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La cosa piu difficile oggi è raccontare senza usare troppi superlativi. Certamente ho la consapevolezza di avere assistito ad un evento eccezionale, non sarà facile evitare di dire: io c’ero quella sera a Roma all’Auditorium. Roma, grande ruffiana, si era anche messa l’abito della festa, un cielo cobalto e una dolce aria primaverile rendevano tutto piu luminoso sì che le masse festanti di tanta gente venuta da lontano (orde germaniche, galliche ed a vario genere melomani) si sentissero già appagati da cotanto sfarzo.
Felicità nell’attesa e poi la meraviglia di una musica sentita mille volte, facile e un pò pacchiana diventare sotto le mani di un Pappano irrefrenabile una serie di perle verdiane che si snocciolavano violente, preziose, delicate e in certi momenti miracolosamente nuove. L’idea intelligente non è stata solo quella del grande cast stellare, è stata quella di restituirci in forma di concerto un monumento della grande maturità verdiana in tutta la sua essenza preziosa. Soprattutto è stata la grande Aida di Radames, questo personaggio non di grande spessore che lo stesso Kaufmann nelle note al suo Cd verdiano definiva meno approfondito di altri grandi protagonisti verdiani diventare quella figura di tragico antieroe che é la cifra stilistica della sua grande arte. Dopo questa esperienza sarà difficile ascoltare un’altra Aida senza riportarci a quanto abbiamo ascoltato ieri a Roma.
Nelle prime note a caldo di tanti entusiasti spettatori leggo il desiderio di un lunghissimo, unico bis …ed era quello che tutti infantilmente chiedevamo assiepati sotto il palco come non mai, trasportati ancora da quella onda fantastica che la somma, chimicamente ineguagliabile: Verdi, Pappano, Kaufmann ci aveva fatto vivere nella serata indimenticabile. Onde sonore travolgenti nei primi due atti, quell’inizio perfetto del canto solitario di Radames (tutti in attesa di quel filato finale da brivido), gli ingressi scanditi con ieratica compostezza da tutti ci davano già la dimensione di assistere ad una esecuzione perfetta nelle vocalità di altissimo livello. Lo sciogliersi armonico e dolente del terzo e quarto atto confermavano la sapienza drammaturgica del nostro grande Peppino, un genio che sapeva bene calibrare anche gli strumenti del mestiere ed era arrivato ad un punto della sua immensa parabola artistica in cui forse sentiva sul collo arrivare l’onda wagneriana…
Vengo adesso doverosamente a parlare del cast. Hanja Harteros bella e solenne ci ha dato un’Aida dolente e regale, Ekaterina Semenciuk forse per la prima volta alle prese con un italiano piû scandito del suo solito é stata molto applaudita, un’ottima Amneris, Ludovic Tezier, un Amonasro di lusso si é confermato il grande baritono verdiano che tutti apprezziamo. Un altro lusso il sacedote Ramsis di Erwin Schrott, solenne anche nella gestualità e possente nel timbro. A difendere la ahimé troppo esigua rappresentanza italiana il basso Marco Spotti nelle vesti del Re e Paolo Fanale, lo squillante Messaggero. Orchestra magistralmente guidata sembrava uscire nelle raffiche di suoni letteralmente dalle mani del demiurgo Pappano che ne plasmava gli accenti, cosî come anche l’ottimo coro diretto da Ciro Visco. Elegante nelle divise d’ordinanza la banda della Polizia di Stato cui spettava il compito di rinforzo nella grande Marcia trionfale. Qui mi permetto le mie personali e assolutamente profane considerazioni su alcuni passaggi della partitura: la marcia dell’Aida é un pô come il Ratataplan della Forza, pezzi oggi sicuramente datati come gli analoghi Viva la guerra e il guerra guerra…rispettivamente delle due opere citate, ma nell’Aida di Pappano per la prima volta ho sentito l’amore di Otello che verrà nel grande duetto d’amore, l’eco di un Don Carlo nel confronto violento tra le due protagoniste, ho sentito il genio verdiano sdipanarsi felice tra le note già tante volte ascoltate con minore partecipazione e sicuramente da me sottovalutate. Questo é stato certamente un dono nel dono di sir Tony al quale va la mia imperitura riconoscenza. Da ieri sera l’Aida non è quel trionfo visivo che qualche volta ha annoiato la mia partecipazione nelle grandi messe in scena, è una musica da ascoltare, per questo sarà preziosa anche l’uscita del Cd che é stato all’origine di questo progetto.
Di Jonas Kaufmann che dire, ormai di lui ho detto tutto, tanto preso dalla parte non si era neppure accorto che si stava perdendo il fiocchetto del frack, nella sua vocalità straordinaria, nella gestualità ridotta e partecipe sta il suo fascino planetario eppoi averlo davanti a mezzo metro mi ha fatto anche star male in certi momenti! L’unica cosa che lo imbarazza sono i gran mazzi di fiori che a lui, solo a lui e neppure alle due signore protagoniste nordiche kaufmanniane porgono come ad una chantosa di café chantant…Lui li prende sorridendo con timidezza, e si capisce chiaramente che non vede l’ora di posarli appena uscito dalla porta.