sono alcune bellissime pagine , si riconosce lo slancio delle pagine che ritroveremo nei Pagliacci , solo forse la debolezza sta nel testo ; per un’opera verista le tinte sono decisamente delicate , una storia di psicologie semplici e di valori lontani.
La rinuncia di Zazà non ha le tinte forti del periodo verista e forse sta in questo la mancanza di un vero successo nel tempo.
Comunque ho letto che al debutto sul podio c’era un giovane di sicuro avvenire : Arturo Toscanini .
Sarebbe troppo sperare che in questo nostro convenzionalissimo panorama qualche direttore artistico trovasse la fantasia di riproporla?

Rimini d’antan

Mi è capitato spesso di raccontare quanto può essere piacevole “rileggere” un libro letto tanti anni prima e di ritrovarci , o meglio trovarci molti contenuti che mi erano sfuggiti alla prima lettura .

Questa volta invece voglio parlare del “rivedere “ un film che a suo tempo mi piacque ma che a una rivisitazione assume tanti nuovi motivi per essere considerato un capolavoro .

La prima notte di quiete di Valerio Zurlini , anno 1972 , oltre a riportarmi ad un mondo lontano nel quale le macchine , molto più rade e rombanti , arrivavano nelle piazze deserte italiane , dove tutti fumavano continuamente , dove la giovane protagonista era vestita esattamente come mi vestivo io ( minigonna , stivali alla coscia e giaccone di montone ) mi ha riportato ad una Rimini invernale , alle nebbie della statale 16 Adriatica, al porto canale deserto.

Un Alain Delon strepitoso nel suo cappotto di cammello che non si leva quasi mai contornato da uno stuolo di attori strepitosi tra i quali spicca un Giancarlo Giannini giovanissimo , Renato Salvadori, e con camei preziosi di Salvo Randone, Alida Valli e Lea Massari .

Un film colto , nel quale le citazioni letterarie e visive sono tutte perfettamente utili al racconto della storia , non una sbavatura né un errore : la corsa in Ferrrari ci porta verso Ancona , alla Villa Favorita ( oggi sommersa dalla speculazione edilizia della Baraccola sud e sede dell’ISTAO ) con la battuta : andavamo a fare il bagno a Santa Maria di Portonovo …quando non c’era l’assalto estivo alla baia.

Lo stesso titolo del film ci riporta ad un verso di una poesia di Goethe , e poi Stendhal nel nome della protagonista con il libro regalato in  francese , tutto perfetto e coerente.

Il film è stato restaurato dalla Cineteca di Bologna nel 2020 , un regalo per chi voglia rivederlo in ottima qualità di pellicola.

La colonna sonora con gli assoli laceranto di tromba Jazz che aprono e chiudono le inquadrature di quel mare Adriatico livido invernale , la canzone della Vanoni  ( è uno di quei giorni in cui..) nella splendida inquadratura del nigth , lo skyline di Rimini col grattacelo , tutto poi documentato e ricercato dai cinephiles che ne hanno ripercorso le location perfette .

Su tutti spicca Alain Delon , già molto Melville , romantico e maledetto , in una recensione ho letto che non gli piaceva il finale , lo voleva diverso e ne aveva discusso con Zurlini concludendo poi : spero che le venga un bel film.

Direi che c’era riuscito perfettamente.

Una lotta vana

Furono gli anni del boom economico , quella che era una scarpata selvaggia fu lottizzata e come funghi ci sorsero ville e villette i cui proprietari per l’inesorabile legge del tempo piano piano lasciarono questo mondo gratificando gli eredi del capitale delle loro amate dimore delle quali i suddetti eredi se ne disfecero volentieri , le loro vite diverse , le loro case tanto più piccole , il valore delle vecchie ville attirò i nuovi abbienti che ovviamente avviarono più o meno cruenti lavori di ristrutturazione .

Come un vecchio sopravvissuto nella sua capanna mi ritrovo circondata da cantieri rumorosissimi : di lato e di sopra un rumore infernale al quale impossibile sottrarsi con l’afa . Caldo e polvere, betoniere a gogo, urla di operai ovviamente extra tutto , comprese le elementari norme di sicurezza .

Una feroce nostalgia del silenzio dei giorni incantati del lookdown quando si sentivano cinguettare gli uccelli del parco , sguittire gli scoiattoli , tubare i colombi.

Una bellissima frase sul silenzio , sulla musica che è l’eccedenza dal silenzio mi ronza in testa .

Nella disperazione di un pomeriggio infuocato scorro tra i miei libri e nella mia memoria ed ecco ho ritrovata la magica frase : 

è di Marguerite Yourcenar , la rileggo nella speranza che nella bellezza di un pensiero “alto” possa in qualche modo staccare la spina all’infernale babele sonora che mi circonda :

Ho sempre pensato che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio , il mistero del silenzio che cerca di esprimersi.

Guarda per esempio una fontana ….mi è sempre sembrato che la musica non dovrebbe essere che l’eccedenza di un grande silenzio-

 La frase è tratta da Alexis , un piccolo gioiello che ha un sottotitolo che  con tutte le dovute differenze si adatta a a me in questo momento : il trattato della lotta vana.

La mia lotta vana contro l’infernale rumore che mi circonda non riesce ad coprirsi con l’ascolto della musica , non si somma l’incanto all’inferno delle gru e delle ristrutturazioni .

Particolare inquietante : abitiamo all’interno di un parco naturale dovre sarebbero vietate la costruzione di piscine : ebbene ,non so bene in base a quale deroga , qui di piscine se ne fanno addirittura due.

Un albero

Quando tanti anni fa in quella che sarebbe diventata la nostra casa ci inventammo un piccolo giardino  nella parte verso la cucina si decise di fare una specie di backgarden e ci piantammo due alberi : un fico e un prugno.

Il fico crebbe troppo in pochi anni e alla fine anche se i frutti erano dolcissimi per non restare tutto il giorno con la luce accesa in cucina decisi di tagliarlo anche se mio marito si offese molto per la mia drastica decisione.

Migliore sorte ebbe il susino : i primi anni faceva tantissimi frutti e addirittura ci facevo la marmellata di prugne , ma gli anni passano e un albero da frutta esposto al vento di mare e alla bora smise di fare frutti , sempre più storto e rinsecchito fui costretta a farlo tagliare , ormai la sua vita era finita e io che ero già tanto triste in quel periodo in cui ero rimasta sola lo piansi come se la sua fine segnasse anche lui qualcosa di me che finiva per sempre.

Fu allora che leggendo una biografia di Lutero trovai una frase bellissima che tradotta suona più o meno così : anche se sapessi che domani il mondo finisse io oggi pianterei lo stesso un nuovo albero di mele.

Fu così che comprai un mini albero di albicocche , alto più o meno come me e tra molti stenti : un anno si e uno no , mi ha regalato un pugno di frutti dorati piccoli e dolcissimi.

Oggi sono andata nel mio mini orto e ho visto un frutto per terra : ho capito che dovevo sbrigarmi a raccoglierli tutti anche perché quest’anno le albicocche mi sembrano veramente tante !

Col caldo allucinante e l’aria pesante ho fatto il mio raccolto straordinario , sudata e contenta ho anche fotografato la magia dei miei frutti : sono ben 47  

Per i colti trascrivo la stupenda frase di Lutero , il raccolto del mio alberello mi sembra la risposta a tutte le brutte vicende del mondo e una speranza che magari non ci sarò più io, ma di chi verrà a raccogliere i frutti in futuro.

Wenn ich wüste dass die Welt morgen untegeht, so würde ich doch heute noch einen jungen Apfelbaum pflanzen.