Sono davanti alla moschea degli Omayyadi a Damasco , ho indosso un cencio nero lurido e polveroso , mi sono levata i sandali e scalza sto per entrare .
Forse Riccardo mi fece una foto ? mi ricordo , forse di essermi girata ridendo verso di lui , ma la foto in quel vecchio album in cui ancora si raccoglievano le foto attaccandole con la coccoina quella foto non c’è.
Di quella piazza c’è una foto controluce di quello che probabilmente era mio marito , la scritta Damasco dimostra che c’eravamo andati davvero.
Fu un bellissimo e lungo viaggio a bordo di una nave da carico il cui armatore era cliente di mio marito e in un mese girammo il Mediterraneo dal Libano alla Syria ,poi indietro in Egitto , in Libia , a Malta –
In seguito in quei paesi ci sono tornata molte altre volte perché per me il Medio oriente è sempre stato un richiamo costante ,ma di quel primo impatto ho il ricordo forse più netto.
Un mio figlio mi ha chiesto stupito perché fossi così interessata ad entrare in quella moschea e io ho dovuto spiegargli che li dentro , venerata anche dall’Islam c’è la testa di un profeta :San Giovanni.
Il ricordo quasi fotografico mi è riaffiorato qualche sera fa , quando ho riconosciuto le porte di piombo, la piazza e i rivoltosi che festeggiavano in quel luogo sacro dopo la caduta del regime dittatoriale di Assad.
Ero andata sicura verso quella specie di tabernacolo e avevo accarezzato la grata , ero un’infedele fra tanti credenti ,ma nessuno mi disse niente , ebbi solo paura di non ritrovare le mie scarpe europee tra tante babbucce impolverate abbandonate all’entrata.
Quando ci sono tornata qualche anno dopo il negoziante ebreo che vendeva bellissimi tessuto damascati mi disse che aveva un doppio passaporto e che si teneva pronto ad andarsene , ma non mi ricordo per dove.
Anche da turisti si avevano delle percezioni di paura diverse , già dal ricordo del primo viaggio .