Il gesto e la musica

Una gentile ragazza mi ha chiesto una cosa alla quale sulle prime non ho saputo rispondere , ci ho dovuto riflettere e poi , prima di darle una risposta convincente ho dovuto pensarci molto perché la domanda apparentemente ingenua non era così banale come sembrava.

La giovine mi ha chiesto a cosa serve il direttore d’orchestra quando tutti i musicisti hanno davanti il loro spartito e spesso sembra che neanche lo guardino tanto quello strano personaggio che sta un po’ più in alto di loro e muove tanto le braccia.

La prima risposta , con un certo sorriso di sufficenza da parte mia era chiara : il direttore segna il tempo degli attachi ,l’inizio e la fine della musica , praticamente comanda col gesto un numero considerevole di persone .

Ma se poteva bastare alla ragazza che mi ha posto la semplice domanda in realtà la risposta non bastava a me che certi direttori li ho adorati , che altri invece mi sono indifferenti e alcuni non li amo proprio . 

In quel gesto apparentemente uguale ( ma uguale non è mai ) c’è tutta la differenza che può passare dal sublime al banale , ricordo l’incanto del gesto della mano sinistra di Abbado , quella dolcezza irripetibile e il lento chiudersi nel finale  delle mani di Petrenko quasi raccogliendo le note ,il canticchiare impetuoso di Pappano , il suono deciso da pianista di Baremboim e anche l’irritazione di un gesto che non mi è mai piaciuto di un direttore tedesco che non è carino nominare ma che mi irrita , anche se i suoi sostenitori dicono che sia bravissimo a dirigere Brahms.

Sono tutte componenti abbastanza inspiegabili che però creano una magica sensazione di comunione tra il direttore , l’orchestra e noi spettatori.

Mi aveva molto divertito una risposta del divo Claudio ad un intervistatore che gli chiedeva perché amasse dirigere senza partitura davanti : con un sorriso disarmante aveva risposto che divideva i direttori tra quelli che avevano la partitura nella testa e quelli che invece avevano la testa nella partitura.

E aggiungeva anche che gli piaceva avere molti occhi che lo guardavano quando si rivolgeva agli orchestrali , ma ovvio tutto questo è difficile da spiegare a quella semplice ragazza che mi aveva posto una semplice domanda.

Moda e modi

Molto bella e allegra l’idea di avvolgere gli atleti italiani in gara alle olimpiadi invernali di Pechino in festose mantelle tricolori che ricordano il gesto naturale dei vincitori quando festanti si avvolgono nella bandiera della patria.

Farne una mantella cappotto l’ho trovata un’idea geniale , anche se forse non tutti l’hanno capita , ma una volta tanto parla la stilista che è in me  ( uno dei pochi titoli di cui formalmente mi posso vantare )  titolo che mi portò , quasi per caso , lontana per sempre dalla mia Firenze.

Il mantello copre la classica divisa azzurra ed è a mio avviso un colpo di genio che rinnova la classica “mise” atletica .

Ormai il mondo della moda , nell’alto e nel basso, non lo si misura più con lo chic di un tempo , quando poi quello che si vedeva per la strada raramente corrispondeva con l’eleganza riservata alle regine e alle dame lontane dalla vita reale.

Oggi il cammino della moda è rovesciato , nasce più sulla strada e nella vita di ogni giorno anche se sono portata a non sopravvalutare gli /le Influencer patentati e i loro diktat.

Il vero chic è quello della falsamente anziana nobile Drusilla che rifiuta il brand per i vestiti di Sanremo e si rivolge alla sua sarta fiorentina per rimettere a posto i vecchi vestiti , magare da allargare qualche centimetro : un ennesimo colpo di genio di quella persona unica che conosce perfettamente i moti dell’anima che animano lo straordinario personaggio.

Lo studio delle lingue

Leggo sulla stampa di oggi un appello dei docenti di lingua tedesca dell’Emilia Romagna che chiedono il ripristino delle loro cattedre perdute perché in pochi anni in una regione peraltro ad alta vocazione turistica questo insegnamento è venuto a mancare in maniera impressionante .

Torno allora sull’argomento anche perché invece  la mancata conoscenza della lingua tedesca rappresenta uno dei miei rimpianti di gioventù : ho cominciato a studiare questa lingua troppo tardi , quando ormai semmai si comincia a scordare e me ne dispiaccio.

Lo dico ai giovani che preferiscono , oltre all’inglese ormai consueto per tutti che si perdono molto non coltivando questa lingua tanto complessa ma anche carica di stimoli per la formazione del pensiero.

In realtà le nuove generazioni hanno da un pezzo abbandonato anche il francese tanto caro alle nonne e si sono spesso rifugiati nell’apparentemente più facile spagnolo.

Girando un po’ per il mondo in questa ultima parte della vita la conoscenza , magari anche modesta, di un po’ di lingue mi ha permesso di entrare in contatto con tante persone , di viaggiare senza paura , in ultima analisi , di sentirmi una cittadina europea a tutti gli effetti. 

Gli italiani , mediamente , sono molto più scarsi nella conoscenza delle lingue dei loro colleghi europei e spesso in giro ho raccolto complimenti proprio perché mi considerano una italiana anomala.

Quindi oggi  mi pare giusto ancora una volta  rinnovare l’appello allo studio delle lingue.

Ci si capisce meglio se ci si intende , se si riesce a scambiare compiutamente il proprio pensiero,  non a caso anche nel mondo musicale sono più bravi e più convincenti i cantanti che capiscono le parole che cantano.

Per Monica Vitti

Mi sento in dovere di spiegare il motivo di un post tante volte ripetuto ieri da parte degli abitanti di Ancona per omaggiare in questo modo la grande attrice scomparsa.

Correva l’anno 1969 e ad Ancona tutti si sentirono orgogliosi di riconoscere nella scena finale del film di Mario Monicelli La ragazza con la pistola il porto di Ancona fare da sfondo , del tutto posticcio , alla chiusura dell’ironica storia di gelosia della ragazza siciliana con la treccia nera che partita per l’Inghilterra per vendicare l’onore tradito , attraverso la scoperta di un mondo più libero , finisce per scegliere un amore inglese più all’altezza dei tempi e del costume mutato.

La strepitosa ragazza con la pistola era una Monica Vitti in versione tragi-comica e fu così che quando fu aperta la passeggiata fino alla Lanterna rossa del porto un graffitaro omaggiò la grande attrice con il murale che la ritrae , bellissima e affascinante , a perenne memoria di quella gloria cittadina che fu l’inquadratura finale di un film di successo .

Ed ecco perché ieri , alla notizia della morte della nostra grandissima diva , anche se scomparsa ahimè da tanti anni dagli schermi ( tutti la sapevamo perduta in un suo mondo immemore) gli anconetani in massa hanno voluta ricordarla  con quel ritratto al vento , scolpito sull’estremo lembo del molo nord del porto ,mitica figura ormai persa nel tempo.

Ci è sembrato un modo romantico e irrituale per ricordarla . In questo modo il suo bellissimo volto resta negli occhi e nel  cuore di tutti quelli che negli anni hanno potuto godere della sua grandissima arte, un modo molto sottotono e tipico di questa terra scontrosa .

In memoriam

Comincia la grande saga nazional-popolare del Festival di Sanremo e gli italiani si dividono in due gruppi di pensiero : quelli che lo seguono e quelli che fanno finta di ignorarlo ( ma poi sotto sotto magari il giorno dopo ne recuperano i momenti comici e interessanti.)

Io sono di quelli che non ci perdo tempo , le canzoni sono la cosa che mi interessa meno , comunque resta un grosso termometro di costume e si possono  misurare nel tempo i mutamenti della società nella sua accezione più popolare.

Per me l’unico Sanremo da ricordare fu quello di un lontano 1967 quando un giovane cantautore che amavo moltissimo si tolse tragicamente la vita nella notte dopo la sua  eliminazione dal concorso.

Morte misteriosa per molti aspetti , morte assurda e incomprensibile per molti che lo avevano già amato e ammirato.

Il Festival non si fermò” the show must go on “ , ma la canzoni di Luigi Tenco sono ancora bellissime e il suo sguardo triste resta nel cuore di chi quella sera di gennaio ebbe la triste notizia mentre magari come me , era a un veglione di Carnevale.

Ma la Preghiera in gennaio di Fabrizio De André è la più bella ballata in ricordo di questo giovane artista stritolato dal mondo impietoso del mercato discografico.

Un capolavoro

Piccola riflessione su una bellissima opera del Novecento ( è del 1945) sul suo autore , sulla sua ispirazione e sul destinatario di questo omaggio musicale.

Benjamin Britten trovò ispirazione per questo suo capolavoro in un poema del 700 intitolato The Borough di George Crabb :

In una delle 24 lettere che compongono l’opera  si racconta la cruda denuncia della malevolenza popolare nei confronti di un essere emarginato , nel caso in questione Peter Grimes difficile e problematico, dai precari equilibri sessuali.

Il compagno di Britten : Peter Pears a cui il lavoro è dedicato e per il quale fu scritto era in effetti compagno di Britten anche nella vita : il sottile , inespresso filo conduttore omosessuale rimase nell’ombra in tempi in cui in Inghilterra era ancora difficile parlarne.

La figura del protagonista dell’opera : il Peter Grimes del titolo è un pescatore solitario ,ossessionato dall’idea di realizzare una pesca miracolosa con la quale arricchirsi e fuggire da quel Borgo ostile che lo aveva addirittura messo sotto processo per la presunta morte di un suo mozzo , un povero orfano trovato nel triste orfanotrofio  del paese , morto durante una drammatica battuta di pesca.

Grimes esce dal processo assolto , ma non nell’immaginario collettivo e la povera maestra , con la quale in un forzato progetto di avvenire Grimes pensa di rifarsi una vita lontano , gli porta ancora una volta un altro povero orfano , vittima predestinata per offrirgli ancora una volta un aiutante per il suo lavoro di pescatore.

Ma la tragedia incombe , mentre si annuncia insieme alla tempesta in arrivo anche la vista di un enorme branco di pesce Grimes decide  comunque di prendere il mare forzando a seguirlo l’impaurito ragazzino.

La  pioggia , il vento e la tempesta avanzano : il ragazzo spinto da Grimes dalla solitaria capanna verso la spiaggia cade nel crollo della falesia e muore .

Di fronte a questa catarsi il pescatore , inutilmente persuaso all’unico amico che cerca di dissuaderlo , mette lo stesso la sua barca in mare per annullarsi nelle onde.

Il giorno dopo, placata la tempesta si saprà solo di un marinaio che si è disperso in mare.

  Ho ascoltato l’opera alla radio ma ero infastidita dalla voce del suggeritore ,poi l’ho trovata ,  generosamente postata su YouTube e ho capito che Jonas Kaufmann ,innamorato della musica di Britten, è riuscito a dare una sua personale lettura di quell’infelice pescatore.

Molto meno arrabbiato di quanto lo avessi visto e sentito in altre edizioni , disperato e dolente questo ennesimo personaggio perdente rientra nelle corde del grande tenore anche se le foto di scena mi lasciano un po’ perplessa davanti ad una barca giocattolo con un mozzo talmente piccolo da essere davvero poco credibile come aiutante in mare.

Adesso bisogna aspettare e sperare nel DVD promesso , anche se so bene che niente ti regala l’emozione dell’opera vista dal vivo a teatro.

A proposito di Scarpetta

Mario Martone è uomo di teatro e si capisce la sua scelta di fare un film sulla vita di Eduardo Scarpetta , il comico napoletano che all’inizio del secolo soppiantò addirittura Pulcinella nell’immaginario colletivo napoletano.

Putroppo però il cinema è cosa diversa dal teatro , infatti il film a tratti sembra una cartolina che riproduce una Napoli da Domenica del Corriere dell’epoca .

Bellissime invece tutte le riprese dall’interno del palcoscenico , nelle quali Martone da il meglio di sé, poi scade nella ricostruzione storica anche se la prospettiva scelta è quella della ricostruzione del processo per plagio intentato da D’Annunzio contro  Scarpetta che aveva scritto una parodia della Figlia di Jorio .

Scarpetta vinse la causa , ma non è per questo che il film merita comunque , con tutti i suoi limiti , di essere visto.

Lo sguardo attento del piccolo Eduardo De Filippo  ( bravissimo il ragazzino che lo interpreta ) è la chiave di lettura che eleva un biopic neanche tanto riuscito in un atto di amore per il teatro napoletano tutto e per la grande tribù di teatranti che ha generato.

Una raffinata colonna sonora composta soltanto dalle grandi canzoni napoletane dell’epoca tra le quali spicca come un colpo al cuore ( per me ) la stupenda “Voce ‘e notte ” è un valore aggiunto che riscatta molte ingenuità oleografiche del film.

Neanche Tony Servillo , altrimenti grandissimo , qui sembra a proprio agio , non è nelle sue corde la comicità forzata del personaggio , infatti l’attore dà il meglio della sua arte nella parte oscura del guitto trionfatore che si permetteva una vita da capoclan, una famiglia tribù allargata e una villa a Posillipo provocatoriamente chiamata proprio Qui rido io.

Interpretato da tutta una corte di famosi e grandi attori napoletani il film è una occasione perduta e insieme un grande omaggio al teatro che verrà.

Gite scolastiche

Bellissime parole di Liliana Segre :

non portate i ragazzi in gita scolastica ad Auschwitz , fate che sia un pellegrinaggio consapevole : ci vadano con abiti leggeri ,  affamati , dopo avere ascoltato i loro docenti che devono saperli preparare a vedere  quello che vanno a visitare .

Quando ci sono andata , ero con un pulmann di amici del FAI, ricordo che uno di noi si era rifiutato di venire : aveva preferito le miniere di sale. Dichiaratamente fascista con la sua non partecipazione voleva negare la terribile realtà che ci sarebbe stata sbattuta in faccia.

Ricordo che misi con pudore la macchina fotografica nello zaino , mi colpì invece l’unico fiore davanti alla cella dove era stato rinchiuso un prete eroico che si era offerto in cambio di una famiglia ebrea. I polacchi fanno ancora distinzioni e mi colpirono anche le belle casette ordinate con i fiori alle finestre appena fuori dal campo.

Eppure so che se si scavasse la terra ancora ci sarebbe tanta cenere umana in quelle zolle.

Non è tutto facile per una mente umana accettare l’orrore , anche se si crede di conoscerlo attraverso le tante immagini che ancora ci vengono offerte e forse per questo ormai consumate dall’abitudine.

La giornata della memoria deve essere ancora celebrata , ora soprattutto quando cominciano a perdersi le memorie di chi questa realtà l’ha vissuta o che ne ha vissuto la memoria quando era ancora fresco l’orrore della scoperta .

Fa più piangere il cappotto rosso della bambina di Schindler list che la montagna di valigie e di occhiali dietro le teche del Lager, mandiamoci i ragazzi con  abiti leggeri quando c’è fuori la neve : resta l’unico modo per ricordare veramente la Shoah.

Una divagazione politica

In un tempo lontano ci si poteva illudere di entrare in un partito politico per collaborare al miglioramento delle condizioni dei propri simili . Generalmente la utopistica idea veniva rigettata appena ci si accorgeva che i partiti politici ( tutti) sono organismi molto autoreferenziali che tendono a escludere coloro che ci entrano con ingenue speranze di partecipazione.

Questo credo sia sempre avvenuto , anche in tempi lontani , quando la democrazia era un lusso riservato a pochi e oltre tutto praticata in pochissimi paesi.

 Fu così che molto spesso le persone giovani passavano come meteore e se ne allontanavano disilluse perché la pazienza non è arte giovanile.

Con il nuovo corso della storia che introduce la forza del web la realtà è decisamente cambiata in peggio perché nel dare più spazio all’immagine e alla falsa e illusoria  partecipazione globale alla cosa pubblica si sono visti , non solo nella vecchia Europa , strani personaggi emergere clamorosamente e poi anche clamorosamente rientrare nell’ombra .

Potrebbe sembrare una cosa positiva , in fondo una certa competenza per occuparsi della cosa pubblica dovrebbe servire e questa eliminazione dei non preparati rassicurare le genti comuni.

In realtà non è proprio così: la chiusura a riccio di chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori dimostra solo che serve qualcosa di diverso dal credere nelle “ magnifiche sorti e progressive” e invece serve il farsi parte di una compagnia ad escludendum.

Mi piaceva pensare che la poltica fosse l’arte del possibile e che ogni capacità di mediazione meritasse il suo spazio dignitoso.

Purtroppo devo riconoscere che ormai tutto questo rientra nelle speranze vane di chi “ ci aveva provato “ .

Vince ovunque il populismo e la demagogia , possiamo solo cambiare canale per non affondare nel bla bla bla  e rifugiarsi nel bellissimo e vasto mondo dove la parola è al servizio del canto e dove il rumore si trasforma in musica.

storie dall’iperspazio

C’erano due cose che mio marito considerava  decisamente ridicole : il trolley e lo zaino.

Il suo signorile viaggiare , sempre in blazer ( altro odio feroce le tute da ginnastica ) perché sosteneva che era il naturale e comodo vestire di un uomo  sia al mare che ai monti , sia nell’afa di un aeroporto africano che nella confusione di un autogrill ,oggi sarebbe estremamente stupito nel vedere la rapida evoluzione dei due oggetti vituperati.

Io , molto più prosaicamente aperta alle novità , li avevo adottati entrambi sostenendone la praticità  , nella sua muta riprovazione.

La valigia con le ruote una cosa ridicola anche perché a lui serviva il facchino quando scendeva dal treno e quel coso sulle spalle lo pensava utile solo per ascensioni in alta quota .

Snobberie passate di moda o mondo che è cambiato vertiginosamente con la velocità della luce solo in un ventennio?

Quando racconto ai nipoti stupiti ( ma non è che mi danno molta udienza ormai) che andare in villeggiatura era partire per un viagggio , che i diciotto chilometri che ci separavano dalla località di mare prescelta erano tanti , che per parlare con Ancona andavo in piazza alla gelateria Morelli a fare la fila per telefonare mi guardano come una extraterrestre arrivata dall’iperspazio dei loro strani giochi che parlano di incredibili mondi nei quali però vanno a ricercare i valori antichi e perduti , come se le novelle ,cambiata la scena,nascondessero ora e per sempre le stesse morali riciclate. Nelle loro saghe magari ambientate in un ieri lontano o in un domani siderale si nasconde sempre la traccia di un romanzo di formazione  ( guai a chiamarlo Bildungsroman !) o il riciclo di un mito classico che i furbi sceneggiatori rivestono di effetti speciali .

Sicuramente però si stupirebbero di trovare nel nonno conservatore una comprensione insospettata perché quelle loro storie a suo tempo lui le aveva già studiate al liceo.

Vespri palermitani

Certamente Emma Dante il teatro lo sa fare e io che la seguo dai tempi gloriosi di M’Palemmo e Carnezzeria conosco le sue doti di dominatrice del palcoscenico.

Avvicinata al melodramma con la Carmen  ( meraviglioso esordio di Anita R, e scoperta di Jonas per i poveri italiani digiuni dei suoi grandi successi in giro per il mondo) in quegli anni lontani era ancora presa dalla paura dell’horror vaqui in palcoscenico per cui ci metteva un po’ troppa roba , poi piano piano si è raffinata e adesso ha avuto la ghiotta occasione di mettere in scena l’operona francese di Verdi Les vepres siciliennes nella sua Palermo ed  è stato come invitarla a nozze : ci ha messo tutto , ma proprio tutto quello che di siciliano aveva in mente .

Giù tutta la paccottiglia del suo teatro , piu tutta la galleria degli stereotipi dell’isola .

Ma lo spettacolo c’è  e si vede tutto con molto diletto , anche se in streaming, causa la maledetta piaga che mi impedisce di riprendere i treni e gli aerei con lo spirito di una volta.

Ed ecco l’operona alla Mayerber con tanto di balletto ,nei cinque atti e pure in francese , comme il faut.

Ci riconosco momenti che sarebbero poi confluiti nel Don Carlo  (ma a Verdi questo secondo grand opera gli sarebbe venuto decisamente meglio ) e prima dell’”Innominabile” anche questa opera di cui spesso ascoltiamo solo il preludio ( dove c’è già tutto ) l’avevo vista a Monaco nel 2018 in forma orribile , unica nota positiva  fu la direzione di Omer Meir Welber che ho puntualmente ritrovato in questa più intelligente revisione anche  perché mi è sembrata molto divertente la spartizione del balletto in pillole qua e la.

Si può vedere su Arte e anche se so bene che non è la stessa cosa ho potuto comunque ascoltare un bravissimo Mattia Olivieri , davvero un ‘eccellenza in palcoscenico con una presenza e una musicalità affascinanti : il suo Monfort è veramente il protagonista indiscusso.

Bravo anche Erwin Schrott , che giogioneggia un po’ meno del solito e stando in barca ( bellissimo coup de teatre ) ci regala la sua aria ‘o tu Palermo veramente pregievole ( mentre a Monaco mascherato da pupo siciliano dimostrava proprio di non divertirsi.

Brava la Seletti , ma la parte è durissima per chiunque e decoroso Caimi , non si può chiedere di più, non sono in molti ad avere la parte in repertorio.

L’idea di per sé abbastanza scontata di portare la messinscena ai giorni nostri : i cattivi la Mafia e i buoni gli isolani con gli stendardi Borsellino ,  Falcone più Impastato ed altre vittime ahimè molto note era di facile lettura , in definitiva si racconta l’ennesimo tentativo popolare di rivolta, purchè una volta tanto ci riescano davvero a liberarsi dai gioghi più o meno importati.

Ottimo il coro preparato da Ciro Visco ( bell’acquisto per il Massimo) e buoni anche i balletti .

Unica nota stonatissima i costumi , ma sembra che da quelle parti Dolce e Gabbana colpiscano anche  involontariamente.

Istruzioni finali

Ho capito perché i giovani si sono allontanati da Facebook e sono trasmigrati su piattaforme più misteriosamente leggiadre : da Instagram a TikTok trovano modi di racccontarsi molto più vicini al loro modo di essere e soprattutto non sono quel lento ,ininterrotto necrologio che è diventato Facebook.

Ogni giorno si trova da piangere su qualcuno : ci lasciano i musicisti , i cantanti , gli scrittori , gli attori  ( i politici pochi perché pochi sono degni di pianto) e si arriva ai necrologi quasi privati , magari di una comunità ristretta per cui si piange anche il fornaio o il pizzaiolo di quartiere.

Siamo un mondo di vecchi , lo sapevo , ma se c’era bisogno di una conferma basta sfogliare la mattina quello che passa il social più frequentato da chi anagraficamente mal si orienta su quelle più allettanti piattaforme giovanili.

In definitiva FB svolge la funzione che una volta facevano i manifesti listati a lutto che riempivano i nostri muri per le strade .

Ora a piedi per le strade si va poco , solo gli umarell che seguono i cantieri e anche l’uscita col cane i giovani la fanno di corsa , lo sguardo perso all’orizzonte e le cuffie ben fissate nelle orecchie.

Dobbiamo allora ringraziare il nostro social invecchiato rapidamente con noi che una volta ci sentivamo up to date per esserci entrati.

Solo qualche volta mi pongo il problema , come mi cancellerò se lascio questo mondo all’improvviso?

Devo lasciare istruzioni anche per questa ineludibile bisogna.