Un’antica storia persiana narra di un servo impaurito per avere incontrato la Morte al mercato e tornando a casa di corsa aveva chiesto al suo padrone di prestargli il cavallo per fuggire a Samarcanda.
Più tardi il padrone andò al mercato e vedendo la Morte le chiese perché avesse urtato il suo servo spaventandolo.La Morte rispose : non l’ho spaventato , era solo stupita di vederlo qui perché ho un appuntamento con lui stasera a Samarcanda.
Ho ripensato con un brivido a questa antica favola leggendo una storia minore avvenuta durante questo terribile momento della fuga dei profughi disperati dall’Ucraina
Un pulmann di rifugiati correva lungo l’autostrada Adriatica e si è ribaltato forse per un colpo di sonno dell’autista uccidendo sul colpo, sbalzata fuori schiacciata dal mezzo, una giovane mamma che scappava con i suoi due bambini dall’orrore della guerra.
La casualità del destino ha portato a morire una giovane ucraina in maniera assurda sulle via di un tentativo di speranza : fuggiva dalla guerra con le sue povere cose raccolte in fretta , tenedosi abbracciati i suoi due bambini e con la fiducia che quella nonna badante trovassse un posto per lei in Italia quando la Morte l’ha aspettata contro ogni pietosa logica sul ciglio della strada.
Non riesco a levarmi questa storia dalla testa , se non altro per il pensiero che non esiste una logica nel destino di ogni vita.
Per la cronaca , nessun altro si è fatto molto male nell’incidente.
Vedi Tristano. Cosa avrà voluto dire Puccini con questa breve notazione non lo sapremo mai , ma di sicuro sappiamo che non lo convinceva del tutto l’happy end forse quel tragico “non finito” nasconde la fatica di una creazione musicale che tardava a venire e che ci ha lasciato la testimonianza più esplicita di quel tempo nel quale non era più possibile tornare indietro ma anche la consapevolezza che andando avanti si doveva per forza scegliere una via sconosciuta .
Il finalino di Alfano tagliato da Toscanini si basa sulle 26 pagine di appunti lasciati dal maestro e mi convince ancora meno la versione lunga , filologicamente proposta da Pappano ,che oltretutto sottopone i cantanti ad un tour de force pazzesco.
Lasciamo da parte la fiaba settecentesca di Gozzi , l’esotismo e le cineserie e troviamo una storia di donne : dall’ava stuprata dallo straniero alla gelida vendicatrice contrapposta alla tenera innamorata pronta all’estremo sacrificio, tutto un universo femminile ( molto caro a Puccini) nel quale l’elemento estraneo è il maschio dominatore …. l’opera si doveva chiudere sul tema di Calaf e queste erano le indicazioni del genio toscano, il quale richiedeva anche un bacio “vero” ai librettisti e quell’avvicinamento seducente di quel marpione di Kaufmann alla Radvanovsky ce lo spiega bene anche se non sapremo mai quale fosse la vera intenzione del Maestro.
Enigma che chiude il tempo dell’opera intesa come un fluire melodico di arie e prelude a quel tempo spezzato , violento e dissonante delle opere del Novecento avanzato ?
In questo senso va letto il tentativo di Berio il cui finale tenta di sciogliere in chiave psicanalitica la conversione di Turandot trasfigurandola ( Wagner) mediante il sacrificio di Liù che resta morta in scena fino alla chiusa in diminuendo , lasciando aperte molte porte su quel secolo breve e su un genio sensibile ormai proiettato verso un divenire musicalmente innovativo.
Molte intuizioni ci ha regalato comunque Pappano con la sua mise en espace che permette di apprezzare alcune preziosità che sfuggono alle messinscene rituali che accentuano le spezzettamento in tre del ruolo del Ministro ( due sono gli echi del primo) , l’iconico silenzio dalla Principessa di gelo nel primo atto , il grande ruolo del popolo con l’accenno anche all’Inno nazionale cinese , la rutilante abbondanza strumentale arricchita da strumenti esotici, il ruolo prezioso delle voci bianche a contraltare dell’orrore in scena. E ultimo ma abbastanza prezioso l’avere riportato il “Nessun dorma … stanotte a Pechino” al suo momento di sfida virile , breve inserto utile psicologicamente e del tutto difforme al canto di vittoria calcistica d’uso comune.
Sarà un successo annunciato il Cd di prossima uscita , di questo ne sono fermamente convinta.
Ci voleva sir Tony per farmi ascoltare una Turandot inedita. Lo ha fatto come ultimo dono a questa Accademia Nazionale prima di prendere il volo definitivamente per la sua Londra.
Roma ha molto gradito , io non del tutto ( ma mi spiegherò in seguito)
Ci voleva lui per farmi digerire anche il finalone di Alfano , lungo e per me inutile, come disse Toscanini dopo la morte di Liù : “qui il maestro Puccini è morto.”
Ci voleva lui per far cantare Kaufmann l’intera opera dopo che aveva chiuso per anni i suoi concerti con un “Nessun dorma” tutto suo , a perenne sfida pavarottiana.
Ci voleva lui per prendersi una matta come la Radvanovski per farle fare una Turandot spacca- cristalli e ci voleva Pappano per farci apprezzare il diverso peso che ha Ping ( un magnifico Mattia Olivieri) e la dolcissima Liù di una magica Hermonela Jaho , nonchè un regale e sontuoso Timur quale Michele Pertusi.
Un solo rimpianto : perché Jonas ha aspettato tanto a cantare questo must di ogni cartellone ?
Stupenda atmosfera da grande evento internazionale a coronamento di una incisione CD che uscirà il prossimo anno nel quale non potremo apprezzare visivamente le masse corali e il coro di voci bianche di Santa Cecilia , comunque ne sentiremo l’altissimo livello.
Sono italiana con una felice vocazione europea : mi ricordo che già da ragazzina mi piaceva definirmi cittadina del mondo.
Del mio paese amo l’arte , la musica , la natura che fu con noi benigna , amo anche il Rinascimento che fece belle le nostre città.
Purtroppo però il nostro è quel bel paese nel quale è molto difficile tenere alta la testa contro la corruzione che genera un potere marcio ed è troppo facile imputare alla matrice cattolica la nostra facilità al perdono , all’assoluzione senza critica.
Per esempio grave offesa e scandalo ha provocato nei poveri provincialissimi italiani l’essere stati esclusi da incontri internazionali nei quali non siamo stati invitati.
Giustamente un intelligente inviato da Bruxelles ha commentato che questa esclusione l’abbiamo commentata solo noi italiani perché quelli che erano stati invitati lo erano per varie ragioni del tutto istituzionali , certamente non fatte ad excludendum.
Abbiamo evidentemente un grave complesso di colpa ,evidentemente ci offendiamo per poco .
Ma siamo anche capaci di trovare nei momenti più drammatici e crudeli una forza colletitva che ci riscatta da tante ambiguità e incertezze storiche.
Fortunatamente in questo momento le persone che guidano le nostre più alte istituzioni sono ben degne e questo mi fa comunque bene sperare , solo che vorrei non fossimo solo bravi a trovare forza e coerenza solo nei momenti tragici della storia.
Nessuno si augura guerre e pandemie : cerchiamo di essere degni del nostro passato senza avere bisogno di eroi .
La scalinata di Odessa è nell’’immaginario di tutti : significa libertà e tragedia , significa qualcosa di importante nella storia del secolo breve e significa anche uno dei più bei film mai realizzati .
La corazzata Potiomkin di Eijsestejn non è solo una delle grandi citazioni cinematografiche ( che va dall’ironia fantozziana alla bella citazione di Brian De Palma negli Intoccabili ), è qualcosa di più per chi i film li vedeva in religioso silenzio al Cineclub, meritoria istituzione aI tempi in cui non esisteva YouTube.
Un brivido e un ‘intermittezza del cuore ripensare oggi lo sfregio che una dittattura criminale provoca offendendo un popolo e i suoi tesori culturali.
Ripensare Primo Levi ( voi che vivete sicuri nelle vostre tiepidecase ) e vedere le immagini che spietatamente il video ci rimanda in maniera crudele.
Una guerra ingiusta sbattuta in faccia al mondo che trova pure nelle pieghe delle menti deformate ideologicamente una sponda di critica ad un popolo europeo che soffre e non si piega , orgogliosamente.
Quanto può durare ancora la mattanza?
Quei bambini col piumino ( rigorosamente rosa e celeste ) , quelle bambole abbracciate testardamente e tutti quegli animali domestici salvati con amore ci raccontano di un paese civile e povero , ma ricco di sentimenti e di cultura che non merita l’affronto del pazzo di Mosca.
Non faccio il politologo , non mi interessano le recondite motivazioni geopolitiche mondiali anche se …se volete apriamo il dibattito , e quello che ne esce è una violazione di tutti i sacrostanti diritti di un popolo.
Solo che quello che ne resta è solo la nostra vergogna di europei incapaci di avere pensato in tempo a quella che doveva essere davvero una difesa comune , un pensare comune .
Secoli di storia ci avrebbero dovuto insegnare che si possono accettare stati cuscinetto , aree neutrali , equilibri storicamente
ingiusti . Quello che non si può accettare è la violenza e la sopraffazione.
Si rassegnino i qualunquisti sempre presenti , L’Ucraina siamo anche noi .
Tri carte , tri carte . Anche non sapendo il russo il tragico leitmotiv entra nella testa degli spettatori .
Non accendo la traduzione , non ce n’è bisogno . La musica di Tchaikowski ci dice tutto l’orrore , l’amore , la tragedia e soprattutto il terrribile demone del gioco che ossessiona il povero Hermann.
Grande testo di Puskin rivisitato dal fratello Modest che ha regalato al grande musicista romantico l’ispirazione per quella che lui considerava il suo capolavoro . Composta in venti giorni a Firenze (!) l’opera contiene pagine di ineguagliabile bellezza e per chi , come me, conosce a memoria il suo altrettanto grande capolavoro che è l’Onegin ci trova anche tante analogie , oltre alle tante citazioni che la bellissima prolusione di Franco Pulcini ci ha segnalate nell’ottima iniziativa scaligera della preparazione all’opera.
Contrariamente a tutta la critica paludata e non la messiscena mi è piaciuta . Abituata come sono alle regie tedesche non mi ha scandalizzato nulla ,forse i qualche fastidio per le luci non sempre azzzeccate che davano fastidio anche in teatro.
Semmai si potrebbe dire che essendo un allestimento pensato per la Scala si poteva essere un po’ meno astratti e ..fumosi.
Ho ascoltato l’opera orbata da Gergiev e degnamente sositiuito dal maestro preparatore Timur Zangiev ( ventisettenne ) che forse non ha i guizzi demoniaci del protestato ma che ha retto con mano sicura la compagine scaligera non sempre abituata a un repertorio meno frequentato abitualmente.
Grandissima emozione mi ha regalato Asmik Grigorian nel ruolo di Lisa , davvero una presenza carismativa in scena : è’ una di quelle creature che anche se non canta , se non fa praticamente nulla in scena ,tutti guardano solo lei .
Una buona scoperta il tenore Najmidddin Mavlyanov che in realtà avevo ascoltato anni fa a Londra in un Trovatore , ma non mi aveva per niente colpito , qui nella lunga stenuante prova di forza nel ruolo di Hermann si è riscattato dall’anonimato in cui lo avevo messo.
Strana la Contessa non vecchissima , come da ruolo spesso intepretata da dive al tramonto , forse con una voce troppo chiara per il ruolo interpretata da Julia Gersteva
Ottimo nel ruolo del principe Tomskj Roman Burdenko con una bellissima aria che ricorda quella del principe nell’Onegin.
Brava anche Elena Maxinova nel ruolo dell’amica Polina , con la sua aria cantata splendidamente in modo trasognato.
Il terzo atto , sicuramente il più riuscito e praticamente a palcoscenico vuoto finisce con il volo di Lisa nella Neva , molto Tosca da Castel Santangelo .
La conturbante continua presenza del conte di Saint Germain , quello che aveva rivelato il segreto delle tre carte alla Contessa la si capisce meglio se si è stati alla conferenza ascolto e veramente mirabile musicalmente il coro degli avvinazzati che assistono alla tragica fine del povero giocatore . Un canto sguaiato che finisce in un requem e si perde in un silenzio raggelante..
La si potrà vedere in tv , pare il prossimo 13 marzo , se non intervengono indegne censure.
Un’opera lontana dal gusto attuale , amatissima al tempo dei miei verdi anni .
Tutto sommato bene ha fatto la Scala a riproporla nell’allestimento McVicar che nonostante la polvere su scene e costumi seguita a essere un ottimo mezzo per riportarci nelle vecchie atmosfere che generarono questo capolavoro di Cilea con il “teatro nel teatro “, con la Diva in scena che muore .. come una bianca colomba stanca.
Meravigliosa la apparentemente fragile Maria Agresta che è entrata nel ruolo in punta di piedi finendo trionfante , vera diva con i suoi poveri fiori avvelenati.
La sequela di inconvenienti che ha accompagnato il debutto ormai la conoscono tutti : il sostituto arrivato di corsa al posto del povero De Tommaso colpito dal Covd all’ultimo momento ( e volevo tanto ascoltarlo perché sarebbe stata una prima volta ) e la mia cara Anita , provata dalla maternità che ha avuto un piccolo incidente di percorso nella sua splendida carriera , ma che presto ritornerà tra noi più forte e più in forma di prima.
Mi è dispiaciuto non vederla alla fine per gli applausi che comunque le spettavano , onore alla sostituta Judit Kutasi che ha preso momentaneamente il suo posto.
Una messinscena nota anche per un DVD molto noto quando l’allesimento fu ideato allla ROH e in questa occasione brillano i due splendidi comprimari , vero orgoglio italiano nel mondo : Alessandro Corbelli ( il Michonnet perfetto!) e Carlo Bosi ( l’abate di Chazeuil)
sono due colonne di perfezione e di canto.
Maria Agresta , sempre più raffinata nelle sue prese di ruolo è attenta a mostraci tutta la fragilità della grande attrice travolta suo malgrado in una storia ( abbastanza vera ) in cui tutti gli altri tradiscono e la distruggono nei sogni e nella vita.
Come l’avvisa Micchonnet ( noi siam povera gente …) bellissima frase che ci racconta tutta la precarietà e la fragilità della gloria dei teatranti .
Passando tra le braccia dei vari Maurizio di Sassonia Maria resta fortunatamente incantevole e credibile .
Io che sono una deformata ,ne conosco uno solo capace di tutte le sottigliezze del ruolo , ma il tempo passa per tutti e per fortuna abbiamo le antiche preziose memorie.
Al matinèe di domenica molti giovani e vecchie signore : il mix ideale per apprezzare la tragica storia d’amore .
A un certo momento mi sono ricordata il concerto Martini e Rossi del lunedì quando alla radio l’annunciatrice scandiva : “io son l’umile ancella “dall’Adriana Lecouvrier di Cilea , potrei dire che comunque resta una musica del cuore.
Sommersa da una valanga di auguri per un buon viaggio sono arrivata a Milano: tre giorni fitti fitti con tanta musica cercando di non pensare alla guerra.
Ma oggi è l’otto marzo e il mio blog si permette una prima riflessione che può sembrare retorica ma che in realtà risponde bene al mio viaggio peraltro veramente all’insegna femminile : anche la Lacouvrier e la Dama furono due donne immortalate in musica.
Nel viaggio in treno , sia all’andata che al ritorno mi hanno colpito le ragazze in viaggio , tantissime , alcune allegre in compagnia , altre silenziose e chine sui libri ma tutte, dico tutte ,ragazze che studiano , che lavorano , che viaggiano libere .
Vanno per esami , per concorsi , per lavoro : serie e senza fronzoli nell’abbigliamento . Infagottate nelle sciarpe d’ordinanza sono uguali alle loro sorelle in tutta Europa , i loro piumini sono quelli delle ragazze in fuga in Ucraina , il loro sguardo è consapevole e attento.
Dal mio angolo di vecchiaia vedo questa nuova generazione di donne che non hanno più bisogno di mimose e forse neanche degli uomini che le proteggano anche se sono sicura hanno i loro problemi di cuore come tutte le donne sotto ogni cielo.
Sono stata in compagnia di donne anche nel mio breve soggiorno : ho reincontrato una cara amica milanese doc che mi ha portato in Galleria a prendere un thè ( botta di mondanità) ho rivisto la sua amata figliola , in piedi e di corsa davanti alla stazione , un bellissimo omaggio e un ricordo felice . Ma soprattutto sono stata nella minicasa di ringhiera della mia lontana cugina .
La serenità e la conquista di un equilibrio raro : c’erano tre generazioni insieme . Madre , figlia ( ovviamente appartenente a quella generazione in cui si parla molto concretamente anche di progetti per un futuro lavoro ) e la piccola nipotina con la bambola.
Mi ha preparato un ottimo risotto giallo con ossobuco .
dopo tanti mesi , un tempo per me lunghissimo , riprendo in mano la valigia ( anzi per la verità è una valigia nuova che i miei figli mi avevano regalato a Natale ) e mio accingo a fare questo primo viaggio dell’anno : non vado tanto lontano ma ho perso la disinvoltura con la quale saltavo su treni e aerei , a Milano mi aspettano in tanti e spero di non dare proprio l’impressione di una vecchietta uscita dalla caverna.
Il blog starà fermo per qualche giorno , al ritorno riprenderò il mio racconto , ormai quasi quotidiano perché ho capito che la costante presenza dei miei lettori è l’unico modo per mantenere in qualche modo vigile il pensiero e l’attenzione al mondo che mi circonda .
Un mondo che fa di tutto per non essere bello passando cinicamente dalla pandemia alla guerra come a volerci ricordare la nostra umana caducità e la fragilità della nostra prospettiva.
Sto leggendo un libro particolare : L’aristocratico di Leningrado di Francesco Maria Colombo.
Conosco l’autore per le sue eleganti escursioni televisive e avevo già comprato un suo primo strano romanzo che mi era piaciuto molto.
Con curiosità mi sono quindi avvicinata a questo secondo libro e con stupore cominciando a leggere mi sono accorta di conoscere
praticamente ogni capitolo che andavo leggendo.
Erano gli eleganti Papillon che seguo da anni ed è stato come un rileggere e ripercorrere piccoli frammenti di storie raccontati con eleganza e che spesso mi hanno fatto pure andare il libreria a comprare quello di cui aveva parlato l’autore .
Poi in realtà , vuoi perché forse non sono stata così assidua nel seguire il programma o forse perché alcuni capitoli sono inediti la lettura è proseguita con notevole piacevolezza.
Non lo sto leggendo con quella voracità onnivora con la quale leggevo una volta , ci vado lentamente : due o tre al giorno così che la curiosità non prevalga sul contenuto.
Sono così rari i momenti culturali nell’abbondante scelta di canali televisivi che praticamente mi vedono premere sul 136 di Sky come unica speranza per non rifugiarmi nella mia magica pennetta che raccoglie il tesoro dei video operistici amati.
Per ritornare alla mia attuale lettura devo dire che un po’ mi manca la parte visiva dei capitoli , peraltro arrichita dalle foto spesso necessarie alla comprensione del testo.
Insomma un libro elegante , come elegante è il suo autore , adesso di nuovo in onda con il nuovo pregievole e provocatorio
Kaiserwalzer .
E’ sempre piacevole trovare una lettura stimolante e grondante curiosità e citazioni culturali , temevo fosse più difficile e invece mi sento proprio a casa cullata anche dal ricordo della voce suadente del suo autore.
Sono scomparsi gli esperti virologi dalla tv in compenso sono arrivati gli esperti militari , tutti preparati e pronti a spiegare le strategie di guerra ma attenzione : il passo tra il competente e il cretino può essere più breve di quanto si potesse immaginare .
Così si vedono in affanno tanti che pur di presenziare sposano tesi che dopo una logica analisi di rivelano anche in conflitto tra di loro.
Faccio un giro sui canali tedeschi , austriaci e francesi .Il dibattito è sempre lo stesso dappertutto e stessa è anche la paura che filtra attraverso la speranza comune che una tregua sia possibile .
L’Ucraina è veramente nel cuore dell’Europa fisica e questo ci ripropone il solito dilemma che riguarda quella fetta di mondo e provoca la confusione che spesso viene generata dalla pubblica opinione poco colta in termini di nazioni e confini più o meno definiti nel corso del secolo scorso.
Un piccolo esempio mi viene dal mondo relativamente circoscritto della musica .
I nomi pieni di lettere alfabetiche diverse e si era portati a considerare uguali molti che uguali non sono :polacchi , bulgari , ucraini , estoni , russi , romeni eccetera eccetera Ci sembravano tutti uguali quando leggevamo il loro nomi sulle locandine dei teatri e adesso scopriamo gli orgogli nazionalistici nella presa di posizione davanti a questo conflitto che offende le coscienze democratiche.
Una volta c’era l’impero asburgico sotto il cui vivevano tante realtà diverse e dall’altra parte c’era l’impero ottomano .
Più o meno era facile capire una geopolitica fatta a grosse fette di potere.
Ancora oggi si ritrovano i segni delle diverse realtà politiche guardando le chiese e le moschee e cercando di districarsi nelle città dai tanti nomi cambiati nel corso della presa di potere di chi subentrava nella gestione delle realtà storiche .
Il grande sforzo fatto dai paesi fondatori dell’Unione europea è il collante prezioso che in questi giorni ritorna prepotentemente vincente in una ipotetica prospettiva di pace.
Ritengo che questa sia l’unica strada possibile per combattere davvero il potere dittatoriale che vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia.
Mentre piovono bombe su persone innocenti in un paese aggredito da un folle dittatore , mentre l’Europa intera tremando si ritrova unita perlomeno nella solidarietà verso l’Ucraina si assiste ad una ridicola messinscena del più famoso soprano russo ( che intanto nel frattempo e detto tra di noi ha la cittadinaza austriaca) che scrive un equivoco messaggio contro la guerra , ovvero la banalità come direbbe LaPalisse, e si rifugia in un niet pseudo-diplomatico e non arriva a Milano.
Lode allora a Pavol Breslik e a Elina Garancia che hanno il coraggio di schierarsi e annullare le loro future prestazioni artistiche in quello che ormai è considerato davvero un rinnovato impero del male , ovvero la Russia di Putin.
Personalmente non ho mai amato troppo la Diva che il buon Dio ha dotato di una voce straordinaria ma che seguita a non capire mai il significato di quello che canta o perlomeno è questa l’impressione che da a chi, come me ,adora i cantanti attori e cerca sempre un’emozione di credibilità in chi canta , oltre ovviamente alle qualità vocali imprescindibili.
Personalmente le auguro un bell’anno sabatico in cui seguiti a comprarsi i ridicoli e costosissimi abiti carnevaleschi e ne faccia sfoggio insieme al marito- cavaliere- partner obbligato . Mi dispiace per Dolce e Gabbana che se ci rimetteranno qualcosa se ne dovranno fare una ragione.
Intanto come tutti resto attaccata ai notiziari che vengono dall’Ucraina anche se amaramente sorrido nell’ascoltare il folle dittatore che accusa il paese invaso di nazismo : forse non si ricorda nemmeno che il presidente Zelewsky è di famiglia ebraica.