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E arrivò il giorno tanto atteso. Il tempo è matto: nevica e c’è il sole. Freddo cane. Non sapendo cosa fare, tanto per non sbagliare, la mattina presto torno in Duomo e così, oltre a scaldarmi mi godo un’ altro solennissimo corteo, tutti in costume con stendardi e tanti di quei preti, canonici, chierici e chierichetti da sfidare la Messa grande di Pasqua e sapendo che oggi non è neppure messa di precetto sono un po’ stupita. Qui mi arrendo, ma capisco che è una ricorrenza del Capitolo e mi basta. Aspetto fino al Vangelo, mi piace la storia dei due uomini che camminano la sera verso Emmaus con quel tale che li affianca e che loro non riconoscono se non alla fine della cena. Per tutti i miei lettori non credenti dico che è una bellissima pagina letteraria, ma noi cattolici sappiamo così poco della nostra religione! Mi arrendo all’omelia e rientro in albergo. Trovo i miei amici francesi, resto con loro girovagando fino alle due e poi, ovviamente vedo arrivare allegramente il solito Jonas che sembra essere sempre dove passo io, giuro che è un caso! Lui entra veloce a teatro e io comincio a pensare alla seconda parte della giornata.
Ho molto studiato tutto quello che dottamente è scritto sul librone del Festival a proposito del Verismo (lì chiamato realismo) e sul perché’ dell’allestimento para-cinematografico. Interessante citazione di Thomas Mann e sul fatto che lui cita come fonte possibile di lettura del cinema come arte (1926) un libro “ohne worte” del pittore Masereel, una graphic-novel antelitteram.
Riprendo a scrivere dopo teatro. Completamente presa dai Pagliacci, un’emozione difficilmente ripetibile. La messa in scena a sei quadri funziona, anche se soprattutto funzionano i terribili primi piani di Kaufmann, e il suo Ridi pagliaccio con la mano che nervosamente apre e chiude il coltello a serramanico, la sua fissità dello sguardo, il corpo teso nella terribile gelosia e anche la sua risata veramente satanica fanno veramente paura. Non altrimenti posso dire della Cavalleria, in cui il ragazzo fa un personaggio a parte in una messa in scena decisamente sbagliata. Lo avevo già detto prima di vederla e confermo la mia prima impressione. Il regista ha cercato tutta una serie di luoghi comuni su una Sicilia di maniera, con i picciotti della mafia che non c’entrano niente, le pistole fuori testo in un ambiente che deriva dalla pittura espressionista tedesca. Una madre sempre di spalle alla quale un povero Turiddu disperato chiede ..un bacio, un bacio ancora e la maitresse non batte ciglio, salvo poi cantare la sua frase davanti ad una porta chiusa. Il povero Jonas , notevole nei primi piani dell’inizio quando ancora il suo atteggiamento allegro e spavaldo funziona piano piano si perde in una regia volutamente provocatoria e senza il senso culturale del testo che lo costringe a fare l’ubriaco con strane bottiglie che sembrano uscite da una pièce di Bertold Brecht.
Thielemann ha ben diretto Pagliacci ma ha fatto una Cavalleria col freno a mano tirato…forse avrebbe dovuto sentire l’intermezzo diretto da Von Karajan…che effettivamente è tutta un’altra cosa. Ho avuto la grande gioia di potere andare nel backstage grazie ad una deliziosa nuova amica e ho potuto raccontare a Jonas che quei delitti ancora esistono eccome in Italia e si chiamano femminicidi. Ha sgranato gli occhioni incredulo, ma stava ancora recitando, ne sono sicura. Per oggi basta, domani tornerò ancora a parlare di questa bellissima serata, analizzerò a freddo, se ci riesco. Adesso riesco solo a pensare che per fortuna forse ho già a casa la registrazione perché purtroppo non ci sono altre repliche. Questi Pagliacci, anzi questo pagliaccio è senza rivali.