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Il primo maggio è andata in scena alla Scala la Turandot , evento che in qualche modo legato all’Expo ne apriva la serie di eventi scaligeri collegati. Ebbene , mentre durante il pomeriggio ho avuto l’infelice idea di accendere la televisione e di seguire con sgomento le scene allucinanti della città aggredita e ferita da squadracce fasciste di imbecilli ( troppo generosamente definiti black – bloc) poi la sera sono stata gratificata da un evento per alcuni versi davvero memorabile.
Questa Turandot diretta da Chailly con il finale per me inedito di Luciano Berio è stata una specie di bellissimo regalo culturale. Come ogni melomane ho nel mio carnet di memorie molte Turandot , non tutte mirabili , come molti melomani conosco la famosa frase di Toscanini che la dirigeva , proprio alla Scala per la prima rappresentazione : dopo l’aria di Liù del terzo atto girarsi verso il pubblico e dire la famosa frase A questo punto il maestro Puccini e morto. Seguiva il finale per me molto poco avvincente di Alfano e tornavo a casa convinta di avere sentita un’opera , se non minore , perlomeno tra le meno avvincenti del Maestro lucchese. Ebbene dopo l’esecuzione mirabile di Chailly e la scelta culturalmente molto apprezzabile del finale di Berio mi devo ricredere su tutta la banalizzazione della mia valutazione precedente. Turandot è un capolavoro sconvolgente per la modernità e per la qualità eccelsa dell’orchestrazione nel quale le troppo note arie che la connotano sono solo momenti dolcissimi che però brillano meno dove il continuo fluire musicale non viene spezzato dai momenti ,diciamo così, più popolari.
Mi sono piaciuti la regia di Nikolaus Lehnhoff , l’allestimento scenico e i bellissimi costumi anche se so benissimo che non essere lì di persona mi ha tolto parte dell’incanto che sempre lo stare in teatro aggiunge emotivamente. Della direzione di Chailly ho già detto , orchestra e coro della Scala magnifici come sempre. Nel cast brillava di luce propria una grandissima Maria Agresta , una cantante che seguito ad apprezzare ogni volta di più : l’avevo lasciata da poco Nedda nei Pagliacci a Salisburgo e la ritrovo perfetta e dolcissima nel ruolo più tradizionalmente pucciniano dell’opera . La sua vocalità pulita e sicura me la fa considerare una delle voci più belle del nostro panorama nazionale. Nina Stemme è stata una grande interprete , seguita ad essere una voce potente e sicura , ma il maestro Puccini chiedeva forse troppo dalle sue interpreti e purtroppo Turandot è un ruolo micidiale , con dispiacere ho dovuto subirmi un attacco abbastanza imbarazzante della grande interprete . Di Aleksandrs Antonenko che dire , se ho parlato di piccolo imbarazzo per la Stemme per lui l’imbarazzo è stato continuo , belante , urlante e addirittura in alcuni momenti stonato avrebbe meritato qualcosa di più dell’isolato buuu che comunque ho sentito ben chiaro venire dall’alto. Non amo le stroncature e poi la serata era “mondana“ in senso positivo . Non valeva la pena rovinarla , ma se alla Scala si protesta per un Beczala non perfetto questo andava preso a bordate di fischi. Perfetti Ping Pong Pang:Angelo Veccia Roberto Covatta e Blagoi Nacoski anche agilmente coordinati dalle coreografie eccellenti. Nei ruoli minori dell’Imperatore e del vecchio re cieco , rispettivamente Carlo Bosi e Alexander Tsymbalyuk, gli interpreti erano perfettamente in linea con la qualità scaligera .
Il finale merita un discorso a parte : questo lento passaggio dalla partitura pucciniana verso un discorso disincantato che passando dal senso di smarrimento del finale in calando del Tristano arriva alla Notte trasfigurata di Schonberg mi ha totalmente coinvolta . Il corpo della morta Liù in scena lega con un gesto d’amore le note conosciute ad uno sciogliersi dei sentimenti che ci restituisce quello che sicuramente avrebbe voluto dirci Puccini. Dall’estremo atto d’amore nasce un nuovo amore , grazie maestro Chailly di avercelo restituito con intelligenza e grande cultura.